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Licenziamenti al Messaggero: stato di agitazione per assenza di piano editoriale

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I giornalisti del Messaggero confermano lo stato di agitazione e scioperano sabato 3 settembre (per impedire l’uscita del giornale di domenica 4) in difesa della loro dignità, contro il proposito di umiliarli riducendoli a meri esecutori degli interessi dell’editore. Ci troviamo di fronte alla chiusura totale dell’azienda, la quale, anziché confrontarsi con la rappresentanza sindacale dei giornalisti, così come previsto dalla legge, sullo sviluppo, sul futuro e sul miglior uso delle risorse del giornale, mette in atto una inaccettabile politica di tagli.

Sulla base di una contestata interpretazione del contratto nazionale è stato deciso il licenziamento di colleghi che per oltre trent’anni hanno contribuito al successo di questa testata. I destinatari del provvedimento, contro la loro volontà, sono stati mandati anticipatamente in pensione, cosa che comporterà una pesante riduzione dell’assegno previdenziale. Siamo di fronte al manifestarsi di una volontà padronale che si pone, di fatto, in dichiarata rotta di collisione con chiunque abbia a cuore la difesa dei presupposti minimi per la salvaguardia dell’autonomia professionale di quell’opera collettiva dell’ingegno che dovrebbe essere un giornale.

L’assunzione improvvisa di un condirettore, senza un progetto editoriale chiaramente espresso, fuori dal rispetto delle prerogative sindacali dei giornalisti, non fa altro che confermare questa linea dell’azienda. I pazienti tentativi di ottenere dalla proprietà e dalla direzione risposte soddisfacenti sul piano di sviluppo, rilancio e potenziamento delle redazioni regionali, non ha portato purtroppo ad alcun risultato. Proprio su questo tema, il 9 marzo scorso era stato proclamato uno sciopero, sospeso, per due volte, di fronte all’annuncio di una “imminente serie di provvedimenti” che invece non sono mai stati attuati. Al loro posto sono arrivati i licenziamenti e di quel piano, tuttora atteso dalla redazione, non esiste neppure una bozza concreta. Ecco perché scioperiamo. Pur restando fermamente convinti della necessità di continuare a esplorare la strada del dialogo. Anche con chi adesso mostra di non volerne sapere.

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