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Attività giornalistica in programmi radio-tv di intrattenimento o svago, la sentenza

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Importante decisione della Cassazione (ordinanza n. 25540 del 12 ottobre 2018) sull’attività giornalistica anche in programmi radiotelevisivi di intrattenimento o di svago, purché con contenuto propriamente informativo: “ai fini dell’inquadramento quale giornalista professionista non sono decisivi né il formale inquadramento in diversa qualifica professionale, né la struttura aziendale dell’ente presso cui si presta l’attività rilevando, viceversa, il peculiare carattere informativo delle mansioni svolte”. La pronuncia della Suprema Corte potrebbe consentire all’INPGI di ottenere dalla RAI il pagamento di consistenti contributi previdenziali anche arretrati.

Con ordinanza n. 25540 del 12 ottobre 2018 la Cassazione ha stabilito che “ai fini dell’inquadramento quale giornalista professionista non sono decisivi né il formale inquadramento in diversa qualifica professionale, né la struttura aziendale dell’ente presso cui si presta l’attività rilevando, viceversa, il peculiare carattere informativo delle mansioni svolte.”

Inoltre “costituisce attività giornalistica la prestazione di lavoro intellettuale diretta alla raccolta, commento ed elaborazione di notizie attraverso gli organi di informazione, in cui il giornalista si pone quale mediatore intellettuale tra il fatto e la sua diffusione, con il compito di acquisire la conoscenza dell’evento, valutarne la rilevanza in relazione ai destinatari e confezionare il messaggio con apporto soggettivo e creativo, assumendo rilievo la continuità o periodicità del servizio nel cui ambito il lavoro è utilizzato, nonché l’attualità delle notizie e la tempestività dell’informazione”.

Per i supremi giudici “non può iscriversi, in maniera riduttiva, l’attività giornalistica radiotelevisiva soltanto nell’ambito dei radio o telegiornali o nelle testate tipicamente giornalistiche e di informazione, ben potendo rientrare la stessa anche in programmi di intrattenimento o di svago, purché con contenuto propriamente informativo (Cass. 16/12/2013 n. 28035, Cass. 19/1/2016 n. 830), essendo irrilevante a tali fini la legge 3 febbraio 1963, n. 69, sull’ordinamento della professione di giornalista, (posto che la legge citata presuppone e non definisce l’attività giornalistica, Cass. 29/8/2011 n. 17723)”. Infine non é “significativa ai fini del riconoscimento della natura giornalistica dell’attività svolta dal dipendente RAI la struttura aziendale dell’ente presso cui egli presta la sua attività, rilevando piuttosto il peculiare carattere informativo (nel senso sopra esposto) delle mansioni svolte (Cass. 27/6/2013 n. 16229).”

L’importante decisione della Suprema Corte di pochi giorni fa potrebbe consentire all’INPGI di ottenere dalla RAI il pagamento di consistenti contributi previdenziali anche arretrati.

Questo caso tuttavia costituisce la riprova della necessità di un’urgente norma di legge che faccia obbligo a chi in tutta Italia intenda intentare causa di lavoro per il riconoscimento di attività giornalistica (come appunto nel caso di richiesta al Tribunale del lavoro di accertamento del diritto di una lavoratrice assunta come programmista regista di quarto livello impiegati ed operai RAI a percepire il trattamento economico corrispondente alla qualifica di redattore ordinario con effetto retroattivo ai sensi del contratto nazionale di lavoro giornalistico e dell’Accordo Integrativo Rai-Usigrai), di chiamare OBBLIGATORIAMENTE in giudizio anche l’INPGI. Purtroppo, oggi, invece, l’INPGI non viene mai chiamato in causa dal lavoratore – come nella vicenda in esame – e viene informato eventualmente solo dopo la decisione definitiva, rischiando così di perdere del tutto per prescrizione i contributi dovuti.

A mio parere occorre, invece, che l’INPGI lo sappia sempre fin da subito e il giudice alla 1^ udienza non proceda se mancasse la chiamata in causa dell’INPGI.

Pierluigi Roesler Franz

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