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Roma Uno: il giudice fallimentare non riconosce le spettanze dei colleghi

Roma Uno

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Al fallimento morale ed economico nella gestione di Roma Uno con le conseguenze sui colleghi che hanno perso il posto di lavoro si aggiunge uno strascico giudiziario che Stampa Romana giudica molto grave per i colleghi, costituendo un pericoloso precedente per il mondo dell’editoria.

A settembre scorso Roma Uno è stata ceduta da una società di Manlio Cerroni, patron di Malagrotta, a una società di Fabrizio Coscione, imprenditore titolare anche di altre emittenti private. La nuova società non ha mai pagato gli stipendi, né rilasciato buste paga, costringendo i dipendenti a scioperi e proteste ripetute e sostenute anche da Stampa Romana, con abbondanza di notizie riportate correttamente da quotidiani, radio e tv locali.
La fine del rapporto di lavoro per i dipendenti si attesta prevalentemente all’inizio di quest’anno quando è subentrata la curatrice del fallimento Franca Cieli.
Sappiamo che il rapporto di lavoro giornalistico non è provato dall’esistenza di un badge. Il cartellino non ha diritto di cittadinanza contrattuale.
Sappiamo anche che nel caso specifico non ci sono mai state buste paga perché i dipendenti non sono stati pagati. Sappiamo anche che a un certo punto anche il direttore Esposito si è dimesso e la redazione era senza guida.
Ciò non toglie che i dipendenti si siano sempre presentati nella sede di via Groenlandia per prestare servizio, non volendo concedere il destro ad azioni unilaterali da parte di un’azienda che non vedeva l’ora di togliersi dal groppone il monte salari dei giornalisti.
D’altronde le azioni sindacali, scioperi inclusi, si fanno quando il rapporto di lavoro è ancora in piedi e per conservarlo. Agire in modo diverso sarebbe semplicemente fantozziano.
Tutte cose riportate al fallimento.
Ebbene tutto questo non è bastato al giudice delegato Daniela Cavaliere. Non sono bastate le testimonianze. Voleva i video delle messe in onda che non sono stati rintracciati nel server del sistema centrale e non è e non può essere questa una colpa o una responsabilità dei giornalisti e dei dipendenti. Dire ai colleghi in giudizio “fate opposizione” di fronte al diniego di diritti e retribuzioni legittime significa anche non comprendere le difficoltà, i drammi individuali di persone fiaccate dalla mancanza di stipendi.  Ricordiamo sommessamente ai giudici che costa far valere le proprie ragioni in giudizio.
Stampa Romana continuerà a difendere le ragioni dei colleghi, le cui rivendicazioni sulle cinque mensilità non riconosciute sono contrattualmente legittime, e non si arrende alla casualità degli eventi.

Lazzaro Pappagallo
Segretario Associazione Stampa Romana

 

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