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Corte Costituzionale: le donne potranno rimanere al lavoro sino al 65° anno di età come gli uomini senza dare alcun preavviso

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Roma, 3 nov 2009 – Importante novità per quanto riguarda la pensione delle donne che potranno rimanere al lavoro sino al 65° anno di età come gli uomini senza dare alcun preavviso. La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittimo l´art. 30 del d.lgs. 11 aprile 2006, n. 198 laddove prevede, a carico della lavoratrice che intende proseguire il rapporto di lavoro oltre il sessantesimo anno di età, l’obbligo di dare comunicazione al datore di lavoro di questa vitale intenzione. Pubblichiamo la sentenza della Corte Costituzionale. L’art. 30 del D. Lvo. 11 aprile 2006, n. 198 lasciava alle lavoratrici che avessero raggiunto l’età pensionabile (di vecchiaia) l’opzione di poter continuare a prestare attività lavorativa sino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini, purché ne dessero comunicazione al datore di lavoro almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto alla pensione. In mancanza della comunicazione la lavoratrice poteva essere licenziata. Tale norma, secondo il legislatore, avrebbe dovuto realizzare una parità di trattamento fra uomo e donna sotto il profilo lavorativo e previdenziale. In realtà, mentre l’uomo poteva continuare a lavorare sino a 65 anni senza dover inviare alcuna comunicazione, alla lavoratrice che avesse voluto proseguire dopo i 60 anni si imponeva l’onere di comunicare al datore di lavoro la propria volontà di lavorare fino a 65 anni. Il caso che ha portato la Consulta a pronunciarsi la scorsa settimana era nato proprio a seguito del licenziamento di una lavoratrice che non aveva inviato la comunicazione (evidentemente per quanto la legge non ammette ignoranza, non tutti la conoscono). Instaurato il giudizio avanti il Tribunale di Milano, la lavoratrice denunciava un contrasto fra l’art. 30 del D. Lvo. n. 198/2006 e l’art. 3 della Costituzione che fissa il principio di eguaglianza, impedendo differenze, fra l’altro, in ragione del sesso. La Corte Costituzionale, investita della questione dal Tribunale di Milano, ha ritenuto fondate le critiche mosse dal Giudice remittente e con la sentenza n. 275 del 29 ottobre 2009 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 30 del D. Lvo. 11 aprile 2006, n. 198 “nella parte in cui prevede, a carico della lavoratrice che intenda proseguire nel rapporto di lavoro oltre il sessantesimo anno di età, l’onere di dare tempestiva comunicazione della propria intenzione al datore di lavoro, da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto della pensione di vecchiaia e nella parte in cui fa dipendere da tale adempimento l’applicazione al rapporto di lavoro della tutela accordata dalla legge sui licenziamenti individuali”. La Corte ha osservato che la disposizione legislativa, nell’imporre tale formalità alle lavoratrici realizza una “discriminazione tra lavoro maschile e lavoro femminile”. Secondo la Consulta l’onere di comunicazione impone alla lavoratrice un adempimento non previsto per il lavoratore e “compromette e indebolisce la piena ed effettiva realizzazione del principio di parità tra l’uomo e la donna, in violazione dell’art. 3 Cost., non avendo la detta opzione alcuna ragionevole giustificazione”. E’ vero che la pronuncia è intervenuta solo giovedì scorso ma forse meritava un maggior risalto da parte dei media, sia per l’importanza del principio, sia per le conseguenze relative non solo a chi sta ancora lavorando, ma anche alle donne che, pur volendo continuare, hanno perso il posto di lavoro, magari per semplice ignoranza della norma. L’intervento della Corte Costituzionale toglie dal nostro ordinamento questa norma con effetto retroattivo (la norma è come se non fosse mai esistita nel nostro ordinamento) e, quindi, riguarda chi è ancora al lavoro, ma anche chi lo ha ingiustamente perso. (jobtalk.blog.ilsole24ore.com)

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