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“Il giornalismo in cui credo”

maria grazia mazzola

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Il cronista è prima di tutto un testimone veritiero dei fatti ha il diritto-dovere di raccontare ciò che ha visto e di indagare per scoprire e accertare la verità in modo completo e senza omissioni o censure. Questo è il giornalismo nel quale io credo, per il quale ho cominciato a collaborare dopo la mia laurea nell’84 al quotidiano L’Ora e poi con la sede regionale Sicilia della Rai fino a Samarcanda, TG1, Report, Ballarò, Annozero.

In una Palermo insanguinata da omicidi di mafia, studentessa di Scienze Politiche, all’arrivo del generale Dalla Chiesa a Palermo avevo colto il suo appello pubblico a impegnarmi nel volontariato.

So bene cosa sia il controllo del territorio e l’appartenenza ad un altro Stato. Non a
quello italiano.

L’intimidazione che esercita in modo militare una famiglia mafiosa sul territorio di appartenenza è di tipo fisico e psicologico, culturale e di imposizione delle leggi di una presenza occulta. La presenza della famiglia il cui boss è condannato per associazione mafiosa pesa per prima sui cittadini che abitano in quel quartiere, in quella strada, in quella città. In termini di obbedienza per paura non è riconosciuta la Costituzione italiana e le leggi che la rendono sovrana.

Avere assicurato al carcere – con impegno giudiziario indiscutibile – numerosissimi capi clan e capi mafia in Italia non vuol dire affatto avere liberato i territori da queste mafie. Mafie che nutrono rabbia per le condanne. In quei territori i traffici continuano in modo diverso. In via Petrelli a Bari al quartiere Libertà con due microcamere per prima cosa ho chiesto ai cittadini della famiglia Caldarola. Ho posto domande sui figli del boss Caldarola: uno condannato per omicidio e l’altro da minorenne con un procedimento penale per stupro su una minore e una prima condanna per rapina. Per Speciale TG1 sto indagando questa realtà dei giovanissimi e le mafie. Stiamo informando da anni sul Programma Liberi di Scegliere del Tribunale dei minori di Reggio Calabria sul togliere in taluni casi i figli alle famiglie di mafia per farli studiare al Nord affidati a famiglie di volontari. Programma oggi diventato Protocollo nazionale. Porre queste domande in via Petrelli ai cittadini che vi abitano, vederli a testa bassa, silenti, rassegnati, muti, spenti ha significato molto. La moglie del boss è uscita come un proiettile chiamata dalle donne che erano fuori. Io ponevo domande sul suolo pubblico. Su una strada. Non dentro un’abitazione privata. Se una persona non vuole rispondere alle domande di una cronista, gira le spalle e se ne va. O rimane in casa tanto più che tale persona era costernata per un lutto privato – a suo dire –  lutto del quale sulla strada non c’era il minimo segno. Perché mi ha aggredita con un cazzotto sul viso? Per una dimostrazione pubblica a tutti i giornalisti italiani. Qui i giornalisti non devono venire. Qui nessuno deve fare domande. Una lezione per mettere a tacere una giornalista dell’altro Stato. Quello che si riconosce nella Costituzione italiana. Eravamo su una strada pubblica con molte persone presenti. In 30 anni di inchieste di mafia sono stata minacciata, querelata, pedinata, mi sono state puntate le armi, ma mai nessuno mi aveva aggredito dandomi un cazzotto. MAI. Qualcosa significa. La mattina del 9 febbraio avevo registrato Don Ciotti all’Oratorio del Redentore dove don Francesco Preite e i volontari si impegnano a presidiare il quartiere per la legalità e il sostegno ai giovanissimi e alle loro famiglie disagiate.

Alla moglie di Lorenzo Caldarola sono saltati i nervi proprio quel giorno. Forse si è sentita accerchiata dalla Costituzione italiana? Da Libera? Dall’articolo 21?

La notizia vera è: PER LA PRIMA VOLTA L’ARTICOLO21 DELLA COSTITUZIONE ITALIANA ENTRA IN VIA PETRELLI AL QUARTIERE LIBERTÀ DI BARI, LA MOGLIE DEL BOSS CALDAROLA REAGISCE E SFERRA UN CAZZOTTO ALL’INVIATA DEL TG1 MARIA GRAZIA MAZZOLA. LA CRONISTA CHIAMA SUBITO LA POLIZIA.

E non solo. C’è una seconda donna che dopo che arrivano due volanti mi minaccia davanti ai poliziotti. Anche lei ho registrato e denunciato. E quella donna mi intima di tacere davanti alla polizia, immagina un po’. Tenta di farmi tacere. Ecco cosa è accaduto in via Petrelli. Le microcamere hanno registrato tutto.

C’è una innegabile emergenza di tutela che riguarda il diritto-dovere di informare ed essere informati in Italia. L’aumento di colleghi aggrediti, minacciati e addirittura scortati dimostra che siamo entrati da tempo in una zona rossa. Il giornalismo di inchiesta si pratica poco e non è incoraggiato. Forse infastidisce alcuni editori? Forse pesta i piedi ad alcuni imprenditori e cordate? Ci sono anche colleghi addirittura malpagati, sfruttati, che lavorano gratuitamente o ricattati con contratti part-time da fame. L’autonomia e le garanzie contrattuali sono indiscutibili per l’indipendenza di un giornalista.

Poi c’è lo pseudogiornalismo amicale: “Io vengo dal Perù fammi la domanda che vuoi tu”. Ci sono quelli di “una domandina a piacere”. Quelli degli scoop ai condannati o ai componenti di famiglie mafiose senza spiegare e documentare chi sono gli interlocutori, le condanne che hanno riportato e i crimini che hanno commesso, senza documentare la verità accertata.

Ecco perché veniamo aggrediti e minacciati perché crediamo e viviamo la Costituzione italiana ogni giorno e non prendiamo il caffè amicale con interlocutori compromessi. Ci aggrediscono e minacciano perché raccontiamo solo ciò che vediamo, ci minacciano perché non poniamo ‘domandine a piacere’.

C’è il prezzo che si paga per porre domande ai potenti di ogni tipo, potenti che non ti sferrano un cazzotto ma te la fanno pagare in altro modo, in modo che non appare.

La lista è lunga. Ai colleghi minacciati, aggrediti e scortati va la mia solidarietà.  Ho un appello da rivolgere a tutti: alziamo la guardia sull’informazione non solo sulle mafie ma anche sulla cultura. Sia una informazione credibile per i cittadini, libera da pressioni e cordatine di alcun tipo. Siamo chiamati a fare tutti di più per il nostro Paese, perché i cittadini possano credere nell’articolo 21 della Costituzione e nelle leggi che la sostengono perché il Paese sia libero da ogni forma di violenza. L’Italia merita il nostro amore.

Maria Grazia Mazzola
Inviata Speciale TG1

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