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Le “impari opportunità” delle giornaliste italiane

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Roma, 11 giugno.
Sempre di più, e sempre più precarie. C’è di che preoccuparsi, a leggere il rapporto presentato dall’Associazione Stampa Romana sul lavoro delle donne nel mondo dell’informazione. Una fotografia scattata dalla Commissione Pari Opportunità dell’Associazione, il cui titolo, non senza ironia, recita: «Maltempo in redazione, analisi sul clima nei giornali, ovvero stress, ansie e nevrosi, e in particolare rischio mobbing», e presentata venerdì 8 giugno nella sede del sindacato giornalistico romano con un convegno intitolato «Le impari opportunità: è la stampa, bellezza».

A parlare sono, come sempre, i dati. Secondo le informazioni raccolte dall’Inpgi (l´Istituto per la previdenza dei giornalisti italiani), la presenza femminile nelle redazioni di giornali, televisioni, radio, agenzie e uffici stampa è cresciuta nel 2005 di quasi 3 punti percentuali, raggiungendo il 36 per cento. In pratica, più di un giornalista su 3 è donna. La bella notizia, però, finisce qui. Se guardiamo alle posizioni ricoperte all´interno delle redazioni, infatti, tutto l´ottimismo perde la sua ragion d´essere. Le donne che ricoprono incarichi di dirigenza sono diminuite, nel corso del 2006, del 2,35 per cento, e, per avere un´idea più concreta, basta pensare che, nei quotidiani che raggiungono le 50mila copie, non c´è nemmeno un direttore donna. Insomma, il famoso glass seiling, il “soffitto di cristallo”, rimane, o, per dirla come Silvia Garambois, segretario dell´Associazione Stampa Romana, «nell’informazione “pesante” la direzione rimane nelle mani di filiere gerarchiche rigorosamente maschili».

Ma non è finita qui. Le cifre parlano di un mestiere, in generale, sempre più soggetto alla precarizzazione, e il fenomeno, di per sé già grave, fa le sue maggiori vittime proprio tra le donne. Per avere un´idea, basta guardare alle iscrizioni al sindacato, in particolare a quello romano, che, con una forte presenza femminile, rappresenta in qualche modo un´anomalia nel panorama italiano. Nell’ultimo anno, le iscrizioni delle «contrattualizzate» (le giornaliste assunte con una trattenuta dello 0,30 per cento) sono diminuite di 123 unità, mentre le free lance sono praticamente raddoppiate. Sono diminuite, di circa cento unità, anche le cassintegrate e le disoccupate. Quest´ultimo dato, spiega la Garambois, «non porta con sé buone notizie, significa invece che difficilmente le colleghe espulse da un lavoro buono e stabile sono riuscite a ritrovarne un altro con le stesse caratteristiche, e hanno dovuto invece adattarsi a lavori precari, come collaboratrici e free lance. Qualcuna, lo sappiamo, ha persino mollato, ha scelto – o meglio ha dovuto scegliere – altri mestieri».

Alle giornaliste “a riposo”, poi, le cose non vanno meglio, visto che ricevono una pensione inferiore di oltre un quarto rispetto ai loro colleghi uomini. In media, infatti, un pensionato uomo dell´Inpgi percepisce 63mila 620 euro lordi l´anno, mentre una donna 46mila e 200 euro: il 27 per cento in meno. Il diverso trattamento deriva, oltre che da differenze di carriera e di stipendio, da un minor numero di contributi: per le donne, infatti, l´anzianità media contributiva è di 23 anni, mentre per gli uomini di 28 anni e due mesi. Questo anche se le donne, in media, lasciano il lavoro più tardi: nonostante l´età pensionabile sia più alta per gli uomini (65 anni contro 60), l´età media della pensione è di 59 anni per gli uomini, di 59 anni e tre mesi per le donne.

«Stiamo tornando – osserva Silvia Garambois – a un´emarginazione che ricorda gli anni Sessanta, a battaglie, come quella per la maternità, e per l´armonizzazione tra tempo di vita e tempo di lavoro, che pensavamo di esserci lasciate alle spalle». Una realtà preoccupante, continua, perché «un´informazione che non sa utilizzare lo sguardo delle donne, rischia di essere un´informazione dimezzata». Eppure, il percorso per liberarsi dal ruolo di «ancelle» e diventare «signore» dell’informazione è sempre più in salita. Si è detto spesso che l´assenza delle donne dai luoghi di potere sia frutto di una sorta di «autoesclusione», che le donne siano meno disponibili a un impegno totalizzante, che rifiutino i «giochi indispensabili» per arrivare ai vertici. Eppure è riconosciuto, al tempo stesso, che esse siano più creative, più flessibili, insomma, un valore aggiunto per le aziende, non di meno per quelle della comunicazione. Il soffitto di cristallo, insomma, è un soffitto tutto culturale, che, oltretutto, spiega Mimosa Martini, giornalista del Tg5, si inserisce nel contesto generale di un Paese «che la parola meritocrazia non sa nemmeno cosa significhi».

Il dibattito porta inevitabilmente sulle tanto discusse «quote rosa». Poco per volta, le giornaliste italiane stanno abbattendo il loro scetticismo iniziale. Uno scetticismo che rimane, certo, in quanto strumento di per sé insufficiente, in quanto basato sulla cooptazione, e perché l´ingresso delle donne non significa automaticamente un accesso a posizioni di reale responsabilità. E poi rimane la fastidiosa percezione del sentirsi «panda da proteggere». Eppure, spiega la sottosegretaria al ministero delle Pari Opportunità, Donatella Linguiti, «credo anche una legge sia necessaria. È una battaglia per la laicità, non solo per la democrazia».

Di Gaia Rau pubblicato su l’Unità del 8 giugno 2007

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