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IX Congresso ASR: relazione del segretario Lazzaro Pappagallo

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Ricostruire la categoria: la frammentazione, i problemi di sistema, l’azione di stampa romana, la prospettiva di medio periodo.

Di fronte alla più grave crisi industriale dell’editoria italiana libera e democratica, una crisi senza precedenti dalla seconda guerra mondiale, una crisi di numeri di copie vendute, di modelli  industriali, di figure professionali, di innovazione, di credibilità nei confronti dei cittadini possiamo reagire in due modi, entrambi legittimi.

Contemplare e difendere il passato.

Un passato glorioso fatto di conquiste sindacali, di diritti, di contratti generosi in grado di agganciare e strutturare gli enti di categoria, inpgi e casagit su tutti. Un passato che è la base di tutti noi, per il quale esiste il sindacato unitario e stampa romana nel nostro caso.

Un passato che ha tuttavia problemi di tenuta complessiva, agganciato alla gestione di stati di crisi aziendale infiniti, e nel quale, nonostante la manutenzione degli stati di crisi, franano alcuni elementi strutturali che hanno definito quel passato nelle forme e nei modi che conosciamo.

L’altro modo e’ innovare, riconoscere il mondo del lavoro per quello che è, senza parametrarlo su quanto accadeva venti anni fa, riconoscendo nella memoria collettiva, nella competenza e articolazione sindacale un modello su cui misurare questo nostro tempo difficile e impegnativo, conducendo a sintesi le linee di difesa ineludibili per un sindacato che si ritiene tale, non rinchiudendosi tuttavia in un fortino in cui ci sono sempre meno colleghi a popolarlo e che semplicemente non tiene più, poiché sono devastate le prime linee di difesa.

La risposta alla domanda iniziale e’ retorica, avendo in questa stagione stampa romana dimostrato che è la seconda la strada da percorrere, senza indugi e tentennamenti, con forza e decisione, senza raccontare frottole ai colleghi e alle colleghe. Ma prima di arrivare agli elementi di analisi consentitemi di ricordare che entrambe le visioni, ripeto entrambe legittime, presuppongono che il centro del dibattito, il cuore dell’azione del sindacato sia il lavoro.
Potrebbe essere una banalità, non lo è.

È il lavoro il cuore dell’appartenenza alla nostra comunità. Chi si iscrive al sindacato cerca tutele e diritti legati al lavoro, ai contratti, alle collaborazioni, al lavoro autonomo ma certamente legati al fatto di di trovare e pubblicare notizie. È quindi necessario che la nuova stagione sindacale torni a guardare alla nostra unica stella polare il lavoro, il nostro lavoro, un presidio fondamentale di crescita civile, con le autonomie e le tutele per i giornalisti al servizio della libertà, della democrazia, dei cittadini di questo paese. E il lavoro a partire dalle redazioni, nuclei di competenze, di saperi, di condivisione, di confronto, di sapienza professionale, nuclei ridotti oggi all’osso, quotidianamente impegnati nella produzione, di carta, di agenzia primaria, di radio, di TV, multipiattaforma, nuclei da ascoltare e da difendere e da riposizionare nel nuovo contesto, nuclei dai quali tanti colleghi potrebbero trasmettere valore professionale, esperienza, sapienza collettiva ai giovani più naturalmente smanettoni laddove però ci fosse una possibilità seria e rilevante sotto il profilo del prodotto di incrociare e scambiare le competenze.
Un paio di settimane fa i sindacati confederali sono scesi in piazza proprio perché non esiste stato democratico senza lavoro, non esiste propulsione sociale se mancano opportunità e ragionamenti sul lavoro, esiste un corretto rapporto con il Governo, con qualsiasi Governo se nell’agenda generale il lavoro trova spazio adeguato al perno e al fondamento della nostra Costituzione. C’è un ordine gerarchico degli articoli della Costituzione e non è solo un caso aver posto e scritto l’articolo 1 in un certo modo.

Torniamo a noi.

Negli ultimi dieci anni abbiamo perso 3800 articolo uno. I rapporti complessivi principali superano di pochissimo le 15mila unita’, il rapporto pensionati attivi e’ assolutamente insostenibile con un attivo e mezzo che pagano la pensione di un collega non più al lavoro, che guadagna di più di chi è attivo, la Casagit, a detta del presidente Cerrato, se non procede al più presto alla riforma cessera’ di esistere nel 2026.

Ancora peggio l’età media degli iscritti Casagit e’ passata negli ultimi anni da 47 a 58 anni. È la fotografia più nitida di un ascensore bloccato con pochissimo turnover, senza ricambio generazionale, e con la generazione di mezzo costretta, invecchiando, a reggere sulle spalle di stipendi in contrazione gli istituti di categoria.

La tenaglia schiaccia i giovani e comprime diritti, carriere e aspettative delle donne: le maternità rinviate nel tempo e le sostituzioni per maternità sempre più rare nelle aziende perché anche queste rappresentano un inatteso risparmio per non parlare dei licenziamenti individuali delle colleghe.

Notiamo l’effetto cesoia anche a livello sindacale se dai 6mila iscritti di venti anni fa a stampa romana siamo oggi 3mila, se a livello della federazione i lavoratori autonomi non si iscrivono più, se al recente congresso di levico terme chi aveva meno di quarant’anni tra i delegati si contava sulla punta di una mano, forse due.

Ho ricordato tutti i punti di crisi che riguardano il nostro sistema avendo sempre ben presente che per quanto rappresentativo il sindacato non accoglie tutta la categoria e che la crisi del sindacato è il riflesso della crisi della categoria all’interno di una enorme trasformazione industriale.
Se rileggiamo le analisi di qualche anno fa tutte e dico tutte trattavano la crisi dell’editoria italiana come una crisi congiunturale, come una crisi ciclica legata anche alla crisi dei mutui subprime e poi del debito sovrano. Non appena l’economia nazionale si fosse ripresa noi saremmo ripartiti potendo contare su un generoso sostegno pubblico e mediando con le esigenze degli editori sul piano contrattuale.

