Cerca
Close this search box.

Lettera aperta del Segretario ASR agli iscritti

stampa romana

Condividi questo articolo:

Cari colleghi,

per individuare una traccia sulla quale indicare le cose fatte e le cose da fare da parte di Stampa Romana dobbiamo partire dalla fotografia della categoria e del settore industriale.

La nostra professione è ormai composta nella maggioranza da lavoratori che non hanno un contratto di lavoro subordinato. 2 su 3 rientrano in una generica definizione di lavoro autonomo. In realtà dovremmo imparare a distinguere e indicare che in quel box troviamo parasubordinati con cococo, precari, lavoratori effettivamente autonomi, collaboratori strategici e collaboratori saltuari.

Se la platea dei colleghi attivi in Italia si colloca intorno alle 50mila unità, gli articoli 1 e 2 rappresentano una fetta di 16mila giornalisti.
Su entrambe le platee si scaricano gli effetti della crisi del nostro settore industriale.
Nonostante un forte rallentamento delle perdite, tutti gli indicatori dimostrano che l’editoria è il settore che è stato più devastato dalla crisi economica, con una perdita di valore aggiunto di un terzo (38,8% dal 2008).

E’ la descrizione di una tempesta perfetta: da una parte non ci sono modelli di business condivisi che trasmettano sicurezza (se non per la grande emittenza radiotelevisiva) perchè la crescita del web, soprattutto oggi del traffico di notizie sugli smartphone, la “mobilità in salsa editoriale”, non compensa i crolli di fatturato del cartaceo tradizionale o della piccola emittenza radiotv.

Dall’altra parte i giornalisti espulsi dal circuito produttivo tradizionale provano a restare a galla nella ampia e variegata vasca del lavoro non subordinato.
Passiamo in rassegna i nodi di sistema da sciogliere, le isole di sopravvivenza, le possibili ripartenze e le politiche messe in campo anche da Stampa Romana.

Le risorse del settore

Di fronte a una riduzione del perimetro dei ricavi, il settore ha necessità di trovare risorse. La legge sull’editoria, attendendo i decreti delegati (primo fra tutti quello che dovrebbe snellire le liste dei prepensionamenti e definirne i nuovi criteri) porta a casa alcuni buoni risultati ma non coglie lo spirito dei tempi.
E’ certamente cosa buona e giusta mettere ordine nei capitolati di risorse con il fondo unico per il pluralismo.
Sarebbe anche cosa buona e giusta trovare le risorse liddove ci sono (vedi extra gettito del canone Rai) per metterle a beneficio del sistema.
Diventa invece paradossale che si applichi una misera trattenuta dello 0,1% ai veri protagonisti del settore.
Dire che Facebook sia il più grande editore mondiale non è più un’eresia. Non considerare Facebook e Google e più in generale gli over the top come attori protagonisti del sistema e non semplice semafori di transizione dei post degli utenti è un errore strategico.
Diventa per questo una battaglia di buon senso, da condividere in modo trasparente e pulito anche con la Fieg e gli editori, riportare una parte di questi ricavi nel sistema dell’editoria e metterlo a fattor comune di tutti i “campioni” nazionali. I campioni che esistono sul mercato (le grandi aziende editoriali attuali) e quelli che, tra start up, cooperative, impresa 2.0, cercano di emergere e individuare pubblici, utenze, profondità di notizie, specializzazione ed anche ricavi.
Un sindacato robusto e solido, rappresentativo di un fattore della produzione – i giornalisti – non deve aver paura di giocare una partita comune con gli editori. E deve trovare ascolto dai decisori politici, sul fronte interno e sul fronte comunitario per la destinazione della “digital tax”.

