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Il Giornale d’Italia rischia la chiusura:”una storia da non disperdere”

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(articolo apparso sul Giornale d’Italia il 24/5/2006)
Dobbiamo continuare
di Pierandrea Saccardo

Stimati lettori, il “Giornale d’Italia”, se non interverranno eventi
favorevoli, rischia di rimanere, definitavamente, consegnato alla storia del
giornalismo: quello conservato negli archivi, nelle onuste e polverose
pagine delle annate diligentemente rilegate, con le tante firme note ed
ignote di giornalisti, pubblicisti, storici e opinionisti che nel corso di
più d’un secolo hanno consegnato alla memoria storica fatti ed eventi legati
al nostro paese. Le vicende che hanno condotto la nostra testata
nell’attuale situazione sono state ampiamente divulgate, un valido motivo
per non ripeterci, almeno in questo contesto.
Preferiamo, invece parlare di ciò che il nostro quotidiano ha rappresentato,
per più di cento anni nella storia dell’informazione, soprattutto per quel
che concerne gli eventi consegnati alla storia d’Italia. Innanzitutto
desideriamo smentire coloro che nel corso degli anni hanno etichettato la
nostra testata con l’appellativo di giornale di destra, affermazione non del
tutto esatta se taluni hanno il coraggio e la capacità di osservare i fatti,
passati e presenti in maniera asettica. Alberto Bergamini, quando nel 1901
fondò “Il Giornale d’Italia” assieme a Sidney Sonnino, volle imprimere una
forza completamente originale alla notizia, lo fece inventando la “Terza
Pagina” che in più di cento anni ha costituito un modo assolutamente nuovo
ed originale di dialogo tra il giornalista ed il lettore.”La terza pagina”
costituì in quegli anni che vanno dallo scoppio della “I Guerra Mondiale”
sino al Referendum Istituzionale del 2 giugno 1946, un ininterrotto flusso
di analisi e di approfondimenti, tra l’informazione e le Istituzioni, prima
con le supreme gerarchie del fascismo e successivamente con l’istituto
monarchico. Da ciò è derivato il malevolo e spesso strumentale pettegolezzo
che il “Giornale d’Italia” fosse stato l’araldo del regime. Come si
sarebbero dovuti comportare i proprietari ed i giornalisti del quotidiano,
mettere le penne nel cassetto trasformandosi in aventiniani della carta
stampata? Se si fossero comportati in tal guisa oggi si sarebbe perduta una
parte cospicua della nostra memoria storica. La storia, cari lettori, non
appartiene alla destra come alla sinistra, la storia è molto gelosa delle
proprie prerogative, al massimo concede di essere interpretata. In questo
contesto il “Giornale d’Italia”, grazie a Bergamini, potè divulgare i tanti
segreti legati agli avvenimenti che partono dall’ottobre 1922 fino all’8
settembre 1943. Giorni addietro, abbiamo letto il volume “Parola di Re, il
diario segreto di Vittorio Emanuele III”, di Francesco Perfetti, professore
ordinario di Storia Contemporanea all’Università Luiss-Guido Carli di Roma,
nonché direttore della rivista “Nuova Storia contemporanea”. Il volume edito
dalla casa editrice “Le Lettere” di Firenze risulta di enorme importanza
storica per gli studiosi o i lettori che continuano a porsi interrogativi su
una parte delle storia d’Italia tanto controversa e così colma d’omissioni.
Fu proprio Alberto Bergamini, come racconta il prof. Franco Perfetti, a
scoprire un autentico giallo storico, quello legato al diario o ai diari,
esistono controversie su questo punto, scritti dal Re Vittori Emanuele III
nel corso della sua permanenza a Brindisi, dopo l’8 settembre 1943. Per
permettere ai lettori di comprendere meglio l’importanza storica dei fatti
da noi citati ecco quanto scrive Francesco Perfetti: “Quella del senatore
Bergamini – uomo molto legato a Casa Savoia, al Re e alla Corte – è la più
autorevole e più nota testimonianza sull’esistenza delle memorie di Vittorio
Emanuele III. Giornalista e politico, Bergamini aveva avuto all’inizio del
secolo una parte preminente nella fondazione del quotidiano “Il Giornale
d’Italia” che egli aveva diretto a lungo imprimendogli una linea politica di
orientamento liberale e conservatore la quale aveva il suo preciso punto di
riferimento nel conservatorismo liberale di Sidney Sonnino”. Perfetti
prosegue il suo racconto sottolineando gli ottimi rapporti tra Bergamini e
Vittorio Emanuele III sino ad un anno prima del Referendum Istituzionale.
Bergamini, avendo avuto notizie dei diari da parte di alcuni tra i più
stretti collaboratori della Corte, si presentò nell’autunno del 1945 a Villa
Rosbery a Posillipo, dove Vittorio Emanuele risiedeva: ecco come il
giornalista Pillon ha ricostruito il dialogo tra Bergamini ed il
Re.”Bergamini consegnò il plico a Vittorio Emanuele, poi attese il momento
propizio per chiedere: “So che Vostra Maestà ha un diario. Potrei vederlo?”.
Il Re – ci ha raccontato Bergamini – mi guardò sorpreso, colpito forse dalla
mia audacia. Subito rispose:”Diario? Ma io, caro senatore, non ho mai
scritto nulla di simile”. Bergamini non osò replicare. Gli era stato detto
che quando un Re dice no è inutile insistere”.”Andammo avanti così – ricorda
Bergamini – per alcuni minuti, poi io sparai l’ultima mia cartuccia: “Vostra
Maestà perdoni. Ma la notizia del diario io l’ho avuta dal Luogotenente
(Umberto, figlio di Vittorio Emanuele). Questa volta il Re non credette
opportuno smentire. Si alzò – assicura Bergamini – prese da una tasca
posteriore un gruppo di chiavi. Aprì il cassetto centrale di una scrivania.
Tirò fuori un malloppo di carte e me le mise innanzi dicendo: “Legga pure”.
Bergamini ebbe così la possibilità di consultare i circa 180 fogli che
contenevano le memorie del Re. Purtroppo potè leggerne solo una parte:
giunse infatti la Regina Elena, stanca ed ammalata, Bergamini non volendo
apparire inopportuno alla coppia reale e lasciò la lettura a metà. Sperava
di ritornare in un secondo tempo, ma la repentina partenza di Vittorio
Emanuele per l’esilio in Egitto gli precluse per sempre questa possibilità.
“Il Giornale d’Italia” aveva comunque raggiunto il suo scopo, quello di
scoprire ed informare riguardo ad un segreto storico di incommensurabile
importanza per la storia del nostro paese. Per la curiosità dei lettori va
detto che i diari non sono mai stati letti da alcuna persona, escluso
l’entourage legato alla Casa Reale per il semplice motivo che sono stati
distrutti, forse per volontà del ex Re Umberto, che temeva la compromissione
della sua immagine da parte del padre. Abbiamo riportato questi brani legati
agli avvenimenti storici per far comprendere, sino in fondo, quanto “Il
Giornale d’Italia” abbia pesato e contato in modo determinante nel cammino
del nostro paese, un giornale, che sempre e comunque, dal direttore sino al
più giovane dei redattori si è sempre impegnato a favore della verità.
Qualcuno, come si dice a Roma, “facendo la bocca a ciavatta” potrebbe
obiettare: “Ma a chi importa oggi di un ex Re d’Italia, della Regina, della
guerra o della storia?”. Rispondiamo che il nostro giornale si è occupato e
si occuperà sino a quando sarà possibile della cronaca, dei fatti e dei
fattacci, come da tradizione, avrà sempre una sensibilità verso la categoria
dei pensionati, quelli che per taluni fanno notizia soltanto alla vigilia
delle elezioni. Saranno sempre privilegiate le notizie che riguardano i
problemi sociali più urgenti, dunque più toccanti rispetto a quelle
riguardanti le epe debordanti di qualche vip incancrenito al sole di qualche
isola tropicale o degli amorazzi delle oche giulive seminude in barca. In
nome e nella dignità de “Il Giornale d’Italia” per il quale lavorano e
scrivono decine di persone continueremo a parlare di cultura che non è, come
abbiamo sottolineato prima, di destra o di sinistra, laica o bigotta perché
essa è patrimonio di tutte le persone libere. Non sappiamo a questo momento
cosa ci riserbi il futuro, di una cosa sola siamo orgogliosi e certi: di
avere contribuito onestamente alla diffusione della libera informazione non
accontentandoci del gossip, bensì affrontando i problemi nella loro essenza.