Sono state letture completamente sbagliate.

La crisi non era ciclica. Ancora oggi ci aggiriamo in zona recessione come sistema paese.
E soprattutto non era ciclica la trasformazione del settore. Il digitale, i social hanno cambiato completamente lo scenario nel quale si lavora, il quadro generale della produzione, la catena del valore aggiunto. In questo non risparmiando alcun settore nel cambiamento anche se non tutti i settori (penso alla grande emittenza pubblica e privata) ne hanno subito i riflessi economici.

Questo cambiamento è stato gestito con approssimazione da parte degli editori, senza alcuna idea strategica, un po’ perché molti di loro erano e continuano a non essere editori puri, un po’ perché, abituati a non considerare centrale il prodotto, hanno cercato scorciatoie consolidate, nel rapporto con il governo di turno, sfruttando la legge 416, con i prepensionamenti e gli stati di crisi prospettici, con un attacco deciso e perentorio al contratto di lavoro.

Il sindacato si è accodato a questo tipo di prospettiva. Per tre quattro anni la preoccupazione anche nostra era capire come ottenere soldi per avviare una ennesima stagione di prepensionamenti i quali si traducono in meno lavoro, in meno stipendi, in un turnover ridicolo con il rapporto codificato 3 uscite per 1 ingresso, un ingresso che le aziende a volte neanche rispettano. Sembra la metafora di Petri, del grande maratoneta, che tutti vogliono accompagnare al traguardo anche se sfatto, morente, in difficoltà enorme, come se non ci fosse un domani.

Il segretario di Stampa Romana Lazzaro Pappagallo

Questa prospettiva, tutta spostata sull’uscita, ci ha fatto male. Ha fatto male alle aziende che hanno solo investito sul taglio scriteriato dei costi senza pensare a crescere di fatturato (con le dovute eccezioni Cairo, Fatto, Huffington, Fanpage tra le altre), a un prodotto rinnovato che non può che arrivare da assunzioni e da giovani in redazione. Ha fatto male alle redazioni ridotte a una riserva indiana in molti casi con il lavoro esploso in una specie di enorme desk senza ricambi interni, con le carriere bloccate, con numeri ridottissimi e la qualità dei prodotti, cioè le notizie, affidate a una rete di collaboratori pagati pochissimo.

Ha fatto male al prodotto molto spesso omologato, con agenda delle notizie uguale, con poca presenza per strada – un errore clamoroso aver eliminato gli inviati dal contratto -, con notizie che permetterebbero di vendere differenziando il prodotto, non così centrali nel ragionamento collettivo, troppo spesso condizionato dal racconto delle convulsioni e dai retroscena dei palazzi, anzi decisamente da mettere in un angolino se le notizie da pubblicare sfidavano il potere di turno, politico o economico che sia.

Quindi contemporaneamente abbiamo un gap generazionale, un prodotto statico, un interesse delle parti sociali tutto spostato sulle uscite. Potevamo invertire la rotta? Certo che si. Ma per farlo avevamo bisogno di lucidità, di analisi del mercato giornalistico, di dirigenti in grado di capire cosa accade attorno a noi, di ascoltare e vedere, riconoscere il lavoro che cambia e articolare strategie.

Assistevo qualche giorno fa a una conferenza stampa in Regione. Ricordo le mie prime esperienze: scrivevamo tutti su taccuini e agende, anche chi faceva TV. Ho invece registrato, su una ventina di colleghi presenti, cinque colleghi che prendevano appunti tra penna e digitale, otto smartphone, cinque telecamerine. Ci e mi dice qualcosa questa foto del cambiamento in atto, già avvenuto nelle cose e nei luoghi di lavoro ma non contrattualizzato, non presente nelle griglie che riconosciamo, con qualche protagonista di quella conferenza stampa che, pur facendo il giornalista, orgogliosamente diceva a tutti di non esserlo?
Allora questa ed altre fotografie magari più nitide indicano i cambiamenti che dobbiamo raccogliere e che dobbiamo rimettere nel sistema.

Farlo oggi è ancora più difficile vista una legislazione sempre più spostata sui datori di lavoro, vista l’assenza di un sostegno pubblico, una stagione ormai residuale del finanziamento pubblico, con un mondo politico che sembra aver espunto la questione informazione perché appunto nel mondo digitale provvedono da soli, non serviamo più a gestire e promuovere con le notizie il consenso.

Nell’assumere come elementi ineludibili questi dati di fatto e tenendo la barra dritta sul lavoro dobbiamo affrontare qui e a livello federale due questioni centrali: il digitale, l’ambiente nel quale tutti lavoriamo, e i diritti.
Il digitale e’ la madre di tutte le questioni aperte. Digitale significa ricostruire le filiere produttive all’interno delle redazioni, ma significa anche risorse, significa algoritmi, la struttura del dna di come si muove e si sposta una notizia, significa concentrazione editoriale, significa editori e la sfida che dobbiamo lanciare anche sul contratto e significa importanti e concrete questioni di democrazia sindacale interna. Una questione trasversale che taglia a fette una serie di temi centrali.

Vado in ordine.

Le filiere produttive.
Siamo sicuri che all’interno delle redazioni romane si siano ricucite le filiere produttive tra analogico e digitale? Mi sembrerebbe una ovvietà ma non lo è. Questi sono stati gli anni in cui è stato affondato in Rai il piano Verdelli che diceva in sostanza digital first e in cui Giuseppe Smorto, vicedirettore di Repubblica, ora guidata da Verdelli, ci raccontava un mese fa in un dibattito pubblico organizzato da Stampa Romana dedicato al digitale, che era stata una grande conquista aver trasportato l’area digital del più importante quotidiano con base a Roma al terzo piano della Cristoforo Colombo dai piani più bassi della struttura, facendoci capire nello stesso tempo che si può fare qualcosa di meglio.

