Mosca, 30 set 2009 – Qualcuno paragona quello che sta accadendo oggi alle repressioni e alle provocazioni contro i dissidenti che venivano messe in pratica dal Kgb ai tempi dell’Urss. Ma la situazione è diversa, se non altro per il fatto che giornalisti e difensori dei diritti umani presi di mira spesso riescono a salvarsi fuggendo all’estero. Nelle ultime settimane i casi si sono moltiplicati e in questo momento ci sono almeno tre noti giornalisti russi che si nascondono o sono fuggiti oltre frontiera per aver affrontato argomenti tabù: il misterioso sequestro della nave Arctic Sea e i possibili collegamenti con l’esportazione di armi; le colpe di Stalin e i crimini sovietici; la vita privata della famiglia Putin.
L’ultimo caso riguarda proprio un temerario che si è lasciato sfuggire alla radio una notizia-bomba. La figlia del leader che è diventato l’uomo più popolare di Russia combattendo i terroristi ma anche tagliando le unghie agli oligarchi, avrebbe sposato proprio uno di questi. Aleksandr Prokhanov è un signore tranquillo e dirige il giornale nazionalista Zavtra. In un’intervista radiofonica, parlando degli oligarchi, ha detto: «Uno di loro ha appena sposato la figlia di Putin». Ma tutti sanno che l’ex presidente e attuale premier (il 67% dei russi ritiene però che a comandare sia sempre lui) odia i giornalisti che infilano «il loro naso moccioloso» nei suoi affari, come disse a una reporter in Sardegna facendola scoppiare in lacrime. Prokhanov si è reso subito conto dell’errore. È uscito dallo studio, ha spento il cellulare e ha fatto perdere le sue tracce. Qualcuno sostiene che rimarrà nascosto per parecchio tempo.
Mikhail Voitenko è invece rimasto impigliato nell’affaire della Arctic Sea. Lui è un giornalista specializzato in questioni navali e da subito ha iniziato a dare notizie assai precise sul Bollettino Marittimo via web. Comprese quelle riguardanti la possibile presenza sulla nave di un misterioso carico di missili destinati alla Siria o all’Iran. Giorni fa Voitenko ha raccontato che un uomo lo ha avvicinato consigliandogli di andare all’estero per qualche mese. Lui è salito sul primo aereo per la Turchia, uno dei pochi paesi che non chiede il visto ai russi. Poi si è trasferito in Thailandia, «dove la vita è meno cara» e dove conta di rimanere un paio d´anni.
Il terzo caso farebbe sorridere se dietro non ci fossero le minacce al giornalista coinvolto e se la Russia non fosse il terzo Paese più pericoloso per chi fa questo mestiere, con 17 reporter assassinati dal Duemila, inclusa Anna Politkovskaya.
La storia è questa. Di fronte al noto albergo Sovietskaya di Mosca c’è da sempre un ristorantino che gli intellettuali chiamavano tra loro Antisovietskaya, giocando sul doppio senso. Mesi fa il proprietario aveva deciso di chiamarlo ufficialmente con questo nome, solo che dopo poco le autorità gli hanno fatto cambiare l’insegna. Aleksandr Podrabinek, ex dissidente, ha raccontato la vicenda, aggiungendo considerazioni negative sull´Urss. E chiudendo con la frase: «L’Unione Sovietica è scomparsa da 18 anni, per fortuna». Gli attivisti del movimento putiniano Nashi ora lo perseguitano e lo vogliono denunciare per vilipendio. Anche a lui hanno consigliato di scomparire. Gli amici dicono che Podrabinek non ha proprio capito perché. Ma si è adeguato. (corriere.it)