Comunicato del 22 maggio 2006

Il “Giornale d’Italia”, anno di fondazione 1901, rischia la chiusura. La
stampa e la vendita del quotidiano saranno garantite solo per questa
settimana e i giornalisti rimarranno senza lavoro.
L’11 maggio 2006, infatti, l’ex direttore del Giornale d’Italia, Massimo
Bassoli, è stato arrestato insieme ad altre tre persone nell’ambito
dell’operazione “Golden Press” condotta dalla Guardia di Finanza. L’ipotesi
di reato è associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello
Stato nel settore delle provvidenze statali a favore dell’Editoria.
Nell’indagine sono coinvolte quattro società, oltre alla cooperativa Esedra
che edita il Giornale d’Italia.
L’Associazione Stampa Romana e la Fnsi sono a fianco dei giornalisti per la
tutela del posto di lavoro anche in caso di un avvicendamento nella
proprietà.
Già nei mesi scorsi, i giornalisti e i dipendenti del quotidiano sono
rimasti per cinque mensilità senza retribuzione, a causa dei primi
provvedimenti della magistratura e dei conseguenti sequestri dei beni,
mentre solo negli ultimi giorni hanno appreso i retroscena che avrebbero
condotto all’arresto di Bassoli.
I dipendenti della cooperativa Esedra non hanno mai navigato nell’oro e gli
stipendi, quando pagati regolarmente, sono, come testimoniato dai
documenti, al minimo sindacale. Si è parlato di milioni di euro, ma la
Redazione del Giornale d’Italia non è un luogo in cui si percepiscono
stipendi d’oro o si commissionano collaborazioni fasulle, né tantomeno si
tratta di una testata “fantasma”.
La Redazione ha deciso di uscire regolarmente in edicola, sperando nel
supporto vitale della tipografia di riferimento, anch’essa compromessa dalla
vicenda e di proseguire l’attività editoriale con la pubblicazione on line.

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