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G8: processo sui pestaggi alla ”Diaz” di Genova, assolti i vertici della polizia. In aula anche il giornalista inglese che finì in coma

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Undici ore di camera di consiglio per un sentenza che chiude, dopo quasi otto anni, quella che è stata definita una delle pagine più nere della democrazia in Italia: i pestaggi alla scuola Diaz durante il G8 di Genova. Sono stati inflitti 35 anni e 7 mesi di reclusione totali, in gran parte condonati. Tredici condanne, sedici assoluzioni, tra le quali tutti i vertici della Polizia mandati a giudizio. Scuola Diaz, era il 21 luglio 2001, a poche ore dalla morte del giovane Carlo Giuliani: le botte, gli insulti, le calunnie e gli atti falsi attraversarono quella notte e le stanze di quella scuola come una tempesta. In quelle aule, oltre 90 ragazzi pestati, insultati e calunniati. In molti erano in tribunale, stasera. Gli stessi che hanno ascoltato in silenzio il nome dei condannati (tutti i poliziotti del VII nucleo del Reparto Mobile di Roma che entrarono alla Diaz al comando di Vincenzo Canterini) e che hanno urlato ‘vergogna, vergognà quando hanno capito che il tribunale ha assolto i ”vertici”, la ”catena di comando”.

Un processo complesso, condotto sul filo del codice che vuole la responsabilità penale strettamente personale, un processo
sofferto per il ripetersi delle immagini dei pestaggi, del sangue, delle umiliazioni. E ancora, episodi dai contorni
ambigui ricostruiti per dar loro concretezza – come quello delle molotov e delle coltellate al poliziotto -, il fantasma in quella scuola.

Due pubblici ministeri, Enrico Zucca e Francesco Cardona Albini, che hanno parlato per ore e ore, oltre 40 memorie e contromemorie depositate, che ha visto il grande lavoro delle parti civili teso tutto a colmare lacune e cercare prove. Le
parole delle difese, che nelle ultime udienze sono state pesantissime, una sfida che ha visto incrociare le spade tra avvocati e pubblici ministeri, attacchi frontali per demolire quello che da più parti è stato chiamato ”il teoremà.

C’è ansia in aula mentre si aspetta la sentenza. Molti sono presenti: Mark Covell, il giornalista inglese che finì in coma
per i calci e i pugni alla testa, e Haidi Giuliani, la mamma di Carlo; ci sono le ragazze che si trovarono gli occhi tumefatti e Vittorio Agnoletto, europedutato di Rifondazione comunista, ex leader del Genoa Social Forum. C’è nervosismo per i rinvii, ora dopo ora, per una sentenza che prima doveva uscire alle 17 ed è invece stata pronunciata alle 21.

La lettura del presidente Gabrio Barone è lenta, scandita, puntuale. Non scioglie però l’ansia e il nervosismo di un’aula
che aspetta le condanne come un risarcimento morale e finanche politico. Un’aula che dimostrerà alla fine di non sopportare la parola ”assolto”. Piovono urla e fischi, dichiarazioni di fuoco, i carabinieri in servizio d’ordine attenti ma discreti, i pm che non commentano a caldo, le difese dei condannati che ripetono ”appelliamo, appelliamo”.

In fondo all’aula, in silenzio, è sempre rimasto Alfredo Fabbrocini, dirigente della squadra mobile di Parma. Per lui, i
pm prima chiesero al giudice l’ archiviazione, poi in tribunale l’assoluzione. Una tesi che il tribunale ha accolto in pieno. Se n’è andato senza commentare.

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