E chissà se i sistemi operativi di analogico e digitale comunicano ovunque nelle redazioni tra di loro. Quindi i mezzi di produzione devono essere riportati a unità, perché un passo che sembra solo tecnologico e’ già un passo di ricucitura delle differenze di ambienti di lavoro tra colleghi. E sono passi che rafforzano la sovranità editoriale delle aziende.

Una sovranità minacciata dai rapporti impropri, a volte incestuosi tra queste con Google e Facebook. Se è vero che essere indicizzati da google news, gli snippet, gli instant articles di Facebook ha generato visibilità per i siti delle testate, rappresenta tutto questo una cessione di sovranità editoriale intollerabile.

Bisogna fare esattamente come gli ott: conservare, proteggere i dati dei lettori, della propria comunità iniziando dalle newsletter e invitare i lettori a far parte di quell’ecosistema di un’azienda editoriale che non deve necessariamente essere giornalistico. In altri contesti con ben altra platea degli utenti il New York Times fa centinaia di assunzioni di giornalisti in un prodotto modulato tra accessi limitati al sito, abbonamenti, newsletter e quant’altro e con il valore aggiunto che arriva da ingegneri e sviluppatori che ti trattengono nell’ecosistema aziendale, anche con le parole crociate digitali.

Se ci pensiamo bene anche in Italia all’epoca della spinta dei giornali alcuni picchi di vendita, penso all’Unita’ diretta da Veltroni e ai Castori dedicati ai grandi registi di cinema, arrivarono da un sistema identico. Insomma nulla si crea e nulla si distrugge anche in questi tempi così tumultuosi.

L’importante e’ che gli investimenti derivanti dai profitti siano girati sull’informazione. In Italia gli editori stanno lavorando sulla sovranità editoriale? Non ci risulta.
Dicevo di Google e Facebook. Qualche giorno fa per lo scandalo Cambridge analytics il governo inglese ha definito la piattaforma di Zuckerberg gangster digitale. Ora senza arrivare agli estremi di Al Capone possiamo chiedere a livello nazionale o internazionale che la questione del diritto d’autore sia definita con ricadute positive su editori e giornalisti? Possiamo considerare quelli come santuari condizionabili da una politica non prona ai loro interessi?

Possiamo ricavare da loro quei danari che lo stato non vuole più mettere nel sistema? Possiamo richiamarli alle loro responsabilità o dobbiamo assistere ai tentativi tipo il dni, la digital news initiative di Google di elargire mance agli editori e non sappiamo se e come siano stati impiegati i danari girati da Menlo park alle aziende italiane.

Proprio qui abbiamo problemi di concentrazione e di libertà perché non sappiamo nulla sulla gestione degli algoritmi, sui loro codici, sui cambi repentini che costringono ad adattamenti delle redazioni per modulare le notizie e farle trovare sui motori di ricerca. Questo si che è un grande problema di libertà generale e di interesse collettivo. Regolare questi meccanismi non significa ignorare i social, significa anzi usarli e usarli bene. Perché con quelli si distribuisce il prodotto e lo si reinventa.

Quando il centro ricerche Datamediahub ci dice che il quotidiano italiano più social, la stampa, interagisce due volte al giorno con i suoi utenti per commentare le notizie comprendo che siamo ancora all’anno zero. Le comunità digitali si curano perché le persone vogliono essere ascoltate e il digitale, come raccontava un collega di Repubblica, Massimo Russo, durante una iniziativa di difesa della libertà di stampa, e’ semplicemente la vita.

Se si pubblica una notizia e la si lascia lì senza seguirne la coda lunga con i lettori significa che quel lettore prima o poi non farà più parte del tuo gruppo, non ti seguirà più, e forse non comprerà nulla da te né su carta, ne’ su digitale. I social se usati bene accrescono la comunità e l’esperienza tutta italiana di fanpage forse ci deve dire qualcosa.

Il digitale significa nuove figure professionali: i social media manager, i videomaker, i mojoers, chi produce tramite smartphone.

E qui arriviamo al contratto di lavoro.

Se non introduciamo dalla porta principale dagli articoli 1 queste figure non saremmo in grado di rappresentare un mondo già cambiato. In questo il contratto uspi, avendole riconosciute, ci offre una mano. Essendo figure digitali e’ ovvio che siano anche giovani che portiamo nelle redazioni. E qui iniziamo ad arrivare a stampa romana. Stanchi di un immobilismo anche sindacale da un paio di anni abbiamo fatto due cose molto semplici e molto concrete.

Ci siamo mossi nella riflessione alta, nel ragionamento organizzando giornate seminariali, avendo cura di invitare colleghi con una certa robustezza professionale e politici di ogni razza e fede. E ci siamo mossi nella pratica concreta con i corsi di aggiornamento professionale, la formazione a pagamento e quella gratuita per i disoccupati.

Sulla riflessione siamo stati i primi a tematizzare la web tax come una necessità per il settore e siamo stati i primi a considerare produttivamente e sindacalmente centrale la questione del digitale. Tutti i dibattiti sono stati trasmessi in streaming con migliaia di visualizzazioni proprio perché dobbiamo uscire dalle nostre stanze sindacali e coinvolgere i colleghi, farli partecipare.

Sui secondi siamo l’unico sindacato territoriale ad aver lavorato con costanza sul cambiamento professionale, invitando i colleghi ad accettare la sfida, insegnando word press, seo sem, elemento di autoimprenditorialita’ editoriale, social media manager, videomaker, uso dei droni, info grafica, data journalism.

