Cerca
Close this search box.

Libertà di stampa: diffusero idenkit maniaco, chiesto un mese di carcere per sei giornalisti del Secolo XIX

Condividi questo articolo:

Genova, 20 mar 2009 – La condanna ad un mese di arresto é stata chiesta del pm Giovanni Arena al processo che vede imputati tre cronisti, due capiservizio e il direttore del Secolo XIX accusati di aver violato il segreto istruttorio per la pubblicazione dell’identikit del cosiddetto maniaco dell’ascensore realizzato dalla squadra mobile. Imputati sono i cronisti Graziano Cetara, Matteo Indice e Simone Schiaffino, i capiservizio Roberto Onofrio e Roberto Pettinaroli e il direttore Lanfranco Vaccari (difesi dall’avv. Cesare Manzitti). Secondo il pm “la divulgazione dell’identikit era un atto istruttorio e nessuno era stato autorizzato alla pubblicazione”. Oggi al processo hanno deposto come testi della difesa il presidente dell’Unione Cronisti, Guido Columba, e il noto criminologo Francesco Bruno. “I colleghi hanno reso un servizio alla cittadinanza genovese mentre c’era in giro un maniaco – ha detto Columba – Invece di ricevere un premio sono stati sottoposti a procedimento penale”. Il criminologo Bruno ha sottolineato che l’identikit è una tecnica che coinvolge la gente nell’attività investigativa, aiutando le forze dell’ordine. L’avv. Manzitti ha chiesto l’assoluzione per tutti. La sentenza è attesa per il 10 aprile. (ansa).—————————————————————–
Comunque vada sarà il primo caso nella storia giudiziaria italiana. Ed è lo stesso giudice, Clara Guerello, a dirlo rinviando l’udienza al 10 aprile per la decisione finale: «Sarà una sentenza pilota». È l’ultimo atto del processo sulla pubblicazione dell’identikit del maniaco dell’ascensore, che ha visto finire sul banco degli imputati sei giornalisti del Secolo XIX, tre cronisti (Graziano Cetara, Matteo Indice e Simone Schiaffino), due capi della cronaca di Genova (Roberto Onofrio e Roberto Pettinaroli) e il direttore Lanfranco Vaccari. Non era mai successo che degli operatori dell’informazione fossero chiamati a rispondere di una simile violazione del segreto delle indagini. Per il pubblico ministero Giovanni Arena il reato fu commesso nel diffondere quell’immagine, costruita sulla base delle testimonianze delle vittime del maniaco che da mesi e mesi (dal marzo 2004 all’agosto 2006, 25 diverse e violentissime aggressioni) colpiva negli androni dei palazzi della città, violentando ragazzine al ritorno a casa da scuola o dalla palestra. E per questo nell’ultima udienza del dibattimento, che si è celebrata questa mattina in tribunale a Genova, l’accusa ha chiesto una pena pari a un mese di arresto per ciascuno dei sei imputati. Si tratta del massimo previsto dal codice per ogni singolo episodio, un terzo rispetto al massimo previsto nel caso in cui più reati siano stati commessi senza soluzione di continuità. La difesa, sostenuta in udienza dall’avvocato Cesare Manzitti, ha per contro chiesto al giudice l’assoluzione di tutti gli imputati con sfumature diverse: i cronisti e per i capi della cronaca «per non aver commesso il fatto» («non furono i primi a decidere la pubblicazione delle illustrazioni, il loro compito era ed è trovare notizie e scrivere articoli; e i secondi erano solo due compenenti di una struttura decisionale complessa»); diversa la motivazione per l’assoluzione chiesta nel caso del direttore: «Il fatto non costituisce reato». Su questo preciso aspetto, si è giocata la gran parte del confronto tra accusa e difesa nel corso delle udienze. Alle deposizioni dei poliziotti e dei carabinieri che condussero le indagini, che hanno confermato la tesi del pm Arena secondo la quale «l’identikit è un atto del fascicolo processuale ed è pertanto coperto dal segreto», hanno risposto i testi della difesa, il noto criminologo Francesco Bruno, presente in udienza ieri mattina, e Guido Columba, il presidente dell’Unci, l’Unione nazionale dei cronisti italiani (il sindacato di categoria espressione della Federazione nazionale della stampa italiana). Bruno ha ricordato che l’identikit «è per definizione un atto pubblico che deve essere diffuso il più presto possibile per aiutare le indagini e mettere sull’avviso le potenziali vittime del maniaco in circolazione». Columba, partendo dalle parole del giudice che in primo grado condannò Edgar Bianchi, il maniaco dell’ascensore, (Bianchi fu riconosciuto da un poliziotto nel volto di un barista grazie all’identikit della scientifica pubblicato a più riprese dai giornali), ha commentato amaramente: «I cronisti avrebbero dovuto essere elogiati pubblicamente e invece sono stati messi sotto accusa». (ilsecoloxix)

Il network