Torino, 26 giu 2009 – I delegati dei giornalisti piemontesi, riuniti a fine maggio per il Congresso regionale dell´Associazione stampa subalpina, hanno rigettato le richieste presentate a giornali e tv dalla Questura di Torino, che voleva acquisire fotografie e filmati sugli scontri tra studenti e polizia del 19 maggio a Torino, in concomitanza con il “G8 dell´Università”. La decisione, formalizzata in un documento inviato alla Questura torinese e pubblicato in questi ultimi giorni dal sito web di “Autonomia e Solidarietà” del Piemonte, affronta un problema che è tra i più delicati della professione, perché pone il singolo giornalista davanti alla non facile scelta tra i doveri della disciplina professionale e quelli stabiliti dalle leggi dello Stato.Il “no” del Congresso del Sindacato piemontese riflette in pieno la decisione che esattamente quarant´anni fa era stata presa dal Consiglio regionale dell´Ordine della Lombardia che, dopo più di dieci mesi di indagini e riflessioni, aveva sanzionato con la censura il capocronista de “Il Giorno” perché, dopo i disordini di piazza, aveva passato alla Polizia una serie di immagini di manifestanti riprese dai fotoreporter che allora lavoravano nello staff del giornale. Era il primo provvedimento disciplinare comminato da un Consiglio regionale dopo la nascita dell´Ordine dei giornalisti e l´entrata in vigore del suo regolamento.
«Nella motivazione – ricordò qualche anno più tardi l’allora presidente Odg della Lombardia, Carlo De Martino – si contestava all´incolpato di essere venuto meno ai suoi doveri di giornalista professionista in tre accertate circostanze: 1) per aver fornito – in seguito a richiesta e nella sua veste di capocronista – all´Ufficio Politico della Questura, una serie di fotografie inerenti a manifestazioni che avevano turbato l´ordine pubblico, favorendo o comunque rendendo teoricamente possibile, attraverso le immagini, l´identificazione dei dimostranti, con la conseguente eventualità di svilire l´esercizio della libertà di stampa; 2) per essersi reso responsabile di grave leggerezza non valutando le conseguenze dell´atto che commetteva coinvolgendo anche indirettamente altri colleghi professionisti e persone estranee alla professione, mancando così a quell´azione di miglioramento nell´esercizio professionale che deve sempre ispirare, verso i propri subordinati, chiunque ricopra posti di responsabilità in un giornale; 3) per aver trasgredito al precetto sancito dall´articolo 2, terzo capoverso, della Legge sull´Ordine, riguardante il rispetto del segreto professionale, dovendosi intendere la documentazione fotografica fornita, in questo specifico caso, come fonte inequivocabile di notizie».
In sostanza, con questa storica decisione, l´Odg della Lombardia aveva stabilito il principio della prevalenza dei doveri professionali del giornalista su quelli del cittadino testimone. Lo stesso viene ripreso oggi nella decisione di Assostampa Piemonte: «In questi giorni la Questura di Torino richiede a giornalisti e fotoreporter di svolgere un compito che non appartiene loro, sostituendosi agli investigatori nella raccolta di elementi di prova. Ciò li esporrebbe al rischio di essere additati come “complici” e “delatori”, con tutte le immaginabili conseguenze: il pericolo di aggressioni fisiche o verbali in future analoghe occasioni e una concreta e rilevante compressione del diritto di cronaca e della libertà di informare. La perplessità è accresciuta poi dalla necessità assai relativa di acquisire una tale mole di materiale: non si tratta, infatti, di assicurarsi le sole poche immagini che provano la responsabilità di un delitto, ma di aggiungere centinaia, forse migliaia, di fotografie e molte ore di riprese a una abbondante quantità di documenti già in possesso delle forze dell´ordine perché realizzata dai suoi stessi “numerosi” operatori, che abitualmente – e proprio con lo scopo di raccogliere indizi e prove – ritraggono ogni momento delle manifestazioni di piazza.
Inoltre chiedere a un fotoreporter o a un tele-video-operatore di fornire indiscriminatamente le immagini non pubblicate dai media – siano essi giornali, tv o siti internet – equivale a chiedere a un cronista di consegnare i taccuini con gli appunti o di consentire l´accesso ai file del suo computer: una pratica pericolosa che, mettendo a repentaglio – come già accennato – la sicurezza stessa dell´interessato, rischia di violare il segreto professionale e di limitare la libertà, sancita dalla Convenzione Europea dei Diritti dell´Uomo, “di ricevere e di comunicare informazioni o idee senza ingerenza alcuna da parte delle autorità pubbliche”. Non si tratta di negare la collaborazione che, per un principio di cittadinanza e di vivere civile, ciascuno è tenuto ad assicurare all´autorità pubblica, ma di difendere una libertà e una professione che rappresentano un bene prezioso per ogni comunità democratica.
E´ con questo spirito che il sindacato dei giornalisti chiede al Questore di Torino di voler riconsiderare la propria iniziativa, nel rispetto del ruolo di ciascuno». (agendacomunicazione)