I primi e gli unici che in questo modo hanno riqualificato 630 colleghi con tre lamentele. 3 su 630. Gli stessi strumenti sono stati messi gratuitamente a disposizione di 40 disoccupati over 45 con corsi finanziati dalla regione. Siamo in sostanza il sindacato che agisce nel concreto per cambiare ma anche per esporre pubblicamente cosa bolle nella nostra pentola. A Stampa romana la formazione professionale e’ diventata un perno di un sindacato moderno e concreto, rinnovato, capace di attrarre e usare le professionalità di grande livello presenti all’interno della categoria.

E, consentitemi, digitale significa anche il passaggio elettorale che abbiamo vissuto. Un passaggio anche quello necessario e concreto, replicabile e sviluppabile anche in occasioni che non siano le elezioni, uno strumento formidabile di democrazia e di partecipazione i cui effetti riscontro in un dato banale ma chiaro: siamo tornati a crescere come iscritti, tornando sopra quota 3mila, 3117 iscritti.

La formazione centrata sui modi di produrre crea nuove comunità trasversali tra iscritti e non iscritti al sindacato, tra dipendenti e lavoratori autonomi, tra giornalismo e mondi simili, filmaker, comunicatori, tutti utili alla causa comune.

L’esempio più calzante e’ stato il mojo festival, tutto dedicato all’informazione prodotta con smartphone. 1300 iscritti ai tre giorni di corsi, 700 partecipanti, un successo senza se e senza, tutto organizzato da noi e dai filmaker, una prima volta assoluta, un lavoro coordinato anche con l’università La Sapienza, il Coris, e le due scuole di giornalismo della Lumsa e Luiss, uno spicchio essenziale di rinnovamento e di proiezione per il futuro. Li’ c’erano molte cose interessanti e soprattutto l’ambizione di trovare opportunità di lavoro pagate decentemente con un prodotto fatto bene.

Dal digitale ai diritti. Intanto non diritti generici che non significano nulla ma diritti sempre e solo legati al lavoro e qui dobbiamo partire dai più deboli di noi. Prima di arrivare alle situazioni limite guardo la vastità della platea e i primi a essere i più deboli e fragili sono i lavoratori autonomi e i cococo. Questi ultimi vittime di un doppio delitto: la direttiva Lotti sull’ equo compenso e l’inserimento sciagurato nel contratto.

I venti euro a decrescere a prestazione sono stati considerati incostituzionali. I cococo nel contratto sono stati un triplo errore: non si inseriscono in un contratto di lavoro subordinato figure atipiche, la media retributiva dei cococo, dati inpgi, e’ al di sotto degli 8mila euro, al di sotto della soglia di povertà, dalle denunce, anche effettuate da FNSI, se ne deduce che non si è riusciti a far rispettare neanche quei minimi ridicoli.

I cococo dunque devono sparire. In questo senso avendo la leva della legge sull’equo compenso abbiamo supplito ad una assenza della FNSI proponendo ricorso al TAR per chiedere la riapertura del tavolo negoziale e avere parametri rispettosi dell’articolo 36 della costituzione oltre che adeguata liquidazione giudiziale dei compensi. Risolvere la questione della dignità del lavoro, di tempi corretti di pagamento, di lavoro correttamente retribuito significa dare risposte ai due terzi dei colleghi che lavorano al di fuori delle redazioni, che non si iscrivono al sindacato e che ci guardano come una ridotta di privilegiati.

L’attacco ai diritti arriva anche nelle redazioni, un attacco a volte violento e volgare. In un momento così difficile e’ stata cura di stampa romana accompagnare le redazioni, difenderle negli stati di crisi per strappare il miglior risultato possibile con l’assistenza continua del gruppo dirigente e dei nostri legali. Il che non significa firmare qualsiasi cosa. Il sindacato non firma qualsiasi cosa, firma le cose che ritiene giuste dopo il confronto con i cdr e le redazioni, firma le cose sostenibili che non compromettono decenni di esperienze sindacali e di sapienza collettiva.

I casi del Velino e di askanews sono i più gravi di un tentativo forzato e unilaterale di gestione delle crisi, innescate da errori clamorosi delle aziende.

Il velino significa cinque mancati accordi sulla cassa integrazione, azzeramento delle gerarchie interne, assegnazione di incarichi e ordini di servizio con una chat interna usata oggi come se fosse un braccialetto elettronico e questo nonostante l’azienda sia stata condannata per comportamento antisindacale. Askanews significa un concordato in bianco cercato in modo ostinato perché solo in questo modo, pur essendoci in campo altre soluzioni che il comitato di redazione con grande sapienza aveva individuato, si poteva azzerare il sindacato e procedere a quella riduzione di organico che era nei desiderata di Abete.

A questo aggiungiamo i licenziamenti in presenza di stati di crisi che dovrebbero impedirli, vedi la collega del mattino che lavorava a Roma e che ascolteremo tra gli invitati, Maria Tiziana Lemme, e i licenziamenti delle cinque colleghe di Sky.

Quella di Sky e’ una ferita aperta della nostra comunità sindacale. Abbiamo firmato un accordo che in pratica chiudeva la stagione nata a Stream di una redazione romana con più di cento redattori, una grande redazione, solo perché quell’accordo doveva evitare esuberi.

Dopo un anno ci siamo ritrovati cinque colleghe, tutte donne, tutte con più di cinquant’anni, madri, a casa con licenziamenti individuali. Qui abbiamo perso il comportamento antisindacale, ma non abbiamo perso la faccia perché stiamo chiedendo da soli il rispetto di un accordo. E parliamo di una azienda con utili multimilionari. Silvana Aversa che ringrazio per essersi candidata con noi ci racconterà qualcosa in più di una storia vergognosa.

Storia sulla quale invece abbiamo costruito la difesa del presidio del palatino a Mediaset, avendo cura, ai primi contestuali segnali di addio da Roma, di scioperare in modo compatto, di avere mandato a Segrate e Cologno Monzese un segnale chiaro raccolto dai vertici della dirigenza. Una vittoria chiara e indiscutibile nata tutta nelle stanze di stampa romana e dalla propulsione dei comitati di redazione.

