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Libertà di informazione: rapporto Cpj, nel 2010 uccisi 44 giornalisti. Cautela sulle intercettazioni, citato il caso Italia

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New York, 15 feb – Nel 2010 nel mondo sono stati uccisi 44 giornalisti a causa del loro lavoro e la morte di altri 31 potrebbe essere collegata alla loro professione. E´ quanto emerge dal rapporto annuale del Comitato per la protezione dei giornalisti (Cpj), una delle piu´ grandi organizzazioni internazionali a sostegno della liberta´ di stampa. Nel 2009 i morti erano stati 72, ma sul dato pesava un´unica strage nelle Filippine. Il Paese che ha pagato scotto maggiore e´ il Pakistan con otto morti, seguito dall´Iraq con cinque e da Honduras, Messico e Indonesia con due. Presentando il rapporto, Riz Khan di Al Jazira ha osservato che l´esplosione dei media digitali ha reso piu´ difficile la censura ma non ha fermato le violenze e le minacce contro i giornalisti, soprattutto quelli dei media locali piu´ esposti a intimidazioni e ritorsioni. Il rapporto ´Attacchi alla stampa 2010´ del Committe di Protect Journalists sostiene anche che le rivolte in Tunisia ed Egitto hanno dimostrato che ´´Internet e´ uno strumento incredibilmente potente per i giornalisti che lavorano nei regimi repressivi´´, i quali rispondono assoldando ´´sicari telematici´´ per colpire chi pubblica online, come e´ successo nel corso del 2010 sia in Cina, sia in Iran. Nel rapporto, presentato oggi all´Onu, Cpj punta il dito, tra gli altri, contro il governo di Pechino, accusandolo di tollerare, e magari appoggiare, hacker ´´patriottici´´ con uno scambio di favori: ´´Tu attacchi i siti di informazione tibetani e, magari, la polizia chiudera´ un occhio sulle carte di credito rubate´´, si legge nel documento. La Cina – denuncia il rapporto – ha il triste record, assieme all´Iran, per i giornalisti che sono stati imprigionati per quello che scrivevano: i due Paesi hanno nelle loro prigioni 34 giornalisti ciascuno. Seguono Eritrea (17), Birmania (13) e Uzbekistan (6). La meta´ degli arrestati sono giornalisti che pubblicavano online. Per il Cpj, infine, i giornalisti – in Italia come altrove – devono essere in grado di ´´riportare le intercettazioni telefoniche´´, ma queste vanno usate con cautela e non devono essere necessariamente ´´divulgate nella loro interezza prima dell´apertura dei processi´´. Paul Steiger, giornalista americano responsabile di Cpj, presentando oggi il rapporto ha precisato di ritenere le intercettazioni ´´uno strumento sensibile´´. Il rapporto 2010, intitolato ´´Attacchi alla stampa´´, riserva un breve paragrafo all´Italia, dedicato appunto al tema delle intercettazioni. Il rapporto si limita a registrare che sul tema e´ in corso un dibattito in Italia, che il governo ha presentato un ddl accantonato dal parlamento. ´´Qui negli Stati Uniti le intercettazioni sono usate ma anche controllate – ha spiegato Steiger -. Non penso che debbano essere divulgate nella loro interezza prima dell´apertura dei processi, anche se i giornalisti devono essere liberi´´ di scriverne. Steiger, gia´ alla guida del Wall Street Journal, e´ ora a Pro-Publica, laboratorio di giornalismo no profit. (ansa)

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