Il decisore politico: i fondi, l’equo compenso, gli uffici stampa

Chi governa ha fatto bene a fare pulizia per l’uso distorto dei fondi pubblici. Ricordiamo e paghiamo ancora gli anni dei contributi pubblici, dei soldi dei cittadini, generosamente offerti a tutti, gli anni di Lavitola.
Questi anni sono finiti.
Non può però finire la centralità del nostro settore.
In gioco non ci sono solo migliaia di posti di lavoro ma un valore fondativo della nostra costituzione, l’articolo 21, del diritto-dovere di informare e di essere informati.
Il riconoscimento costituzionale dell’editoria deve diventare, anche nelle mani del Governo, una questione industriale.
Lo abbiamo visto nelle scelte che si devono fare sulla digital tax per gli over the top (chiamatela come vi pare si tratta solo di ridistribuire ricchezza).
Lo possiamo vedere sull’equo compenso per i giornalisti non subordinati. Qui si tratta di rispettare le scelte dei giudici amministrativi che hanno considerato il vecchio equo compenso inadatto a soddisfare i requisiti dell’articolo 36 della Costituzione, cioè una giusta ed equa retribuzione.
Lo potremmo vedere sulle agenzie di stampa.
Il 2017 doveva essere l’anno della fusione di decine di strutture editoriali che fanno informazione primaria. Tra ricorsi ai giudici amministrativi e inciampi del legislatore, il settore non solo non è stato riformato ma sembrano assenti i tentativi di farlo ripartire e di non accontentarsi di un galleggiamento legato ai soldi pubblici. Solo a Roma sono in gioco diverse centinaia di posti di lavoro e un contributo essenziale al pluralismo informativo.
Lo vorremmo vedere nell’applicazione della legge 150 del 2000. Un ordine del giorno approvato con la legge sull’editoria impegna il Governo a trovare una soluzione per far applicare il contratto giornalistico in tutti gli uffici stampa degli enti pubblici.
Se il ministro delle funzioni pubbliche Madia lo traducesse in un atto di indirizzo rivolto all’Aran con il riconoscimento dell’interlocuzione sindacale della Fnsi come controparte si ridarebbe slancio alla 150, si garantirebbero diritti a migliaia di colleghi (diritti anche previdenziali), si sanerebbe una ferita che ci portiamo dietro ogni qual volta abbiamo una interlocuzione politica o amministrativa con gli enti locali (esemplari le ultime decisioni del Consiglio Regionale del Lazio).
E’ vero che siamo alle battute finali della legislatura ma la Fnsi deve far sentire tutto il suo peso sindacale per portare a casa il risultato.

Il contratto di lavoro FNSI-FIEG

Sappiamo che il governo può esercitare un ruolo anche nella rinnovazione del contratto. Non sarebbe una novità. Ha già in passato esercitato la sua “moral suasion”. Non sempre però lo ha fatto per un risultato corretto.
Al di là della presenza del governo al tavolo della trattativa (il governo non deve mediare tra le parti, deve avere una idea industriale sulla quale lavorare) resta essenziale l’azione negoziale che dobbiamo mettere in campo.
La posizione della Romana sul contratto è chiara ed è stata ribadita in diversi documenti e prese di posizione.
Non c’è settore industriale nel quale si sia negli anni prodotta una contrattazione al ribasso. Non è accettabile la linea degli editori che è di puro contenimento del costo del lavoro. Dobbiamo tutelare gli istituti contrattuali. Dobbiamo, semmai, in linea con quanto hanno fatto i metalmeccanici, usare il secondo livello per trovare soluzioni convenienti su produttività e salario aggiuntivo.
Dobbiamo anche scaricarci dal peso ingiustificato per il quale si continua a sostenere che con il contratto si crea lavoro. Il lavoro lo crea il mercato. Il contratto lo negozia e lo regola.
Dobbiamo insomma evitare i gravi errori commessi nel 2014 con la comparsa dell’equo compenso contrattuale. I dati Inpgi sono chiari: la media retributiva dei cococo nel 2015 si è attestata sugli 8200 euro, perdendo i collaboratori così inquadrati 1300 euro di potere d’acquisto. Non solo è stato improprio infilare la parasubordinazione in un contratto di lavoro subordinato ma l’intervento regolatorio ha nei fatti peggiorato la libera contrattazione sul mercato. I pesi impropri di quella stagione contrattuale hanno regalato frutti amari. E’ tempo allora di capire cosa non ha funzionato e di eliminare le strettoie e gli imbuti nei quali anche il sindacato si è infilato.
Se gli editori (il presidente Fieg Costa dixit) continuano a dire che vince la qualità nel mercato editoriale, dobbiamo ricordar loro semplicemente che la qualità si paga.
Il contratto FNSI-FIEG deve restare quello centrale. Una manutenzione degli altri contratti, dall’Aeranti Corallo all’Uspi, è necessaria per disboscare il lavoro nero ma questi contratti non devono essere usati per fare dumping rispetto all’architrave del sistema.

