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Un contratto “sostenibile” è possibile?

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Il mondo dell’informazione in Italia è diviso tra chi lavora per i grandi gruppi editoriali – con garanzie connesse ed alterne fortune – e chi invece, la stragrande maggioranza dei giornalisti, si sbatte tra cessione dei diritti, improbabili co.co.pro., collaborazioni occasionali e così via in un’apoteosi di fantasia contrattuale di editori “creativi” e senza scrupoli. La mia domanda è: riusciranno le migliaia – la maggioranza – di giornalisti italiani che attualmente lavorano in condizioni esasperanti a trarre reale beneficio dal rinnovo del contratto? E se accadesse – salvo intraprendere una class action di categoria – che gli editori aggirassero l’ostacolo del nuovo contratto con dei “benservito” collettivi rimpiazzati con service esterni (come tra l’altro già accade) magari formati proprio dai giornalisti trombati e che pur di campare arrivano al punto di essere disposti a tutto? Insomma il vecchio contratto non veniva stipulato perché troppo “pesante” soprattutto per piccole e medie imprese editoriali, pensiamo alle cooperative, e allora che motivo avrebbero di applicarne uno nuovo ancora – giustamente – più pesante? Io temo che la stragrande maggioranza dei giornalisti in condizioni precarie rimarrà tale, e viva questa situazione come qualcosa che non gli appartiene e mai potrà appartenergli; il rinnovo del contratto interessa soprattutto i colleghi che il contratto ce lo hanno già.
Se mai riusciremo a chiudere positivamente la vertenza – cosa questa auspicabile perché diversamente lo scenario che si prospetterebbe sarebbe drammatico, con effetto domino anche su INPGI e CASAGIT – quello che spero è che vi siano concreti benefici per i colleghi che il contratto non ce l’hanno e non ce l’hanno mai avuto, lavorando affinché si trovi una formula “sostenibile” che riesca ad assorbire – con un articolo specifico nel contratto nazionale – le migliaia di giornalisti precari e/o sottopagati che costituiscono la gran parte dell’informazione in Italia.

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