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Lutti: dopo una lunga malattia si spegne Pietro Calabrese, "ottavo Re" di Roma

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Roma, 12 set – E´ morto questa mattina il giornalista Pietro Calabrese. Ammalato di tumore, era ricoverato alla clinica Paideia di Roma. Nato nella capitale da genitori siciliani 66 anni fa, dopo la laurea in giurisprudenza Calabrese nel 1969 entrò alla Camera dei deputati come borsista, per poi diventare funzionario parlamentare. In seguito, lasciò l´amministrazione di Montecitorio per dedicarsi a tempo pieno alla professione giornalistica. Vinse un concorso all´agenzia Ansa, dove cominciò a lavorare. Per otto anni fu corrispondente prima dell´Ansa e poi de Il Messaggero, rispettivamente a Madrid (due anni), Parigi (quattro anni) e Bruxelles (due anni), quindi divenne inviato speciale del quotidiano romano. Nel 1988 venne nominato redattore capo, responsabile del servizio cultura de Il Messaggero. Nel 1990 lasciò il quotidiano romano, e fino al 1993 fu capo del servizio arti e spettacoli de L´espresso. Rientrò a Il Messaggero nel 1993 come redattore capo centrale. Nel 1995 fu promosso vicedirettore e l´anno successivo fu nominato direttore responsabile de Il Messaggero, incarico che ricoprì fino al settembre 1999. Nel periodo della sua direzione il quotidiano romano toccò l´indice più alto di vendite della sua storia. In Rai Successivamente, passò alla Rai, dove guidò la Divisione TV Canale 3 e Offerte. Lasciò quindi viale Mazzini e si trasferì a Milano per la Rcs, che gli affidò la direzione del mensile Capital. All´uscita di Candido Cannavò dalla Gazzetta dello Sport, la Rcs decise di puntare su risorse interne al gruppo e affidò a Calabrese il primo quotidiano sportivo italiano. Nel 2004 diventò direttore del settimanale Panorama, in sostituzione di Carlo Rossella. L´11 ottobre 2007 lasciò la direzione del settimanale, che venne affidata a Maurizio Belpietro. Contestualmente, fu nominato dall´allora sindaco di Roma Walter Veltroni membro del consiglio di amministrazione della Fondazione Cinema, che organizza la Festa del Cinema di Roma. Si dimise il 29 aprile 2008, dopo le elezioni amministrative che videro l´affermazione di Gianni Alemanno. In seguito il suo nome comparve frequentemente fra i candidati alla presidenza della Rai. Negli ultimi anni ha tenuto diverse rubriche su alcuni periodici tra cui Sette, Prima Comunicazione e Novella 2000. Libro Nel novembre 2009, durante un´intervista televisiva, aveva fatto sapere di essere stato colpito da un tumore al polmone, e in seguito raccontò quasi ogni settimana sul ´Magazine´ del ´Corriere della Sera´ il percorso intrapreso per curare e sconfiggere la malattia. Calabrese aveva dato alle stampe un libro sulla sua vicenda, in uscita nei prossimi giorni, in un tono ora drammatico, ora poetico, ora crudo, ora giocoso come era nelle sue corde.(rainews24)________________________________ Adesso occorre che qualcuno comunichi ai lettori che con Pietro Calabrese, scomparso ieri a Roma a 66 anni, se n’è andato anche Gino, l’alter-ego che lui stesso si era costruito per raccontare con asciuttezza, senza protagonismo, il suo lungo calvario di malato di cancro, che un giorno qualsiasi della sua breve vita apprende per caso di essere condannato. Con Pietro, Gino aveva fatto capolino dalle colonne di «Sette», nella rubrica «Moleskine», a maggio dell’anno scorso. Doveva essere un colpo e via, ma nessuno dei due, né l’autore né il personaggio che aveva creato, potevano immaginare cosa avrebbero sollevato nel moderno sistema della comunicazione on line. Calabrese, e per suo tramite Gino, dal giorno dopo la pubblicazione dell’articolo furono sommersi letteralmente di e-mail di gente comune, il «popolo di Gino», che non voleva rassegnarsi all’idea che non ci fosse più niente da fare. E per questo cercava di dare consigli, chiedeva dettagli e si raccomandava, almeno, di essere informata sul prosieguo. Così Pietro e Gino hanno continuato a vivere per un anno e mezzo, aiutati da tutti i loro corrispondenti, anche per onorare l’amicizia e la solidarietà ricevute a piene mani, che certamente li hanno aiutati a campare. Questa esperienza talmente straordinaria, alla quale non era per niente preparata, pur nel frangente tragico della malattia, non poteva capitare a una persona più adatta. Giornalista blasonato e pluridirettore, Pietro infatti non s’era mai lasciato sopraffare dal cinismo, che coglie spesso dopo alcuni anni quelli che fanno il nostro mestiere. Umanamente, anzi – e sicilianamente -, era uno che aveva scambiato l’amicizia con l’amore, quasi considerava uguali due sentimenti tanto diversi. Amava la sua adorata moglie Barbara e la figlia di cui andava pazzo, Costanza, solo un po’ più degli amici a cui aveva dedicato la sua esistenza. Era affettuoso ed esigente con loro. Non poteva far passare un giorno o una settimana senza rallegrarli con una telefonata, o rimproverarli per un’assenza troppo lunga. Nelle belle giornate e nei lunghi mesi della malattia, li riceveva in compagnia dei suoi cani, seduto su una panchina di Villa Borghese che aveva ribattezzato «l’ufficio». Era lì che si davano appuntamento a Roma tutti quelli che gli volevano bene, e lo assecondavano in qualsiasi capriccio. Gran conversatore, animatore instancabile di serate gioiose, aveva un tocco speciale per intrattenere i suoi ospiti. A un certo punto cominciava a parlare di sesso in tono disinvolto, con grande impiego di neologismi e allusioni. I commensali che lo conoscevano meno, e magari sedevano al suo fianco per la prima volta, si stupivano. Ma lui non se ne curava. E concludeva immancabilmente magnificando la propria virilità, donatagli da una natura generosa. Aveva insomma un modo originale di snocciolare in termini crudi argomenti scabrosi. E lo faceva con un certo carisma, come se fosse un preciso dovere, tipo «avvertenze per l’uso». L’attitudine alla descrizione letteraria dei suoi personaggi, a partire dagli anfratti più nascosti delle loro personalità, veniva fuori, non solo dai suoi discorsi, ma anche e soprattutto dai suoi articoli e dal suo modo di fare i giornali. Ancora oggi, dopo vent’anni di viaggi per il mondo da inviato e corrispondente, e altri dodici da direttore, era rimasto indimenticabile un reportage assai stravagante che dedicò a un improbabile convegno scientifico di petomani in Abruzzo, di cui volle catalogare a tutti i costi ogni tipo di emissione. Due quotidiani (Il Messaggero e la Gazzetta dello Sport), due periodici (Panorama e Capital), il primo portale Internet della Rizzoli-Corriere della Sera, un’intera divisione della Rai, di cui per poco non diventò presidente, Calabrese aveva alle spalle una carriera prestigiosa, anche se era rimasto legato al giornale della Capitale in cui si era formato da ragazzo. Nessuno come lui aveva saputo interpretare e mettere in pagina vizi e virtù di una città unica, che lo elesse non solo metaforicamente «ottavo re di Roma». Si era gettato anima e corpo a rappresentare il trash del potere romano, tra pranzi e cene, amori e tradimenti, impicci e imbrogli: un Satyricon di cui era testimone diretto, da monarca di una Capitale anarchica. Tra pochi giorni, pubblicata da Rizzoli, la storia di Pietro e Gino diventerà un libro. Il diario coraggioso e spietato di uno che va verso la fine, un passo dopo l’altro. Ma anche l’addio di un uomo che aveva vissuto sempre con gli altri, e per gli altri. (Marcello Sorgi, lastampa.it)

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