Sulla forza e il valore degli scioperi tornerò in chiusura.
L’attacco ai diritti esiste anche quando in situazioni meno tese ci sono colleghi che in una stanza hanno un contratto integrativo e i diritti che ne derivano e altri nella stanza accanto che lavorano nei programmi di rete e non sotto l’ombrello delle testate o sono più giovani che non hanno integrativo in qualche caso, hanno istituti contrattuali forfettizzati o hanno contratti di natura diversa dal cnlg in altri casi o sono finte partite iva.

Avviene tutto questo in grandi aziende private e in Rai dove dobbiamo portare a casa la più grande operazione di assorbimento di precariato e di ingiusta applicazione contrattuale, chiedendo all’azienda di rispettare gli impegni assunti a maggio scorso per chi lavora soprattutto nelle reti, compiendo una operazione non rivolta a venti persone ma che risolva una volta per tutte un meccanismo perverso che divide chi fa lo stesso lavoro per reti e testate.

I meccanismi perversi in queste aziende arrivano anche dalle produzioni affidate all’esterno chiavi in mano. Abbiamo invitato tra gli altri Daniele Piervincenzi non solo perché è stato vittima del più grave pestaggio ad un cronista sul nostro territorio in quattro anni di lavoro a stampa romana ma anche perché in quel caso non lavorava neanche per la Rai. Il suo nome è stato associato alla Rai per le enne volte in cui è stata riproposta quell’azione criminale e per il programma Nemo ma Piervincenzi di diritto e forse neanche di assicurazione lavorava per la Rai ma per la società x.

In un quadro del genere capirete come è fondamentale assicurare ai colleghi adeguata protezione: fisica quando si tratta di questioni di ordine pubblico dalle scorte in giù ma anche assicurative e finanziarie nel caso delle querele temerarie e dei tentativi falliti di depenalizzare la diffamazione. Tutti obiettivi mai centrati dalla nostra comunità che a inizio legislatura sono stati puntualmente riproposti, oggi anche dalle proposte di Primo Di Nicola, collega pentastellato.

Sono queste battaglie di civiltà e sono battaglie di tutela di chi è più debole tra di noi che sosterremo da qualsiasi parte politica arrivino e sulle quali dobbiamo lavorare perché siano tutte le forze politiche a prenderle in carico. Non sono battaglie comprese da tutti ancora oggi anche da chi ha ruoli di responsabilità.

Con Alberto Spampimato e Peppino Mennella di Ossigeno, con cui abbiamo organizzato diverse iniziative pubbliche e uno sportello per cronisti minacciati, abbiamo chiesto due anni fa di incontrare i prefetti del Lazio perché ci rendevamo conto di un allarme sociale importante. Lo abbiamo fatto poco prima della testata a Piervincenzi.

Chi ci ha incontrato ci ha risposto che non ravvisavano una urgenza di ordine pubblico per garantire gli operatori dell’informazione. Restano tuttavia battaglie doverose di libertà per tutti quei freelance che si guadagnano pochi euro di compenso e che di fronte a querele milionarie senza protezione degli editori semplicemente cambiano mestiere o rinunziano a esercitarlo nel modo più efficace. E questo vale, vedi l’Unita diretta da Concita De Gregorio, anche quando le aziende non ci sono più e le querele mettono a rischio e compromettono il tuo patrimonio personale. Su questo c’era stato un intervento robusto di Santo Della Volpe. Dobbiamo recuperare la sua ispirazione e quelle idee.

Chiudo con i dati sugli ostacoli all’informazione. I dati di Ossigeno per cui il Lazio da anni era maglia nera con la massima concentrazione di denunce erano noti a tutti. Sono diventati un patrimonio comune della categoria grazie a Stampa romana. Ci abbiamo costruito una delle prime iniziative proprio in Regione anche con il presidente Zingaretti, abbiamo lavorato con l’associazione nazionale magistrati sulla base di quei dati. Ed era ed è incredibile che il nostro mondo che avrebbe avuto gli strumenti interni per riconoscere quei dati e costruire attorno politiche conseguenti per anni non li tenesse in debita considerazione, li nascondesse.

Tre metodi di lavoro: ascolto della base, dialogo con tutti gli attori in campo, le buone pratiche della romana.

Ci siamo caratterizzati in questi anni per un patto esplicito con gli associati e con i colleghi più in generale. Chiunque abbia attraversato i corridoi e le stanze di stampa romana e’ stato ascoltato. Sembra una banalità per il sindacato. Non lo è sempre. Il patto di fiducia si guadagna partendo dai fondamentali. Ascoltare non significa dare le risposte che si vorrebbe sentire. Ascoltare da noi però significa spingere la comprensione delle ragioni dei colleghi al limite, suggerire tutte le opzioni in campo, non alzare le mani scrollando le spalle.

Lo abbiamo fatto per gli esodati, per colleghi e colleghe espulsi dal mercato del lavoro ma senza approdo pensionistico. Un problema evidentemente non solo romano se anche il congresso nazionale a Levico ne ha riconosciuto il rilievo. Un altro esempio non banale arriva dai colleghi della ex fissa. Non discuto la sostenibilità/insostenibilità di un istituto nato in tempi di vacche grasse ne’ della necessità a due anni della definizione di quello che sembrava un punto fermo, già contestato perché apriva un ulteriore scalino con i più giovani, di una ulteriore riduzione ma del metodo con cui centinaia di colleghi sono stati considerati.

La riforma andava spiegata adeguatamente, le lagnanze prese in carico. Noi lo abbiamo fatto chiedendo interlocuzione alla FNSI o semplicemente ospitando i colleghi del comitato alla torretta non considerando affatto le loro riunioni un assalto alla diligenza. Una logica quella di amico/nemico che non ci appartiene, che rifiutiamo perché profondamente antidemocratica, il contrario del metodo che proponiamo, cioè l’ascolto, un metodo che non esaspera i conflitti ma cerca di scioglierli.