Le leggi di sistema: querele temerarie, concentrazioni editoriali, Rai

Magari non sarà materia contrattuale (ma ce ne sarebbe bisogno creando apposito fondo) ma ci auguriamo che il tema delle querele diventi centrale nell’elaborazione sindacale e politica.
Non solo deve cessare la vergogna del carcere per la diffamazione, espressione del vecchio codice Rocco, ma quella vergogna non può essere sostituita con multe che colpirebbero la carne viva dei colleghi, esponendo soprattutto i non subordinati, a forme di pressione indebita e in definitiva alla rinuncia a raccontare i fatti più scottanti.
Basterebbe poco.
La storia di trasmissioni gloriose come Report ce lo insegna.
Gran parte delle querele riversate sulla Gabanelli si sono sciolte come neve al sole. Se il querelante, laddove non ci fossero stati i presupposti per essere accolte, avesse pagato lo stesso ammontare di quanto chiesto a Report, ci avrebbe pensato decine di volte prima di procedere in giudizio.
L’articolo 21 della Costituzione con il diritto-dovere di informare professionalmente si difende sulle querele e si difende su nuove leggi antitrust e sulla Rai.
La vicenda Stampubblica, con la concentrazione editoriale valutata su chiave nazionale in base alle copie tirate, nel tempo del digitale, dimostra l’insufficienza e la vetustà del quadro regolatorio.
Analoga filigrana si coglie nel gioco a rimpiattino tra Mediaset e Vivendi. Vivendi pone anche il problema di chi distribuisce i contenuti con la sua rilevante presenza in Telecom.
Sono tutti temi in cui è in gioco la libertà d’informare e di essere informati.
E un tema di libertà non può non essere la Rai.
La legge di riforma appena varata ha fatto esattamente quello che ci aspettavamo. Ha liberato risorse, affrontando e sconfiggendo l’evasione tributaria sul canone. Non ha invece liberato l’azienda, le testate e i giornalisti dalla “pressione” della politica.
Il prossimo passaggio del rinnovo della concessione può rappresentare un’ennesima occasione perduta o uno scatto di reni.
Sul piano più strettamente sindacale crediamo sia giunto il momento di applicare il contratto di lavoro a tutti i colleghi che fanno i giornalisti nelle testate come nelle reti.
Apprezziamo il felice esito del concorso pubblico che deve restare centrale nella selezione dei colleghi, ma l’informazione deve restare un corpo unitario e non parcellizzato tra testate e reti con una diversa natura dei contratti di lavoro.
Carlo Verdelli che ha la titolarità complessiva dell’informazione (reti-testate) ha anche prodotto con il suo team un piano editoriale.
E’ un po’ una summa di una ventina di anni di lavoro che hanno attraversato diverse gestioni politico-editoriali. Ci sono cose inaccettabili come lo spostamento a Milano del Tg2 o le macroaree per la TGR con un minimo di 15 colleghi per sedi redazionali ma è necessario che si inizi a discutere per non relegare anche il piano Verdelli a un ennesimo razzo lanciato sulla luna senza nessuna possibilità di ritorno.

Il rapporto con i CdR, le redazioni e i territori

I comitati di redazione in un quadro così complesso hanno rappresentato i colli di bottiglia sui quali si scaricano le tensioni.
Stampa Romana ne riconosce pienamente ruolo e funzione.
Vogliamo e rilanciamo un rapporto di stretta collaborazione.
Sono i primi sensori di quanto avviene sul campo, delle relative difficoltà, delle scelte degli editori che spesso ci penalizzano.
E’ il modo migliore per entrare in contatto con le redazioni e con i singoli colleghi. Un sistema così articolato anche nelle relazioni sindacali si tiene in piedi anche con questo confronto costante. I comitati di redazione restano un presidio costante e tutt’altro che scalfito anche dalla legislazione che cambia, a iniziare dal jobs act.
Devono ricondurre a unità quello che la legislazione del lavoro ha frammentato, tra assunti con nuove e vecchie regole del mercato del lavoro.
Il lavoro in profondità vale anche per le strutture territoriali in cui è articolata Stampa Romana. Il rapporto con i presidi di Latina, Frosinone e Viterbo resta saldo e vivo, rilanciato da innovazioni come il box pratiche Casagit. Stampa Romana è la comunità di tutti i giornalisti di Roma e del Lazio. E i territori esterni al raccordo anulare sono sempre quelli in cui ci sono tensioni estreme. La denuncia sul caporalato in provincia di Latina e in quella di Roma nella vicenda del Giornale di Latina e del Giornale della Provincia è il segnale della estrema eterogeneità del nostro settore. Di fronte a casi di caporalato non resteremo fermi a guardare.
In periferia si è anche più soli a raccontare. Si può essere costantemente minacciati per fare il proprio lavoro. Stampa Romana per le periferie e per il centro ha creato una squadra di legali cui affidare la nostra costituzione di parte civile. E’ un modo, un ulteriore modo per sconfiggere la solitudine dei colleghi.

