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Repubblica:7 giorni di sciopero. L’azienda non accetta trattative. Solidarietà di Stampa Romana.Conferenza stampa e manifestazione dei redattori

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Roma, 17 aprile. L’Associazione Stampa Romana è al fianco dei colleghi di “La Repubblica”, ai quali l’azienda nega la possibilità di aprire qualunque trattativa, in particolare sull’organizzazione del lavoro: un atteggiamento che rispecchia quello della Fieg che nega l’apertura del tavolo contrattuale, per procedere nelle aziende – e tra queste il gruppo Repubblica-L’Espresso – a una complessiva déregulation e al tentativo di rendere “flessibile” non solo il lavoro dei collaboratori ma anche quello dei contrattualizzati, colpendo le competenze e le professionalità dei giornalisti.
Ecco il comunicato del Cdr di “la Repubblica”:

Roma, 16 aprile.“Il Comitato di Redazione di Repubblica ha deciso sette giorni di sciopero dei giornalisti a partire da lunedì 16 aprile fino a domenica 22. Il sito di “Repubblica.it” riprenderà dunque le pubblicazioni lunedì 23, il quotidiano tornerà in edicola da martedì 24.
Il Cdr comunica che alla base della protesta c’è la decisione dell’azienda di non procedere a sostituzioni di giornalisti assenti per malattia lunga, in quanto non previste dal contratto. Il Cdr inoltre contesta la decisione dell’azienda di respingere qualsiasi proposta di confronto sull’organizzazione del lavoro, come pure qualsiasi ipotesi di accordo aziendale. Inoltre, c’è sempre in piedi la vertenza per il rinnovo del contratto collettivo nazionale dei giornalisti, scaduto da oltre due anni.
Il Cdr di Repubblica con questa protesta intende sollecitare il coinvolgimento del mondo della politica, sinora apparso sostanzialmente assente sui temi contrattuali della categoria”.

“Sulla dignità del lavoro e il diritto alla contrattazione non cederemo mai. L’azienda lo deve sapere. Se rifiuta la concertazione, questa è la nostra risposta”.
Nettissimo il Cdr de “La Repubblica”, unitissima la redazione, al secondo giorno di sciopero dei sette consecutivi proclamati.
Giusto in tempo per lasciar svolgere i congressi dei Democratici di Sinistra e della Margherita senza la presenza dei giornalisti di quello che, parola dei redattori, “non lo dice nessuno, ma è tornato ad essere il primo giornale italiano”. Nel corso di una conferenza stampa, presenti il vertice della Fnsi, con il segretario Paolo Serventi Longhi e il presidente Franco Siddi, e quello dell’Associazione Stampa Romana con il segretario Silvia Garambois, il Cdr della testata spiega nel dettaglio le motivazioni di uno sciopero durissimo e senza precedenti, preciso segnale di “relazioni industriali decisamente compromesse”. L’azienda, infatti, è la parola del Comitato di redazione, “rifiuta di sostituire i colleghi malati, anche per le malattie più lunghe e gravi, ricusa qualunque confronto, qualsiasi concertazione che riguardi l’organizzazione del lavoro, dice di no ad un contratto minimo di ingresso”.
I redattori affermano di “non accettare l’unilateralità della decisione dell’editore” e rigettano quella che definiscono “una evidente strategia aziendale che va avanti da troppi anni contro diritti fondamentali di una categoria di professionisti che vogliono essere trattati con rispetto e non come se fossero solo un costo”.
E qui il Cdr snocciola le cifre: “in una redazione di 480 persone, oltre la metà guadagna meno di 2.000 euro al mese, lavora molte ore quotidiane in più rispetto a quelle previste dal contratto e ha l’obbligo del lavoro domenicale”. A fronte di questo, l’azienda può contare su “profitti consistenti tanto che i manager hanno incrementato il loro stipendio del 20-30% nell’ultimo anno”. Obiettivo delle critiche l’editore: “si professa liberal, dovrebbe avere la tessera numero uno del Partito Democratico, ma sembra dimenticare che la concertazione è nello statuto del futuro Partito Democratico. Nel nostro giornale – tuona il Cdr – non c’è affatto un tasso di malattie elevato, c’è piuttosto un super lavoro non pagato”.
Sull’editore cala anche la scure della censura per aver rifiutato di sottoscrivere la raccolta di fondi promossa da Ezio Mauro e dall’intera redazione a beneficio delle famiglie dei due collaboratori di Daniele Mastrogiacomo, uccisi in Afghanistan. Durissime le parole dei redattori: “è solo cautela e spilorceria o c’è dietro la sconfessione della linea tenuta da Mauro durante il rapimento e forse nascostamente si vuole un cambio al vertice, un direttore ‘tagliateste’?”. Molto pesante anche la chiosa di Paolo Serventi Longhi: “è molto grave che l’azienda abbia scelto di non sostenere le vedove e gli orfani di chi ha aiutato Mastrogiacomo”.
Un fuoco di fila di domande parte dall’assemblea e bersaglia De Benedetti: è vero che c’è un contrasto in famiglia fra chi vuole vendere l’azienda editoriale e chi no?
È intelligente mortificare la redazione lasciandola da anni senza tavolo di concertazione quando tutti sanno che “La Repubblica” tiene in attivo i bilanci del gruppo? E parte un applauso scrosciante quando qualcuno accenna all’opportunità di dimissioni dell’amministratore delegato Marco Benedetto, “il falco”.
Sette giorni di sciopero consecutivi, è la prima volta per la testata, ma “sono per rivendicare diritti fondamentali e data la situazione sembrano perfino pochi”, sostengono in parecchi. La ‘assemblea-conferenza’ finisce con un’azione dimostrativa sotto la sede dell’amministratore delegato del Gruppo Repubblica-Espresso in Via Cristoforo Colombo e con una promessa: “valuteremo il da farsi nei prossimi giorni, ma continueremo la battaglia e una cosa è certa: non faremo la fine dei minatori durante il governo della Thatcher”. (AGI) ”

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