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Legge Mastella: cancellata la cronaca giudiziaria? Un intervento di Marco Travaglio. Preoccupazione dell’Associazione Stampa Romana

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Roma, 19 aprile. L’approvazione alla Camera del Disegno di legge del Governo sulle intercettazioni, la cosiddetta “legge Mastella”, ha già suscitato la dura reazione della Fnsi (“Chiediamo di poter esprimere al Parlamento e al Ministro della Giustizia la contrarietà del Sindacato dei giornalisti per un provvedimento che espropria l’organo di autogoverno deontologico della categoria, l’Ordine dei giornalisti, dei suoi poteri sanzionatori”) e dell’Unci (“nemmeno ai tempi di mani pulite si era osato attentare così brutalmente contro la libertà di stampa e mortificare la democrazia, fondata sulla casa di vetro della politica, sulla trasparenza dei poteri e sostenuta da valori irrinunciabili come il diritto di cronaca e la critica giornalistica”). L’Associazione Stampa Romana, nell’esprimere grande preoccupazione per la normativa approvata e per i pesantissimi riflessi che rischia di avere su una informazione completa e trasparente ai cittadini, ripropone l’editoriale che Marco Travaglio ha scritto sull’Unità del 19 aprile, dall’eloquente titolo “Al cittadino non far sapere”. Nei link sul sito di Stampa Romana anche le principali novità introdotte dal disegno di legge.

