Cerca
Close this search box.

Qualche riflessione
sulla vertenza a La7

Condividi questo articolo:

Quando arrivò sul tavolo del sindacato la richiesta di 25 licenziamenti a La7, lo shock fu enorme. Sembrava che il “padrone” (tale era ed è l’atteggiamento di Telecom Italia Media spa) avesse deciso di imprimere un’accelerazione pazzesca allo scontro con le rappresentanze dei giornalisti, deciso a fare piazza pulita di ogni obbligo contrattuale e di legge. Giovanni Stella, Ad, lo dichiarò apertamente: “Cominciamo noi, ma vedrete quanti ci seguiranno”, per fortuna è stato un profeta fallace.
A pochi giorni dalla conclusione della vertenza, non è facile tirare le somme e fare un bilancio complessivo, quindi mi limiterò a qualche appunto in ordine sparso.


  1. Che dietro la richiesta di “tagliare” un quarto della redazione non ci fossero soltanto ragioni economiche e di bilancio, è stato chiaro dall’inizio. La trattativa si è incaricata di dimostrare che il vero obiettivo era il controllo dell’organizzazione del lavoro, la cancellazione de facto dell’articolo 34 del Cnlg e quindi dei poteri del Cdr. Di conseguenza, essendo la rappresentanza di base il fondamento di tutto il sindacato, si volevano cancellare i diritti dei colleghi.
  2. L’aperta complicità (sarebbe meglio dire connivenza) del direttore Antonello Piroso, ha sottolineato ancora una volta come vada rivisto l’articolo 6, non già per regalare agli editori questa figura, ma se mai per provare ad ancorarla ancor più al suo rapporto naturale con la redazione.
  3. Il fatto che la sfida al sindacato e ai colleghi sia venuta da un editore televisivo e multimediale (lo stesso che controlla Apcom) non è per nulla casuale. Si è provato a forzare la mano là dove le condizioni oggettive del mercato sembravano fornire un alibi a priori.
  4. Gli interessi economici e i meccanismi opachi che si sono via via evidenziati nella trattativa, raccontano di un mondo, quello televisivo, nel quale il blocco creato dal duopolio, si è via via incancrenito. Ora anche il mercato dei fornitori di contenuti è nelle mani di un oligopolio, alla faccia della libera concorrenza, con tutte le storture che questo comporta, anche in termini di destrutturazione del lavoro giornalistico.

Il risultato positivo della vertenza, pur con il sacrificio della decurtazione dell’orario e della retribuzione, segna un punto a favore del sindacato e della sua capacità di difendere i posti di lavoro e la centralità della professione. Ma uno sforzo in più va fatto nel comprendere meglio gli aspetti di una crisi che, pur nelle sue dimensioni internazionali, assume nel settore dell’informazione una peculiarità epocale. Stanno esplodendo le contraddizioni di un comparto a bassissimo contenuto di innovazione, dove per anni si è investito più sui collaterali e sulla esternalizzazione che sul prodotto e la sua crescita. Fnsi e Associazioni regionali devono aprire una vertenza informazione che rimetta in discussione gli strumenti, i finanziamenti, le logiche imprenditoriali e il ruolo del pubblico. Un’occasione potrebbero essere, se e quando si faranno, gli stati generali dell’editoria, più volte annunciati dal Governo. Il sindacato dei giornalisti ci deve arrivare con una sua proposta complessiva, magari concertandola con i sindacati della comunicazione.

Il network