Cerca
Close this search box.

In piazza sotto la Fieg. 382 giorni senza contratto: nessuno spiraglio

Condividi questo articolo:

Nessuna apertura da parte degli editori per la trattativa sul rinnovo del contratto di lavoro dei giornalisti. Questa mattina, la Fnsi, l’Asr, ma anche esponenti dell’Inpgi e dell’Ordine dei Giornalisti erano presenti al sit-in organizzazto proprio a Via Piemonte, a Roma, sede della Fieg per mostrare lo stato di grave disagio in cui versa la categoria. Ma dagli editori che avevano in corso la riunione del comitato esecutivo, non c’e’ stato nessun segnale positivo. Sembra quindi inevitabile lo sciopero in tempi strettissimi, che probabilmente sara’ deciso proprio domani in occasione della riunione della Consulta nazionale dei comitati e dei fiduciari di redazione. Davanti alla Fieg, presenti i vertici della Fnsi, Franco Siddi presidente e Paolo Serventi Longhi, segretario, Silvia Garambois, segretario dell’Associazione Stampa Romana (ASR), Roberto Natale, segretario dell’Usigrai, ma anche rappresentanti della politica, Beppe Giulietti e Enzo Carra. Numerosi i colleghi componenti dei comitati di redazione e del direttivo dell’ASR. Mentre dalle finestre del palazzetto d’epoca dove ha sede la Federazione degli Editori, i dipendenti incuriositi si sono avvicendati per osservare i giornalisti-manifestanti, i rappresentanti del sindacato si sono alternati a parlare di precariato, di liberta’ d’informazione e dell’impossibilita’ di dialogo con gli editori, che rifiutano il confronto sui temi dell’introduzione della legge Biagi, ma anche sulle clausole contrattuali. La Biagi, per il sindacato, rappresenterebbe un duro attacco alla liberta’ di stampa a causa dei ricatti sempre piu’ pressanti cui vengono sottoposti i giornalisti nell’esercizio della professione. Paolo Serventi Longhi, ha sostenuto che sono proprio i grandi gruppi che rifiutano il confronto. Domani saranno decise le nuove iniziative. (ASCA)

Roma, 16 marzo 2006

Riportiamo l’articolo di .COM pubblicato il 17 Marzo 2006

Il cronista va alla manifestazione

La Fnsi fornisce le bandiere e il megafono. Ipotesi: forse la categoria ha ancora un’anima ribelle?

(Ipotesi: anche i giornalisti hanno un’anima).
Notizia: i giornalisti, per la prima volta nella loro storia, scendono in piazza con le bandiere.
Dove: a Roma, davanti alla sede della Fieg. Quando: ieri dalle 10 all’una, sotto una pioggia battente. Chi e come: oltre al segretario Fnsi, Paolo Serventi Longhi, un sacco di facce simpatiche, la maggior parte straniti dalla situazione, ma sostenuti da uno zoccolo duro di vecchi picchettatori di licei et simila. La scena ha qualcosa di surreale: gioioso e verosimilmente tragico al tempo stesso. Il perché è il contenuto del pezzo, quindi concedetemi un minuto di p(r)osa. Dunque, arrivo (vabbè in taxi, ma mi sono fatta lasciare più avanti), e il tassinaro vedendo polizia e manifestanti vorrebbe mollarmi in mezzo alla strada. Io dico. «Impossibile, io devo andare in un altro posto, oltre la manifestazione, vada!». Cioè nella mia testolina (terza generazione di giornalisti, quindi compensibilmente un po’ sconvolta) escludo a priori che quelli siamo NOI.
Perché vi confesso il mio straniamento? Perché secondo me è sintomatico di quanto siamo spaesati un po’ tutti (certo dopo 381 giorni di prese in giro da parte degli editori è anche comprensibile) di fronte all’impoverimento, non solo economico, della categoria.
Vedevo il mio primo caposervizio, Andrea Leone, con un megafonino in mano concludere il suo intervento con un «Rischiamo di assistere alla sparizione del giornalismo così come lo abbiamo conosciuto». Preciso: Leone, attuale presidente della Casagit, non è depresso, ragiona molto bene, e di sindacato se ne intende a fondo. Beh, sì la sensazione palpabile è che si fosse decisamente oltre il siparietto.
Silvia Garambois, segretario dell’Associazione Stampa Romana (anche lei non esattamente al primo giorno di scuola) era visibilmente emozionata. Non l’emozione di una soubrette, bensì quella di una collega sinceramente e lucidamente incazzata. Giuseppe Giulietti, ex segretario Usigrai, deputato Ds, ha fatto un comizio. Però bello, incisivo, minaccioso.
Ora cercherò di fare il mio dovere di cronista, e affronterò il “perchè”. Primo: da ogni angolo del mondo arrivano grida di dolore (vedi il caso Libèration e quello del Washington Post, solo per citarne due), per il semplice fatto che la carta stampata viene penalizzata dalla rapidità non solo della tv, ma ancor di più da quella del web. Secondo: in Italia quella che con un eufemismo viene definita “l’anomalia Berlusconi” (termine che originariamente era riferito al conflitto d’interessi, ma che nei cinque anni di Governo, ha assunto un significato più ampio) ha scatenato una serie di conseguenze.
Una piccola, a caso, è il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega per l’informazione e l’editoria.
«Paolo Bonaiuti si occupa solo di cerone, tacchi e controcampi – ha gridato Giulietti». Ed Enzo Carra, membro della Commissione parlamentare di vigilanza Rai, gli ha fatto eco: «Sono tre anni che sulla legge dell’editoria c’è l’accordo di maggioranza e opposizione. E questo stallo danneggia sia noi che la Fieg bloccando di fatto i finanziamenti».
Discorso a parte quello della legge Biagi che se Carra definisce «ingiusta per tutti i lavoratori», per i giornalisti diventerebbe un’arma di ricatto. Difatto il precariato nelle redazioni è già largamente diffuso, ma istituzionalizzarlo – come vogliono gli editori – ridurrebbe la professione a un lavoro interinale malpagato.
Siamo privilegiati? Guadagniamo un sacco di soldi? Primo stipendio euro 898.
Siamo protetti, avvantaggiati, coccolati dalla società? Dipende. Gli editori si sono rifiutati di sottoscrivere il protocollo Inpgi (ovvero dicono: se non state alle nostre condizioni, niente previdenza privata).
Ma è bene non dimenticare che l’unico “privilegio” rimasto, quel minimo di sicurezza sociale, e la cassa integrativa sono stati, e sono assolutamente autofinanziati.
Cioè sono soldi nostri. Aaalt!

Il network