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Il contratto tra salario e welfare:l’esperienza metalmeccanica

Welfare

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Si fa un gran parlare del contratto dei metalmeccanici che è stato rinnovato unitariamente nel pomeriggio del 26 novembre tra i rappresentanti dei lavoratori e quelli delle imprese del settore. In sintesi, si tratta di un’intesa quadriennale che va dal 2016 al 2019, caratterizzata da un aumento medio del salario di 92,68 euro. Ma la vera novità del contratto in questione è che il livello nazionale costituisce la struttura portante dell’intesa, determinata grazie alle voci condivise sui temi del salario, della previdenza integrativa, della sanità integrativa, della formazione e del diritto allo studio. I temi che potrebbero interessare l’evoluzione contrattuale di altri settori, come quello del settore di lavoro giornalistico, sono in particolar modo, il primo e l’ultimo delle voci suddette. Si rafforza il primo livello contrattuale, ma anche la contrattazione aziendale, che va estesa, mantiene tutto il suo vigore, determinato da sistemi organizzativi specifici e dagli indici di produttività correlati. Il contratto nazionale è determinante per recuperare l’inflazione reale, quindi, non più “ex ante”, ma “ex post”. Il meccanismo è semplice:basta applicarlo al caso dei metalmeccanici. Dal primo giugno del 2017 i lavoratori riceveranno in busta paga un aumento pari all’inflazione registrata nel 2016, misurata in base all’indice Ipca e rapportata ai minimi tabellari. Il salario minimo fissato dai vari livelli dell’inquadramento professionale crescerà dunque della stessa percentuale in cui, nell’anno precedente, è cresciuta l’inflazione. Il meccanismo del recupero dell’inflazione, così come definito nel 2017, sarà applicato anche al 2018 e al 2019,sempre alla scadenza di ogni mese di giugno. Quindi, gli effetti dell’inflazione saranno rapportati ai salari contrattuali e non più ai salari di fatto, ma in questo modo i minimi contrattuali e lo stesso contratto nazionale manterranno valore in prospettiva. Ma non è tutto rispetto al salario. Il nuovo contratto stabilisce la possibilità di far crescere il reddito anche grazie ai benefici del cosiddetto welfare contrattuale. A parte la crescita della percentuale del contributo delle imprese a favore del fondo di previdenza integrativa ( senza alcun contributo aggiuntivo a carico dei lavoratori) e di quella, a totale carico delle aziende, a favore del fondo di assistenza sanitaria integrativa (per i metalmeccanici e per i loro familiari), occorre tener presente la funzione dei “flexible benefits”, introdotti dal nuovo contratto delle “tute blu”. Si tratta di veri e propri “bonus” da usare nel carrello della spesa: dai buoni benzina alle spese scolastiche e a quelle del trasporto. Alla suddetta voce (le parti firmatarie decideranno in ambito nazionale quali “benefit” usare) corrisponderanno erogazioni pari a 100 euro a partire dal giugno 2017, a 150 euro dal giugno 2018, e a 200 euro dal giugno 2019, per un totale di 450 euro nel triennio. Fin qui il salario. Poi, il capitolo della formazione. Il contratto ha riconosciuto il diritto soggettivo dei lavoratori alla formazione permanente. Ciò significa che i lavoratori che non saranno coinvolti dalla propria azienda in specifiche attività di formazione professionale, avranno diritto, nel triennio, a 24 ore di formazione extra-aziendale per due terzi a carico delle aziende, con un contributo dell’impresa che potrà arrivare fino a 300 euro. Al di là della cifra a disposizione del lavoratore che vuol formarsi, il diritto succitato, definito nell’articolato contrattuale rappresenta un concreto investimento sulle persone nel più importante settore industriale del Paese. Un rinnovamento culturale vero e proprio dove le potenzialità del welfare rappresentano l’architrave del passaggio dal concetto di puro costo del lavoratore a quello di efficace investimento sullo stesso mediante un serio intervento formativo. Se ne fanno carico le imprese metalmeccaniche che, mai come ora, hanno avvertito il bisogno delle intelligenze, delle competenze, delle professionalità, dell’impegno cognitivo di chi lavora. Se tale esigenza trova applicazione in un importante settore industriale, avrebbe ancor più senso attuarla e potenziarla in un altro settore dove si svolge il lavoro intellettuale, come è quello giornalistico. La formazione continua è un investimento strategico per aggiornare o sviluppare competenze, in stretto collegamento con l’innovazione tecnologica e organizzativa del lavoro e della produzione connessa, di qualunque tipo essa sia, industriale o derivante proprio dal lavoro giornalistico. In entrambe le realtà i lavoratori subiscono sempre più frequentemente i disagi delle riorganizzazioni e delle ristrutturazioni aziendali, con pesanti ricadute negative sulla continuità dei loro percorsi professionali. Attraverso la formazione, come vero e proprio diritto soggettivo, il lavoratore può rafforzarsi e disporre di strumenti più efficaci. La formazione continua, così come prevede il nuovo contratto dei metalmeccanici, rende l’intesa tra sindacati e Federmeccanica-Assistal lo strumento per cogliere e accompagnare la sfida del cambiamento nel lavoro e nelle fabbriche. I costi, di fatto, sono in gran parte sostenuti dalle imprese; il governo da questo rinnovo contrattuale avrà un ritorno fiscale inferiore rispetto alle tornate precedenti; ma, di sicuro, la parte non imponibile dell’aumento contrattuale contribuirà in modo utile alla crescita dei consumi e, di conseguenza, dell’intera economia nazionale. Se così sarà, il contratto dei metalmeccanici può fare da apripista ai rinnovi contrattuali di altri settori; può esser utile all’affermarsi di moderne relazioni industriali; può costituire una buona pratica per la riforma contrattuale che le parti sociali, in sede confederale, hanno deciso di mettere in cantiere. Insomma, il contratto nazionale non va in pensione.

Antonello Di Mario, Responsabile dell’Ufficio Stampa della Uilm nazionale e direttore di “Fabbrica Società”

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