Facebook qualche giorno fa ha aperto al pagamento delle notizie che viaggiano sul social network. Con formula paywall o con formula freemium applicata agli instant articles Mr. Zuckerberg vuole saldare gli editori anche al 100% del valore e dei dati generati ma vuole “tenere” i lettori all’interno del social network.
Google risponde con la proposta di spostare la propria offerta dal click gratuito a un modello tendente al paywall, al pagamento. Gli editori ne riceverebbero nuovi lettori ed abbonamenti, il colosso di Mountain View nuovi prodotti e servizi agganciati al proprio ambiente web.
Le due mosse dimostrano una serie di cose. Gli over the top hanno la coda di paglia per aver drenato risorse dall’editoria e propongono a modo loro ramoscelli di ulivo. Entrambi si avvicinano alla responsabilità di un vero editore se è vero che tutti i modelli proposti fanno perno sulla permanenza delle notizie sulle piattaforme di Facebook e di Google.
Entrambi tendono la mano quando sanno che sia negli Stati Uniti sia in Europa si pone con forza il tema della digital tax.
Se avessero agito come imprese tradizionali il fisco italiano tra 2013 e 2015 avrebbe incassato 1 miliardo di euro. Per questa ragione, a prescindere dalle loro politiche industriali ed editoriali, è necessario che sindacato dei giornalisti ed editori si battano per la digital tax, spingendo il governo Gentiloni a vararla rapidamente.
E’ una questione di equità fiscale generale ed è una questione di redistribuzione dei redditi. Una parte della digital tax deve ritornare nel mondo dell’informazione professionale che aiuta gli over the top a produrre fatturati ed utili incalcolabili.