La riqualificazione attiva del mercato del lavoro

Anche nel rapporto con i cdr, nel confronto quotidiano con chi lavora da solo, nell’ascolto di chi è disoccupato e non riesce a trovare una soluzione all’assenza di opportunità ci siamo chiesti come agire per dare risposte unitarie a identiche domande di assistenza.
Il jobs act in sostanza avrebbe fatto, nelle intenzioni del legislatore, la prima parte: snellire in uscita i rapporti di lavoro con l’eliminazione dell’articolo 18. Avrebbe dovuto fare anche la seconda parte: impostare un mercato del lavoro in entrata migliore riqualificando il lavoro e i lavoratori.
Naturalmente la seconda parte è ancora utopia (sulla prima ci esprimeremmo con forza come parte attiva della nostra società se la Corte Costituzionale ammetterà il relativo referendum).
Abbiamo allora deciso di usare la leva dell’aggiornamento professionale e dei crediti formativi ordinistici per fare noi la riqualificazione attiva del nostro mercato del lavoro.
Accanto ai corsi “tradizionali” siamo partiti nel 2016, e in modo massiccio nella seconda parte dell’anno, con una serie di corsi professionalizzanti. Offrono a tutti i colleghi nuovi strumenti di lavoro con cui svolgere meglio la professione.
I costi sono contenuti rispetto ad altre analoghe iniziative e i docenti sono di prim’ordine.
Queste iniziative hanno portato a riqualificare almeno 200 colleghi.
Il nove gennaio scade il bando con Erfap Uil per riqualificarne, questa volta gratuitamente, altri diciotto.
Il dato numerico si accompagna alla “felicità” con cui si animano le nostre stanze sindacali in occasione dei corsi.
E’ anche un modo, condividendo un obiettivo comune, di creare comunità, di sentirsi comunità, di sconfiggere la solitudine che altrove sembra il nemico numero uno.
Aggiorneremo i corsi, ne inventeremo altri, attenti a quanto chiede il mercato. Stampa Romana sta aprendo e percorrendo una strada fondamentale per tutto il sindacato. Ed è un patrimonio di competenze che mette a disposizione anche degli editori, se il loro mantra smettesse di essere il taglio del costo del lavoro.

Le alleanze sociali

Se dunque siamo soddisfatti per il tentativo di lavorare costantemente sulla nostra comunità e rafforzarla, non siamo così presuntuosi da pensare che bastiamo a noi stessi.
Il piccolo sindacato dei giornalisti nell’industria 4.0, nella coda della terza repubblica, da solo non regge.
O meglio regge se fa sentire il suo peso specifico con altri attori sociali.
Abbiamo allargato la rete di alleanze e lo abbiamo fatto guardando in direzioni apparentemente contraddittorie.
La coalizione 27 febbraio è una larga rete di autonomi che lotta per avere un reddito minimo, avere un regime di minimi corretto, avere una pensione dignitosa.
Siamo stati l’unica associazione regionale di stampa a sostenere il tentativo di alcuni colleghi (Binello e Vissani) ad avere un riconoscimento legislativo del cumulo gratuito delle pensioni. E i colleghi sono stati bravi e fortunati, centrando il risultato per legge. Hanno ricondotto ad unità storie professionali frammentate tra Inpgi, Inps, Enpals, Inpgi 2 ecc. ecc.
Abbiamo sottoscritto con Cna una convenzione per poter gratuitamente aiutare i colleghi a creare società ed imprese.
Lavoriamo con Giorgio Poidomani e Virginia Alimenti per valutare la bontà di nuove iniziative editoriali ed individuare nei bandi europei forme opportune di finanziamento.
Abbiamo chiuso con la Sapienza un accordo quadro per mettere a fattore comune le rispettive competenze e trovare nella formazione e nella operosità degli atenei strade per il futuro.
Abbiamo lavorato con i sindacati “maggiori” per la formazione e lo faremo ogni qual volta possiamo far fronte comune.
Di “splendidi isolamenti” il sindacato dei giornalisti può solo morire.

