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“I tagli alle pensioni d’oro cancellano il prelievo forzoso Inpgi”

cumulo pensione

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Paradossalmente, poi mica tanto, il contributo di solidarietà, cioè il prelievo forzoso sulle pensioni Inpgi, rischia di essere annullato, cancellato, superato in forza di una vera legge taglia assegni previdenziali da 90mila in su, il ddl 1071 all’esame della Camera su proposta della larga maggioranza parlamentare M5s-Lega. Una norma casalinga, la nostra, con l’unica valvola di sicurezza di una sentenza del TAR del Lazio, non può reggere all’urto di un provvedimento legislativo erga omnes, ed è destinata ad essere di fatto abrogata. Se via Nizza verrà giocoforza esautorata dal tassare per le proprie casse le pensioni d’oro già sotto torchio per obbligo di legge, diverrà inevitabilmente automatico togliere l’imposizione del prelievo forzoso anche da tutte le altre per evitare due pesi e due misure.

Per l’Inpgi sarebbe un brutto colpo alle sue casse, perché non vedrebbe più un euro per la sua quadratura dei conti. D’altra parte pare assai improbabile che penta stellati e soci intendano rispettare le ragioni autonomistiche di alcune categorie come quella dei giornalisti così invisa agli attuali governanti, al punto di volerne eliminare il loro Ordine. Ormai sono partiti lancia in resta verso l’obiettivo della spremitura dei redditi previdenziali al momento ritenuta la strada principale, più comoda e diretta per portar soldi alla fucina delle promesse elettorali, che difficilmente si convinceranno a far marcia indietro anche di fronte a dubbi di spessore giuridico e persino costituzionale. Sebbene si ripromettano di destinare i proventi del salasso a sostegno di un Fondo risparmio per risollevare le pensioni più basse e aumentarle fino a 780 euro, si tratta pur sempre di promuovere prestazioni assistenziali e non previdenziali e, di conseguenza, la copertura finanziaria andrebbe assicurata a carico fiscale di tutti i contribuenti (art. 53 della Costituzione).

E poi appare come una contraddizione di sistema il ricalcolo retroattivo, non più contributivo come annunciato in prima battuta, ma sull’età del pensionamento. In pratica, come è successo in tante aziende editoriali, chi è stato mandato in quiescenza ancor giovane, tanti giornalisti fra i 58 e i 60 anni, è colpevolizzato e penalizzato con sforbiciate dei loro assegni fino al 20/25%. Così si afferma il principio che le responsabilità della crisi occupazionale e dei licenziamenti siano da scaricarsi tutte sulle spalle di quanti sono stati costretti dai padroni del vapore ad andare casa anzitempo invece di restare al loro posto a lavorare.

Romano Bartoloni
Presidente Gruppo romano giornalisti pensionati

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