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Un lutto, un fattaccio, una speranza

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La settimana che abbiamo alle spalle si è chiusa con un lutto e un fattaccio.
Sandro Curzi ci ha lasciato dopo una lunga malattia, privandoci non soltanto di un collega stimatissimo e amato come pochi, ma anche di una voce fuori dal coro, capace di essere partigiana senza tradire l’obiettività. La sua vita è stata il paradigma di un’intera generazione: la resistenza, la costruzione dello Stato repubblicano, il boom e il consolidarsi della democrazia, le grandi lotte sindacali, la crisi e il terrorismo, il riflusso e la caduta delle ideologie, il nuovismo senza futuro, la grande depressione che stiamo vivendo(citando a macro capitoli). Di lui mi piace ricordare l’attività di sindacalista dei giornalisti, in quella stagione in cui la professione usciva dal chiuso delle stanze corporative per aprirsi alla società, provava a contare non in relazione alla sua contiguità coi poteri più o meno forti, ma in virtù della sua valenza sociale di tessuto connettivo di una democrazia. Pensate quanto ne avremmo bisogno oggi. Grazie Sandro.
Il fattaccio, invece, è l’aggressione subita dalla collega del Tg1 Alessandra Di Tommaso e dalla troupe che era con lei per realizzare un servizio, al XV municipio, sulla gang arrestata per violenza a fini di razzismo. Non è che l’ultimo episodio, in ordine di tempo, di una serie che va dall’assalto alla redazione di Chi l’ha visto, con le minacce a Federica Sciarelli, alla croce celtica disegnata sull’auto di Santo Della Volpe, alla scritta sul muro di casa di Concita De Gregorio. Segni di un imbarbarimento della convivenza sociale e di un’intolleranza che ha per primo bersaglio la libera informazione. Fnsi e Ordine devono vigilare e rispondere puntualmente anche a chi, in interviste o dichiarazioni, sembra voler rinverdire la pessima stagione degli editti o delle liste di proscrizione, bisogna dire chiaro e forte a lor signori che non accettiamo di essere giudicati se non dai cittadini, unico vero editore di riferimento di un giornalista. L’indignazione e la solidarietà non bastano più, dobbiamo mettere in campo un lavoro capillare di rifondazione della cultura dell’informazione, a partire dalle scuole di giornalismo, coinvolgendo i colleghi e chiedendo loro di riaffermare coi fatti la centralità della professione come pilastro della democrazia. Il sindacato deve fare la sua parte rinvigorendo il suo ruolo politico, nel senso più alto del termine: occuparsi, cioè, degli affari dei cittadini per tutelarli.
Infine il contratto: questa potrebbe esser la settimana decisiva. Se si terrà, nell’incontro di giovedì 27 fra Fnsi e Fieg dovrebbero essere affrontati tutti i nodi ancora irrisolti della trattativa, parte economica compresa. Ho già detto molte volte che ritengo essenziale un nuovo contratto per avere un timone che segni la direzione da seguire nella turbolente fase che stiamo attraversando (che non sarà di breve durata). Ma quel timone deve essere di materiale buono, non di scarto o di risulta, lavorato o fuso a regola d’arte, se pur con tutte le mediazioni che il caso richiede. Altrimenti dovranno essere le Associazioni di Stampa Regionali, d’intesa con la Fnsi, ad aprire nuovi fronti di conflitto per tutelare i colleghi, specie quelli più deboli, e riaffermare la centralità dei giornalisti.

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