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Libertà di stampa: Google, il server spostato a Hong Kong ma in Cina resta censurato

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Pechino, 23 mar 2010 – La Cina ha reagito prima con rabbia, poi cercando di raffreddare i toni, alla chiusura del sito cinese di Google, decisa ieri a sorpresa dal colosso di Mountain View dopo due mesi di polemiche con Pechino. Da oggi, gli internauti cinesi vengono reindirizzati sul sito della compagnia che ha sede a Hong Kong. Le conseguenze pratiche del colpo di teatro sono ancora difficili da decifrare dopo un´intensa giornata di frenetiche ricerche online e di ipotesi sollevate da utenti ed esperti del web in Cina. Poco dopo l´annuncio dell´azienda Usa, un funzionario governativo citato dall´agenzia Nuova Cina ha accusato Google di non aver ´´rispettato la parola data´´ al momento del suo ingresso nel Paese, nel 2006. Col passare delle ore, Pechino e´ sembrata voler smorzare i toni di una polemica esplosa mentre Cina ed Stati Uniti sono ai ferri corti su una vasta gamma di temi che vanno dal commercio, al Tibet, alle relazioni con Taiwan, l´isola di fatto indipendente che Pechino rivendica e alla quale Washington continua a fornire armi. Un portavoce del ministero degli Esteri, Qin Gang, ha sostenuto in una conferenza stampa che ´´l´incidente di Google e´ un atto isolato di una compagnia commerciale, non vedo come possa avere alcun impatto sulle relazioni con gli Usa, a meno che qualcuno non lo voglia politicizzare´´. Quando Google ha annunciato la decisione di chiudere il sito Google.cn in Cina era notte fonda. Da quel momento in poi, gli internauti che si collegano al sito vengono automaticamente diretti su Google.com.hk, situato nella ex-colonia britannica. Hong Kong e´ oggi una speciale regione amministrativa della Cina con una larga autonomia e nel territorio non funziona la ´´Grande Muraglia di Fuoco´´, la barriera di filtri con la quale il governo di Pechino impedisce agli utenti cinesi di accedere ai siti che considera sgraditi, come quelli dei profughi tibetani, della setta religiosa fuorilegge del Falungong, o di cercare notizie su argomenti come il massacro di piazza Tiananmen del 1989. Oggi gli internauti che hanno provato ad aprire i siti proibiti utilizzando Google.com.hk sono rimasti delusi: le pagine web sono ancora inaccessibili. ´´Spostando il traffico su Hong Kong – ha spiegato un blogger che non vuole essere nominato – Google non e´ obbligata ad usare i filtri imposti dal governo a chi opera in Cina. Pero´ non puo´ impedire che il governo blocchi i contenuti che gli sono sgraditi´´. Per chi usa Internet in Cina l´unica strada per accedere ai siti vietati – che comprendono i social network YouTube, Facebook e Twitter – e´ quella di utilizzare proxy server con indirizzi stranieri, che la ´´Grande Muraglia´´ riesce a volte a disturbare ma non a bloccare. Edward Yu, fondatore della societa´ di ricerca Analysys International che ha sede ha Pechino, ritiene che il governo cinese ´´sara´ comunque scontento per un gesto di questo tipo´´ e potrebbe ´´mettere degli ostacoli´´ alle altre operazioni di Google in Cina. La mappe di Google, ad esempio, sono consultabili sui cellulari cinesi tramite la piu´ grande compagnia telefonica del Paese, la China Mobile. Inoltre, il colosso di Mountain View ha in piedi diverse trattative per l´uso sui cellulari del software Android. Alcuni dei circa 700 impiegati di Google China hanno risposto oggi alle telefonate dei giornalisti affermando che sono ´´normalmente al lavoro´´ e rifiutandosi di fare ipotesi per il futuro. Google.cn aveva conquistato in tre anni circa il 30% dell´enorme mercato cinese (quasi 400 milioni di utenti), che e´ dominato dal motore di ricerca della compagnia cinese Baidu, le cui azioni sono salite del 40% dall´inizio della polemica in gennaio, mentre quelle di Google hanno perso il 6%. La societa´ americana ha affermato di non volersi piu´ sottoporre alla censura cinese dopo aver scoperto che i conti privati di posta elettronica di alcuni dei suoi clienti, dissidenti cinesi e attivisti dei gruppi umanitari, avevano subito degli attacchi informatici provenienti dalla Cina. Due mesi di trattative si sono concluse ieri con l´annuncio di Google che, secondo la visione ottimistica di alcuni esperti di informatica in Cina, potrebbe in realta´ significare che e´ stato raggiunto un compromesso, seppur al livello piu´ basso possibile. Secondo questa ipotesi Google non avrebbe piu´ l´onere di partecipare all´opera di censura, mentre Pechino sarebbe soddisfatta per poter comunque limitare la liberta´ di movimento sul web degli utenti cinesi. I pessimisti ritengono invece che una rappresaglia non tardera´ a concretizzarsi, probabilmente con il blocco del sito di Google di Hong Kong. (ansa)

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