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Interrogazione parlamentare su equo compenso

Interrogazione parlamentare dell'on. Marcon sull'equo compenso

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Rilanciamo il testo dell’interrogazione parlamentare dell’Onorevole Marcon. Condividiamo quanto rappresentato: bisogna applicare una legge sostanzialmente disattesa dalla prima delibera attuativa. Una garanzia di civiltà giuridica e retributiva per la maggioranza dei giornalisti italiani e locali è avere oggi un reddito compatibile con quanto chiesto dall’articolo 36 della Costituzione. Due giornalisti su tre sono lavoratori non subordinati. In media i co.co.co guadagnano poco meno di 9mila euro l’anno. Di seguito il testo.

Camera dei deputati – Interrogazione a risposta orale presentata dall’on. Marcon (SI-SEL-POS) il 18 settembre 2017

MARCON e PANNARALE — Al Presidente del Consiglio dei ministri — Per sapere – premesso che:

la legge 31 dicembre 2012, n. 233, ha introdotto l’equo compenso nel settore giornalistico, al fine di garantire la corresponsione di una remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dai giornalisti che non siano titolari di un rapporto di lavoro subordinato;

nonostante la legge sia formalmente in vigore da quasi un lustro, è rimasta inapplicata perché Tar e Consiglio di Stato hanno annullato la delibera della commissione per l’equo compenso (sentenza 1076 del 2016, terza sezione), in quanto essa contraddice lo spirito e la lettera della legge n. 233, laddove proclama di dare attuazione all’articolo 36 della Costituzione che garantisce al lavoratore «una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»;

di conseguenza, le condizioni applicate dagli editori e dai direttori ai giornalisti freelance, o comunque non titolari di un contratto di lavoro subordinato, sono rimaste le stesse o sono peggiorate;

la prassi è che articoli, anche da prima pagina, siano pagati pochi euro. Una delle condizioni peggiori che si possa raccontare è quella dei giornalisti che si recano nelle zone di guerre, che in proprio sopportano spese di viaggio, di interpretariato, di assicurazione sulla vita e per quanto altro sia necessario allo svolgimento dell’attività. C’è anche chi rinuncia ad assicurarsi per i costi;

tale situazione, che esiste solo in Italia, non può essere giustificata con la crisi che vive il mondo dell’editoria, perché i giornali e l’informazione sul web si fanno con gli articoli scritti dai freelance, che costituiscono ormai oltre il 60 per cento della categoria;

la Commissione istituita per stabilire l’equo compenso aveva adottato il 29 gennaio 2014 una delibera che correttamente Tar e Consiglio di Stato (sent. 1076 del 2016, terza sezione) hanno annullato, in quanto contraddiceva lo spirito e la lettera della legge n. 233. La recente legge sull’editoria (legge 26 ottobre 2016, n. 198) ha prorogato le funzioni della Commissione fino all’approvazione della nuova delibera che definisca l’equo compenso, ma occorre che ciò avvenga presto e in maniera coerente con il dettato normativo per impedire che il giornalismo in Italia muoia e con esso il diritto alla libertà di informazione e all’informazione corretta;

attraverso la tutela dei giornalisti è possibile garantirsi un argine contro le «bufale» e l’informazione artefatta, il cui numero e peso sono in costante crescita;

occorre che nel concetto di «remunerazione proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto dai giornalisti», la Commissione includa anche la copertura di tutte le spese necessarie per la scrittura di articoli e reportage, in «coerenza con i trattamenti previsti dalla contrattazione collettiva nazionale di categoria in favore dei giornalisti titolari di un rapporto di lavoro subordinato», come si esprime la legge –:

quali iniziative intenda assumere per garantire che la Commissione per la valutazione dell’equo compenso nel lavoro giornalistico concluda positivamente i suoi lavori in tempi rapidi e quali altre iniziative ritenga necessario promuovere per garantire che il lavoro dei giornalisti freelance sia retribuito in maniera equa e proporzionata, in attuazione dell’articolo 36 della Costituzione.

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