Ci sono stati passaggi della nostra vita sociale nella quale avremmo potuto trasferire in sedi più formali i conflitti interni, avendo dalla nostra qualche ragione. Non l’abbiamo mai fatto non per debolezza ma perché un gruppo dirigente deve avere le spalle larghe, reggere le pressioni, agire nel nome di tutti, tutelandone gli interessi. Le critiche, per quanto aspre e dure, non possono essere materia da portare in un tribunale civile. Se scendiamo in piazza per affermare la nostra libertà di espressione neghiamo noi stessi se poi altrove si fa una cosa diversa e la critica sindacale legittima e serrata diventa casus belli di una richiesta di risarcimento danni. Colleghi o istituzioni di categoria contro altri colleghi sono una lesione permanente a una comunità civile, a questa comunità.

Dialogo con tutti gli attori in campo significa innanzitutto avere interlocuzione con la politica. Prima di arrivare al piano nazionale diciamo qualcosa sul nostro livello. La legge sull’informazione regionale e’ anche merito delle nostre idee, delle nostre proposte in commissione raccolte dalle forze politiche. Il primo bando con cui saranno spesi una parte di due milioni di euro e’ stato presentato con un pienone di presenze nella nostra sede. Forse non è un caso.

Soprattutto tutte le forze politiche, inclusi i cinque stelle ostili invece sul piano nazionale al sostegno pubblico, hanno accettato che due milioni di euro potessero finanziare una editoria locale praticamente disarticolata e distrutta dalla crisi. Dal consiglio regionale era arrivata la norma che applicava il contratto giornalistico ai colleghi degli uffici stampa istituzionali, in linea con quanto fatto in altre regioni. La norma e’ stata bocciata dalla corte costituzionale per riserva di legge nazionale e interlocuzione possibile solo con Aran ma è certo che, se non avessimo trovato ascolto trasversale alla Pisana, quella norma, assente da 17 anni, non sarebbe mai stata approvata.

Se dunque abbiamo parlato con tutti sul nostro livello non possiamo non parlare con tutti a livello nazionale. Diciamo che tenderei a non frequentare l’Aventino.
Il profilo professionale e il contratto con Aran per i colleghi che lavorano negli uffici stampa pubblici e’ solo uno dei fronti aperti. La estrema riduzione del finanziamento pubblico all’editoria e’ un’altra ferita che sanguina ma di fronte agli Stati generali dell’editoria che Crimi vuole iniziare tra due settimane per farli durare qualche mese cosa vogliamo fare? Immagino che ci si vada con proposte chiare, discusse con i comitati di redazione – abbiamo chiesto una due giorni immediata di confronto a tappeto -, e con le associazioni territoriali, che si dia battaglia su tutto, che si rompa con il Governo ma dopo non prima dei tavoli, che si conoscano a fondo le dinamiche che attraversano il nostro mondo e le richieste che arrivano dai colleghi.

E’ quella la sede per capire cosa ne sarà dell’Inpgi, dell’equo compenso, della agenzie di primarie di informazione. È quella la sede per ricordare che l’unica proposta in campo per riformare quel settore e’ quella scritta da stampa romana. È quella la sede per capire se il credito di imposta e’ il solo modo per finanziare l’editoria o se tra web tax, tutela del copyright o credito al consumo ci siano altri margini di manovra per recuperare risorse al sistema. È quella la sede per capire come tutelare il pluralismo del sistema radiotelevisivo privato. È quella la sede per capire se si può cambiare la legge sulla governance Rai con il controllo oggi in mano al governo.

È anche quella la sede per capire se è archiviata la stagione di uno Stato che foraggia gli editori con i prepensionamenti per distruggere il lavoro. E’ quella la sede per capire come siano stati spesi quattro miliardi di euro coperti dalla 416 per fare ristrutturazioni industriali o se le ristrutturazioni non erano altro che mandare a casa i colleghi scaricando tutto su stato e inpgi, senza innovazione di prodotto e processo. Parlare allora con tutti e parlare con tutti in Parlamento, perché i passaggi, quelli centrali di sistema, non possono non chiamare alla responsabilità il Parlamento con le sue leggi. Quando abbiamo immaginato una legge sulle agenzie di stampa lo abbiamo fatto anche perché eravamo stanchi di pensare a una dorsale dell’informazione nazionale tutta gestita con logiche dipartimentali, amministrative senza adeguata riflessione e dibattito pubblico, senza una reale considerazione per un presidio giornaliero contro le bufale, le fake news, senza il coinvolgimento dei rappresentanti dei cittadini.

Dialogare, parlare al nostro interno, animare il dibattito pubblico, vedi la assemblea degli iscritti di due anni fa organizzata a venti anni dall’ultima, discutere con altri interlocutori, avere proposte, realizzare azioni. Questo è stato lo stile e lo specifico di Stampa romana in questi anni. Senza subalternità con un grande rispetto dell’identità della seconda associazione dei giornalisti nazionale con il ruolo della capitale ma non dimenticando mai i territori, con una vocazione a tradurre i pensieri, magari con una visione lunga, in azioni concrete, rispettosi dei colleghi e degli iscritti che si aspettano un mondo aperto, informato e non opaco.

In coda alla relazione trovate un elenco di una quarantina di azioni portate avanti con successo dentro e fuori le redazioni, con la società civile e le istituzioni, con una articolazione a tutto campo e la voglia di non chiuderci in una ridotta. Il festival mojo non avremmo potuto farlo senza le convenzioni e i rapporti con la Sapienza e le scuole di giornalismo romane riconosciute dall’Ordine, con i giovani protagonisti del nostro futuro che non può che passare dalla formazione universitaria e postuniversitaria.

