Cerca
Close this search box.

Liberta´ di stampa: Guantanamo, torna ad al Jazeera il detenuto-giornalista mai processato. Ora sara´ capo della redazione sui diritti umani

Condividi questo articolo:

Washington, 23 dic 2009 – Dalla cella di Guantanamo, a Cuba, alla sua redazione di Al Jazeera, a Doha, nel Qatar. Il New York Times racconta oggi, in prima pagina, la fine dell´odissea di Sami al Hajj, quarantenne, originario del Sudan, l´unico giornalista tra i 779 detenuti che sono passati dal carcere all´interno della base americana di Cuba, luogo simbolo della violazione della legalita´ internazionale da parte dell´amministrazione Bush.
   Il 15 dicembre del 2001, quando venne catturato dall´esercito
pakistano, al confine tra il Pakistan e l´Afghanistan, Sami era
un cameraman della tv qatariota. Dopo l´arresto venne consegnato
alle autorita´ americane, che lo trasferirono alla base aerea
afgana di Bagram dove, racconta Sami, venne picchiato e
torturato. Infine, verso la meta´ del 2002, venne tradotto a
Guantanamo, dove trascorse sei anni.
   Nel maggio 2008, grazie all´impegno di alcune associazioni
umanitarie e del governo del Sudan, Sami e´ stato rilasciato.
Zachary Katznelson, direttore di Reprieve, l´associazione
umanitaria che ha seguito il suo caso, racconta che Sami per
anni e´ stato accusato di aver girato alcune interviste a Osama
bin Laden. Poi, scoperto il vero cameraman, quell´accusa spari´.
Quindi dissero che era il promotore di un sito web jihadista, ma
anche quel capo d´accusa tramonto´ presto. Infine, nell´ultimo
periodo di detenzione, le autorita´ americane sostennero che
Sami fosse in Afghanistan per vendere missili ai ribelli ceceni,
ma non avevano alcuna prova di cio´, quindi anche questo
sospetto crollo´ presto´.
   Ora, l´ex sospettato di tutte queste malefatte, mai
incriminato formalmente da nessun giudice, guidera´ una nuova
redazione dedicata alla tutela della liberta´ e dei diritti
umani in giro nel mondo. ´´Oggi – ha detto Sami dal quartier
generale del canale satellitare di Doha – ho solo voglia di
lavorare e parlare, in modo da compensare i sette anni in cui
sono stato costretto al silenzio´´.
   L´apertura del carcere di Guantanamo, sottolinea il Nyt, ha
danneggiato l´immagine degli Stati Uniti tra i telespettatori di
Al Jazeera piu´ di ogni altra azione. Per questa ragione il
canale satellitare attribuisce grandissimo significato alla
liberazione di Sami, definito dal direttore delle news, Ahmed
Sheikh, ´´una delle vittime delle atrocita´ commesse contro i
diritti umani da parte dell´amministrazione americana negli anni
in cui alla Casa Bianca c´era George W.Bush´´.
   Sami sta gia´ lavorando a un documentario in sei parti sui
suoi anni a Guantanamo. Tuttavia nel suo lavoro non si limitera´
a descrivere la sua storia di carcerato. In cantiere ci sono
diverse inchieste sulla liberta´ di stampa in Iraq e le
condizioni di vita dei detenuti rinchiusi nelle prigioni
israeliane e palestinesi.
   Nonostante la brutta esperienza, Sami non e´ un radicale.
Anzi´, scrive il New York Times, ha conservato una sostanziale
fiducia nella giustizia e nella democrazia.
(ansa)——————————————————————————————————————————————————

Dei 779 detenuti che sono passati per il carcere di Guantánamo, uno era giornalista: Sami al Hajj, un cameraman di Al Jazeera, arrestato in Pakistan nel 2001 con l’accusa di aver falsificato i suoi documenti e di aver finanziato i ribelli ceceni. Sami al Haajj non è mai stato processato per i crimini di cui veniva accusato. Ora, un anno dopo il rilascio, è tornato a lavorare per la tv satellitare araba più famosa del mondo. “Guida un nuovo ufficio che si occupa di diritti umani e libertà civili. Il prigioniero è diventato corrispondente”, scrive il New York Times. ´Vorrei parlare per i prossimi sette anni, per recuperare i sette anni di silenzio´, ha dichiarato Al Hajj. “Per gli spettatori della rete satellitare araba uno degli elementi che hanno danneggiato di più l’immagine degli Stati Uniti nel mondo arabo dopo l’11 settembre è stato proprio il carcere statunitense in territorio cubano. Per questa ragione Al Hajj è un’arma molto potente per la redazione di Al Jazeera”, continua il giornale. Al Hajj non si occupa solo del suo caso, ma sta cercando di allargare l’attenzione dei mezzi d’informazione su tutti i casi di violazione dei diritti umani nel mondo: la libertà di stampa in Iraq, i prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane e le limitazioni per le libertà civili previste nel Patriot act.


Al Hajj ha cominciato a lavorare come cameraman per Al Jazeera nel 2000. È stato arrestato il 15 dicembre 2001 mentre attraversava insieme a un giornalista il confine tra Pakistan e Afghanistan. Molto probabilmente è stato confuso con un altro cameraman di Al Jazeera che aveva girato un’intervista con Bin Laden dopo gli attacchi dell’11 settembre. In un primo tempo Al Hajj è stato detenuto dalle autorità pachistane, poi è passato sotto la custodia delle autorità statunitensi, picchiato e torturato nella prigione di Bagram, in Afghanistan. Nel 2002, infine, è stato trasferito a Guantánamo. “Ho visto molte cose che avrei preferito non vedere. Come il trattamento inumano dei detenuti a Bagram”, ha raccontato. Il giornalista sostiene che gran parte degli interrogatori riguardavano l’attività del network per cui lavorava ed è convinto che una delle ragioni principali per cui è stato mandato a Guantánamo è perché era un giornalista.


“Al Hajj è stato rilasciato nel maggio del 2008, dopo un’importante campagna condotta da organizzazioni per la difesa dei diritti umani e dal governo del Sudan, stato di provenienza del giornalista. Secondo il suo avvvocato le accuse sono cambiate nel corso degli anni e sono decatute poco a poco: prima era accusato di aver fatto un’intervista a Bin Laden, poi di aver aperto un sito che alimentava il jiadismo e poi di essere in Afghanistan per concludere uno scambio di armi con i ribelli ceceni. Tutte accuse che non sono state provate”, continua il New York Times.


Dopo il suo rilascio Al Hajj ha fondato un’associazione per gli ex detenuti di Guantánamo: il Guantánamo Justice Center. Attraverso questa associazione gli ex prigionieri si dotano degli strumenti legali per far causa all’amministrazione Bush e al sistema giudiziario statunitense. (internazionale.it)

Il network