AL CITTADINO NON FAR SAPERE di Marco Travaglio

Legge intercettazioni

Cari lettori, quando il Parlamento approva una legge all’unanimità, di
solito bisogna preoccuparsi. Indulto docet. Questa volta è anche peggio.
L’altroieri, in poche ore, con i voti della destra, del centro e della
sinistra (447 sì e 7 astenuti, tra cui Giulietti, Carra, De Zulueta,
Zaccaria e Caldarola), la Camera ha dato il via libera alla legge Mastella
che di fatto cancella la cronaca giudiziaria. Nessuno si lasci ingannare
dall’uso furbetto delle parole: non è una legge “in difesa della privacy”
(che esiste da 15 anni) nè contro “la gogna delle intercettazioni”. Questa
è una legge che, se passerà pure al Senato, impedirà ai giornalisti di
raccontare – e ai cittadini di conoscere – le indagini della magistratura e
in certi casi persino i processi di primo e secondo grado. Non è una legge
contro i giornalisti. È una legge contro i cittadini ansiosi di essere
informati sugli scandali del potere, ma anche sul vicino di casa sospettato
di pedofilia. Vediamo perché.
Oggi gli atti d’indagine sono coperti dal segreto investigativo finché
diventano “conoscibili dall’indagato”.
Da allora non sono più segreti e se ne può parlare. Per chi li pubblica
integralmente, c’è un blando divieto di pubblicazione, la cui violazione è
sanzionata con una multa da 51 a 258 euro, talmente lieve da essere
sopportabile quando le carte investono il diritto-dovere di cronaca. Dunque
i verbali d’interrogatorio, le ordinanze di custodia, i verbali di
perquisizione e sequestro, che per definizione vengono consegnati
all’indagato e al difensore, non sono segreti e si possono raccontare e, di
fatto, citare testualmente (alla peggio si paga la mini-multa). È per
questo che, ai tempi di Mani Pulite, gli italiani han potuto sapere in
tempo reale i nomi dei politici e degli imprenditori indagati, e di cosa
erano accusati. È per questo che, di recente, abbiamo potuto conoscere
subito molti particolari di Bancopoli, Furbettopoli, Calciopoli,
Vallettopoli, dei crac Cirio e Parmalat, degli spionaggi di Telecom e Sismi.
Fosse stata già in vigore la legge Mastella, Fazio sarebbe ancora al suo
posto, Moggi seguiterebbe a truccare i campionati, Fiorani a derubare i
correntisti Bpl, Gnutti e Consorte ad accumulare fortune in barba alle
regole, Pollari e Pompa a spiare a destra e manca. Per la semplice ragione
che, al momento, costoro non sono stati arrestati né processati: dunque non
sapremmo ancora nulla delle accuse a loro carico. Lo stesso vale per i
sospetti serial killer e pedofili, che potrebbero agire indisturbati senza
che i vicini di casa sappiano di cosa sono sospettati.
La nuova legge,infatti,da un lato aggrava a dismisura le sanzioni per chi
infrange il divieto di pubblicazione: arresto fino a 30 giorni o, in
alternativa, ammenda da 10 mila a 100 mila euro (cifre che nessun cronista
è disposto a pagare pur di dare una notizia). Dall’altro allarga à gogò il
novero degli atti non più pubblicabili.Anzitutto “è vietata la
pubblicazione, anche parziale o per riassunto, degli atti di indagine
contenuti nel fascicolo del pm o delle investigazioni difensive, anche se
non più coperti da segreto, fino alla conclusione delle indagini
preliminari ovvero fino al termine dell’udienza preliminare”. La notizia è
vera e non é segreta, ma è vietato pubblicarla: i giornalisti la sapranno,
ma non potranno più raccontarla. A meno che non vogliano rovinarsi,
sborsando decine di migliaia di euro.
È pure vietato pubblicare, anche solo nel contenuto, “la documentazione e
gli atti relativi a conversazioni, anche telefoniche, o a comunicazioni
informatiche o telematiche ovvero ai dati sul traffico telefonico e
telematico, anche se non più coperti da segreto”. Le intercettazioni ­ che
hanno il pregio di fotografare in diretta un comportamento illecito, o
comunque immorale, o deontologicamente grave ­ sono sempre top secret.
Bontà loro, gli unanimi legislatori consentiranno ancora ai giornalisti di
raccontare che Tizio è stato arrestato (anche per evitare strani fenomeni
di desaparecidos, come nel vecchio Sudamerica o nella Russia e nell’Iraq di
oggi). Si potranno ancora riferire, ma solo nel contenuto e non nel testo,
le misure cautelari, eccetto “le parti che riproducono il contenuto di
intercettazioni”. Troppo chiare per farle sapere alla gente.
E i dibattimenti? Almeno quelli sono pubblici, ma fino a un certo punto:
“non possono essere pubblicati gli atti del fascicolo del pm, se non dopo
la pronuncia della sentenza d’appello”. Le accuse raccolte (esempio, nei
processi Tanzi, Wanna Marchi, Cuffaro, Cogne, Berlusconi etc.) si potranno
conoscere dopo una decina d’anni da quando sono state raccolte: alla fine
dell’appello. Non è meraviglioso?
L’ultima parte della legge è una minaccia ai magistrati che indagano e
intercettano “troppo”, come se l’obbligatorietà dell’ azione penale fosse
compatibile con criteri quantitativi o di convenienza economica: le spese
delle Procure per intercettazioni (che peraltro vengono poi pagate dagli
imputati condannati, ma questo nessuno lo ricorda mai) saranno vagliate
dalla Corte dei Conti per eventuali responsabilità contabili. Così, per non
rischiare di risponderne di tasca propria, nessun pm si spingerà troppo in
là, soprattutto per gli indagati eccellenti.
A parte «Il Giornale», nessun quotidiano ha finora compreso la gravità del
provvedimento. L’Ordine dei giornalisti continua a concentrarsi su un falso
problema: quello del “carcere per i giornalisti”, che è un’ipotesi
puramente teorica, in un paese in cui bisogna totalizzare più di 3 anni di
reclusione per rischiare di finire dentro. Qui la questione non è il
carcere: sono le multe. Molto meglio una o più condanne (perlopiù virtuali)
a qualche mese di galera, che una multa che nessun giornalista sarà mai
disposto a pagare. Se esistessero editori seri, sarebbero in prima fila
contro la legge Mastella. A costo di lanciare un referendum abrogativo.
Invece se ne infischiano: meno notizie “scomode” portano i cronisti, meno
grane e cause giudiziarie avrà l’azienda.
Mastella, comprensibilmente, esulta: «Un grande ed esaltante momento della
nostra attività parlamentare». Pecorella pure: «Una buona riforma, varata
col contributo fondamentale dell’opposizione». Vivi applausi da tutto
l’emiciclo, che è riuscito finalmente là dove persino Berlusconi aveva
fallito: imbavagliare i cronisti. Ma a stupire non è la cosiddetta Casa
delle Libertà, che facendo onore alla sua ragione sociale ha tentato fino
all’ultimo di aumentare le pene detentive e le multe (fino al 500 mila
euro!) per i giornalisti. È l’Unione, che nell’elefantiaco programma
elettorale aveva promesso di allargare la libertà di stampa. Invece l’ha
allegramente limitata con la gentile collaborazione del centrodestra. Ma
chi sostiene che nell’ultimo anno non è cambiato nulla, ha torto marcio.
Quando le leggi-vergogna le faceva Berlusconi, l’opposizione strillava e
votava contro. Ora che le fa l’Unione, l’opposizione non strilla, anzi le
vota. In vista del passaggio al Senato, cari lettori, facciamoci sentire
almeno noi, giornalisti e cittadini.

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