La prima convenzione con gli uffici giudiziari di Viterbo, procura e tribunale, non sarebbe nata se non avessimo avuto rapporti con l’associazione nazionale magistrati e non avessimo con loro organizzato seminari in tutta la regione sul diritto di cronaca. E non avremmo avuto niente di tutto questo se non avessimo creato macroaree di discussione aperte ai non iscritti al sindacato e che hanno motivato e fornito argomenti alle nostre iniziative.

Non avremmo avuto iniziative sui territori se non avessimo creato e aperto sedi su province come Viterbo e Frosinone, confrontandoci con redazioni e colleghi in cui la crisi ha prodotto effetti ancora più gravi di quelli avvertiti a Roma. Se oggi siamo qui ospiti dell’Ordine territoriale dei Medici, che ringraziamo, e’ perché anche con loro abbiamo sottoscritto intese, organizzato eventi, partecipato a campagne di comunicazione contro le fake news in un settore così delicato e sensibile per i cittadini, E non parliamo di quanto fatto in associazione.

Abbiamo rinforzato l’area legale cui va tutto il mio ringraziamento. Ai nostri splendidi lavoristi abbiamo associato esperti di diritto amministrativo, di penale. Ci costituiamo parte civile in un processo a Bari in cui vittima e’ la nostra collega Maria Grazia Mazzola aggredita da una protagonista di primo piano di un clan mafioso. Con un ex dirigente della pubblica amministrazione abbiamo scritto il primo bando per un addetto stampa di un ente locale: anche questo un unicum, non esiste altrove. Un modo per evitare che la pubblica amministrazione sbagli per colpa o per dolo.

Un modo per garantire i diritti dei pubblicisti spesso calpestati da bandi completamente sbagliati se non poco trasparenti. Sulla legalità e sul rispetto delle regole di ingaggio ci auguriamo che l’Ordine dei giornalisti a tutti i livelli, nazionale e locale, sia attivo e presente, svolga un ruolo di stimolo e sensibilizzazione ma anche di presidio di legalità facendo rispettare la sua funzione di ente pubblico a garanzia di tutti, rivendicando così la ragione di esistere.

Abbiamo creato sportelli per start up, assistenza per trovare contributi da bandi regionali ed europei, siamo entrati nella commissione regionale sul lavoro autonomo da cui arriverà una proposta di legge sui rider e sulla gig economy sui banchi della pisana. Abbiamo fatto tutte queste cose in situazioni di bilancio in passivo, temendo per il futuro della romana ma cercando sempre di essere socialmente attivi e propulsivi.

In un contesto generale molto complicato abbiamo fatto per bene i compiti a casa, coinvolgendo i colleghi di stampa romana a iniziare dalla direttrice Giusy Scalia, che ringrazio per il lavoro quotidiano e puntuale svolto (penso al sindacale, agli sportelli casagit e inpgi). Hanno accettato e costruito insieme una ristrutturazione di compiti e competenze che ha reso più forte l’azione di Stampa Romana. Il bilancio finalmente chiuso in attivo ci consente di immaginare ulteriori investimenti sui servizi e di migliorare l’area di protezione sociale riservata ai colleghi nelle situazioni di sofferenza più estreme.

Avere riportato sotto controllo la dinamica dei costi e dei conti può farci sviluppare ulteriori azioni a tutela dei colleghi ed essere attrattivi per enti e associazioni che volessero lavorare con noi sulla base dei nostri servizi.
Perché ci salviamo e abbiamo un futuro se ci apriamo, se immaginiamo missioni e prospettive leggermente diverse dalla semplice gestione degli Stati di crisi, se guardiamo in faccia il lavoro dove si trova, come lo si declina e come lo si riporta al nostro interno, come appunto ricostruire la categoria. Se sapremo affrontare con coraggio le dinamiche del nostro mondo al tempo dell’automazione, studiando e analizzando processi e prodotti.

E nell’opera di ricostruzione che già pratichiamo al nostro interno daremo sostegno a tutte le politiche e agli enti di categoria che sapranno agire allo stesso modo, che non saranno chiusi in logiche autoreferenziali ma che avranno ambizione e capacità di riformarsi. Da noi non è mai mancato l’accordo e la sintonia concreta con i fiduciari Inpgi e Casagit Baldi e Antolini che ringrazio per il lavoro svolto, per l’attenzione con cui hanno seguito la vita di stampa romana.

Sei punti programmatici

Il quadro che abbiamo descritto non è e non vuole essere una cornice per il passato ma realtà consolidate che possono essere considerate patrimonio del prossimo gruppo dirigente. Proprio perché tutto quello che ho raccontato sono fatti che ci appartengono e perché il risultato elettorale ci ha consegnato una situazione di rappresentanza frammentata abbiamo proposto sei punti condivisi sui quali lavorare nel merito per l’interesse dei colleghi. Li ripropongo in estrema sintesi:

– l’afflusso di risorse al sistema, redistribuendo i profitti degli over the top come Google e Facebook;
– la difesa netta del contratto nazionale di lavoro FIEG Fnsi con un lavoro autonomo pagato in coerenza con il contratto;
– la difesa di grandi settori che qui producono occupazione: dalle agenzie di informazione dalla grande emittenza, dai quotidiani agli uffici stampa pubblici e privati;
– la garanzia delle prestazioni previdenziali e sanitarie;
– la formazione come motore della trasformazione della categoria;
– la democrazia sindacale come metodo per coinvolgere i colleghi dal referendum sul contratto alla definizione con le redazioni delle nuove figure professionali

Punti programmatici e condivisibili, immaginiamo, per fare cosa?

Per essere fedeli a una ispirazione professionale e democratica, spina dorsale del giornalismo che anima ciascuno di noi.
Per fare una informazione ancorata ai fatti, in giro per le città, a Roma nei quartieri di Roma e in provincia, e da Roma in giro per il mondo. Una informazione non omologata, piena di prospettive, recuperando l’orgoglio di cronisti e inviati, rompendo le scatole ai poteri forti, economici, politici.