La crisi di Stampa Romana

Proprio perchè vogliamo resistere e crediamo di meritare con i fatti la fiducia dei colleghi abbiamo affrontato anche i problemi di gestione e di bilancio interni con la stessa determinazione.
Il bilancio del 2016 potrebbe essere molto migliore delle previsioni di tre mesi fa. E’ stato uno sforzo complessivo dovuto anche alla felice disponibilità di attori di sistema e alla energia con cui abbiamo lavorato sul fronte dei costi, della formazione, di alcune poste straordinarie di incasso.
Non possiamo dire di aver superato la nottata – il 2017 inizia con una serie di incognite all’interno di un sistema complessivo dei finanziamenti legato ad enti di categoria che a loro volta soffrono – ma le correzioni di rotta ci danno una sufficiente linea di galleggiamento anche se occorre essere tutti consapevoli della possibilità, senza la sicurezza di reperire risorse adeguate e non occasionali già nel primo semestre del 2017, di doverci misurare con l’esigenza di dove lasciare la nostra sede storica di piazza della Torretta. Un prezzo da pagare per consentire di sviluppare appieno l’attività sindacale e al tempo stesso tutelare i colleghi che a Stampa romana lavorano.
Le correzioni di rotta non possono prescindere da un dato che ha attraversato i giorni della crisi e deve diventare patrimonio dei colleghi che lavorano per Stampa Romana al servizio dei 3500 iscritti: il collante deve essere il rispetto rigoroso delle leggi dello Stato e dei contratti di lavoro.
Le altre sono solo scorciatoie che appagano momentaneamente alcuni ma fanno male a tutti, minando la credibilità e il futuro di una piccola istituzione che ha attraversato 140 anni di storia.
Applicare le leggi dello Stato e i contratti di lavoro al nostro interno è l’unico modo per risultare credibili e affidabili quando abbiamo a che fare con controparti e interlocutori istituzionali di vario tipo.
E’ inutile negare le tensioni che hanno attraversato anche i nostri organi politici: dalla segreteria al direttivo. Al direttivo abbiamo offerto la disponibilità per una grande assemblea pubblica degli iscritti.
Gli organi politici di Stampa Romana hanno immediatamente un modo per recuperare un senso alto delle loro funzioni (e il segretario personalmente ringrazia tutti: chi ha lavorato con noi, chi ha lasciato il direttivo per altri incarichi, chi si è dimesso conservando la sua dignità professionale, chi ci ha anche criticato, purchè la critica non diventi offesa personale, chi è subentrato nel direttivo o sta subentrando come i colleghi Buffa e Carlini). La riforma statutaria della Fnsi passa dal contributo dei direttivi delle associazioni regionali. Sarà questo un terreno comune in cui tutti possiamo fare valere buone ragioni per ribadire il peso specifico della seconda associazione regionale di stampa nel nostro paese.

Le iscrizioni

Martelleremo sul tema, premieremo gli iscritti con dei bonus formativi per i nostri corsi ma resta questo il punto centrale.
Stampa Romana negli ultimi venti anni è passata da 6mila a 3500 iscritti. L’emorragia è finita ma non possiamo accontentarci.
Crediamo di avere le carte in regola per meritare la fiducia dei colleghi. Una fiducia basata su vicinanze sulla combinazione di pensiero a corto e lungo raggio e azione pratica, per il sostegno continuo alle vertenze e alle vicende individuali dei colleghi, per una pratica di ascolto continua e incessante.
Il mio vuole essere un invito a tutti coloro che si sono cancellati a darci un’altra possibilità, a chi si è iscritto a rinnovare la fiducia, a chi è dubbioso a vederci all’opera nelle cose che facciamo per le quali non ci vuole l’iscrizione al sindacato (vedi le macroaree, vedi un sito rinnovato che è diventato un punto di riferimento per tutti noi) e poi decidere di conseguenza, a chi risiede in un’altra regione a spostare la residenza ordinistica e sindacale qui a Roma, a pensare che un pezzo della propria identità professionale passa dall’iscrizione a un sindacato robusto e forte come Stampa Romana.

Buon 2017 a tutti!

Lazzaro Pappagallo
Segretario Associazione Stampa Romana

Il network