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Dentro e oltre Milena Gabanelli

RAI

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Nel 1976 una storica sentenza della Corte costituzionale rendeva l’etere disponibile. La sentenza decretava la fine del monopolio Rai. Si sarebbero aperte le strade delle radio libere e delle TV private, quelle locali e poi i network, Berlusconi su tutti. La Rai, unica sul palcoscenico, doveva decidere cosa fare. E, in un ambiente molto più decifrabile politicamente se non culturalmente, varò il secondo telegiornale dopo la legge di riforma del 1975 e poi iniziò qualche anno dopo con Rai Tre e con la programmazione dal territorio. Era il tempo sulle due reti dei socialisti e comunisti, giusto per semplificare molto. E a farlo fu una dirigenza dal forte baricentro democristiano.

Quei dirigenti sapevano profondamente che non c’era servizio pubblico se non plurale, andando oltre i recinti confessionali di partito, se non si dava spazio alla molteplicità di anime della società italiana, se non si raccoglievano istanze di libertà. Poi il resto, il lavoro quotidiano si giocava dentro l’azienda con le sue illuminazioni e le sue cadute, con i picchi e le vergogne note più o meno a tutti (invadenza dei partiti, censure, editti, ecc ecc).

Il modello tripartito, durato una trentina d’anni, è finito con l’era Gubitosi ma non è stato sostituito da nulla. Era un modello plurale socialmente ma sfibrato industrialmente, sotto attacco anche per la partita del web.

Il web non è solo un modello produttivo. Il web, i social sono la rivoluzione culturale che viviamo, sono il tempo che viviamo. Rappresentano l’idea, giusta o sbagliata che sia, di poter dire la propria da parte di ogni cittadino, di ogni abbonato per Rai, ed essere ascoltati nell’ambiente mediale. Un riconoscimento vocale che replica all’ennesima potenza la missione del servizio pubblico.

Di fronte a questo bivio, sul quale oggi si sacrifica Gabanelli come ieri si è sacrificato Verdelli, si possono fare due scelte:

  1. Rai imbocca la strada dell’arroccamento identitario. Cioè continua Rai a produrre essenzialmente per i media tradizionali, radio e TV, e continua Rai a produrre secondo le linee editoriali del padrone politico di turno che da parecchi anni appiattisce e livella il pluralismo delle voci come centro di azione.

  2. Rai decide di entrare nella rotatoria del web e usare il digitale come alfabeto, con una apertura e una innovazione finora sconosciuta, mettendo tutto il proprio apparato produttivo e redazionale al servizio della novità, dei tempi moderni.

Insomma il punto è sempre quello. Infilarsi nella modernità dopo averla analizzata o restarne al riparo e sfiorarla quanto basta, quando è proprio necessario e non se ne può proprio fare a meno.

Le scelte della stagione 1975/80 hanno assicurato trent’anni di vita alla Rai e ai suoi dipendenti e la sua necessità per i cittadini.

Non scegliere oggi significa non aprire spazi per il futuro dell’azienda e dei suoi lavoratori e rendere sempre più labile la sua necessità.

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