A noi il compito di essere servitori fedeli e leali dei fatti e con questo recuperare il rispetto dei cittadini, quel rispetto che le statistiche e i sondaggi danno per disperso. A noi il compito di essere degni dell’articolo 21 della Costituzione, di esprimere e garantire con il lavoro libertà e pluralismo degne di un paese civile e democratico, di riconoscere nel racconto dei fatti un pensiero lungo, libero, laico, capace di accogliere e sottolineare le differenze e non comprimerle.

Il sindacato unitario, un buon sindacato unitario non può che essere un attore di questi processi. Lo è quando fa trattative, quando difende i colleghi minacciati, lo è quando accoglie al suo interno e rappresenta il lavoro nei suoi cambiamenti, lo è quando parla all’esterno e a sua volta registra le mutazioni della società e le descrive, lo è quando lotta per i più deboli al nostro interno, per chi è sfruttato per quattro soldi, lo è quando sciopera.

Qui a Roma ho iniziato il mandato con lo sciopero di Area, tre mesi di sciopero, in cui i colleghi chiedevano che venissero pagati gli stipendi. Chiudo il mandato con la fine dello sciopero di sei mesi del Velino per ottenere il pagamento degli stipendi e un minimo di dignità professionale. In mezzo abbiamo da soli organizzato uno sciopero compatto delle agenzie di stampa che, se fosse stato doppiato da un’altra giornata di sciopero nazionale FNSI, avrebbe bloccato la macchina infernale dei bandi, di Mediaset ho detto, così come abbiamo atteso invano uno sciopero a fine anno per i colleghi di Avvenire, Manifesto, Ciociaria e Latina Oggi, Foglio dopo i tagli al finanziamento pubblico.

Questa breve carrellata mi fa dire che, se i colleghi sono motivati e ascoltati, non possiamo escludere lo sciopero dal nostro orizzonte visuale e che anzi in una stagione così difficile resta uno strumento fortissimo per far sentire la nostra voce, le nostre ragioni per recuperare dignità, per accordarci alla vicende più larghe e più dolorose del nostro paese.

Permettetemi prima di ascoltarci a fondo con un dibattito che mi auguro propositivo per il futuro in cui abbiamo invitato diversi attori del nostro sistema a farci sentire la loro voce, di ringraziare la presidente Rotolo a nome di tutto l’ufficio di Presidenza per la disponibilità e la imparzialità con cui ha svolto il suo compito.

Ringrazio la segreteria che ho guidato a iniziare da Paolo Barbieri che è stato dirigente in grado di assumersi le responsabilità del ruolo che ha esercitato con un dibattito interno alla segreteria vivace e mai scontato. E per tutti coloro che ho conosciuto in questa esperienza un particolare ringraziamento a Roberto Monteforte, la cui saggezza, il cui stimolo continuo e la assoluta generosità rappresentano un mio personale punto di riferimento in anni non banali, intensi, spesi da parte mia senza risparmiarsi, e un valore per la nostra comunità.

ASR: AZIONI SVOLTE CON SUCCESSO

– Proposta di legge su agenzie di stampa
– Primo sciopero unitario di settore – agenzie di stampa
– Sciopero unitario delle redazioni romane di Mediaset
– Stop al trasferimento delle redazioni Mediaset a Milano
– Soluzioni trasferimenti forzati dei colleghi tg5 a Newsmediaset
– Ripartenza del Romanista
– Salvataggio Latina oggi e Ciociaria Oggi
– Comportamenti antisindacali: vinti 3, persi 3
– Rafforzamento assistenza legale: le FAQ sul sito
– Applicazione corretta della legge 150 per uffici stampa (8 bandi contestati)
– Legge il contratto giornalistico in giunta e consiglio regionale (bocciato dalla Consulta)
– Riqualificazione gratuita 40 disoccupati rivolta ad over 45
– Accordo compensi collaboratori Pagina 99
– Statuto lavoro autonomo
– Partecipazione alla commissione regionale lavoro autonomo
– 2 proposte per il rinnovo del contratto Fieg-Fnsi
– Sostegno norma cumulo gratuito pensioni (Visani-BInello)
– Le iniziative di stampa romana (agenzie, web tax, lavoro autonomo, i contratti di lavoro, emittenza privata, digitale)
– Assemblea degli iscritti: la prima dopo venti anni
– Organizzazione in Macroaree
– Riorganizzazione degli uffici e sostenibilità economica bilancio
– Le nuove sedi di ASR a Frosinone e Viterbo
– Nelle sedi decentrate assemblee, servizi e formazione
– Comunicazione completamente rinnovata; un sindacato social
– La formazione ordinistica (es. i venerdì di Polidoro)
– La formazione a pagamento: nuovi strumenti di lavoro, nuove opportunità
– Alleanze sociali: asse con l’Associazione Nazionale Magistrati e Ordine dei Medici
– La difesa dei cronisti: Iniziative con Ossigeno, Csm e Anac
– Accordi quadro con le Università: Sapienza, Link, Università della Tuscia
– Assistenza fiscale: CAF Uil e Fisco Giornalisti
– Accordo con ente di formazione Erfap-Uil
– I bandi regionali ed europei: convenzione con CGR
– La creazione di impresa: lo sportello di Giorgio Poidomani (3 casi vidimati su 62)
– L’incubazione di impresa con Bic Lazio (tre progetti validati alla fine del percorso su 10)
– Accesso al Microcredito
– Accordo con banca digitale N26
– Nuova comunicazione tra newsletter, sito e social
– Nuova sala del primo piano ristrutturata per formazione e freelance
– Delegati per i giovani, per gli under 40
– SOS Cronisti (con Ossigeno)
– Primo festival mobile journalism

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