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Stampa Romana: il bilancio degli anni di governo e le prospettive per il futuro

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Cari colleghi e care colleghe,

tra un paio di mesi sarete chiamati a rieleggere il gruppo dirigente di Stampa Romana e i delegati per il congresso nazionale della FNSI.

È tempo di definire per la segreteria di Stampa Romana, composta in chi si riconosce nel gruppo sindacale di Informazione@Futuro, un bilancio per temi della azione condotta nei quattro anni di governo, utile anche in vista del prossimo quadriennio, qualsiasi sia il risultato elettorale.

Il nostro racconto si svilupperà nelle prossime settimane su aree tematiche, professionali, industriali ed è il frutto di un ascolto costante di tutte le componenti della nostra categoria, dai comitati di redazione ai freelance, alle associazioni che raggruppano giornalisti.

È necessario prima indicare la cornice nella quale ci siamo mossi.

Sono stati anni caratterizzati da un fortissimo cambiamento tecnologico e comunicativo, in cui non hanno conosciuto sosta l’erosione e l’espulsione dei colleghi dai rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Il ricambio generazionale è stato un pallido ricordo con conseguenze evidenti sulla tenuta di tutti gli enti di categoria, sindacato incluso.

Di fronte a questo quadro generale il nostro impegno è stato quello di non sottrarci alla sfida, di non rimpiangere i bei tempi che furono, i tempi delle vacche grasse, ma di accettare il nuovo terreno di gioco con incognite, rischi ed opportunità e su questi misurare la capacità del sindacato di innovare e di innovarsi.

Il tutto all’interno di due assi cartesiani molto precisi e irrinunciabili: l’autonomia della categoria e la libertà dei colleghi.

L’autonomia integrale, rigorosa della categoria è un presupposto essenziale per una stampa democratica. Stampa Romana l’ha declinata in un duplice modo di operare. Innanzitutto una valutazione attenta di tutti i provvedimenti che dall’esterno, soprattutto da Governo e Parlamento, sono stati applicati al nostro mondo. Una valutazione effettuata di volta in volta senza sconti e senza sponde con Governi amici o nemici. In questo senso abbiamo sottolineato alcune cose positive come il riordino della 416 e la centralità sia della distribuzione di risorse pubbliche al settore per garantirne il pluralismo sia della divisione di queste risorse, legandole finalmente ad una occupazione giornalistica riconosciuta dai contratti di lavoro. Abbiamo rimarcato anche quelle negative: la vicenda dei bandi per le agenzie di stampa che consideriamo un errore strategico, un macigno che pesa ancora su un settore vitale per la qualità, la distribuzione e la diffusione delle notizie.

È un atteggiamento che non è cambiato con un Governo e un Parlamento di segno diverso. Non accettiamo nel modo più assoluto che venga azzerato il fondo per l’editoria, un passaggio che rifiutiamo perché così lo Stato abdica ad una funzione di regia del sistema e al dettato costituzionale che vuol garantire la libertà di stampa, di tutta la stampa e non solo di chi ha i mezzi economici per sostenerla. E non accettiamo ridimensionamenti alla libertà di impresa sia che si intervenga sulla pubblicità dei grandi gruppi statali, sia che si evochi la chiusura di grandi giornali come Espresso e la Repubblica.

Ciò detto non possiamo arroccarci, dobbiamo riconoscere che il nostro mondo è già cambiato. Il processo di autoriforma dell’Ordine dei Giornalisti indica una strada possibile con le nuove regole di accesso alla professione, la fine dell’esclusività, una più marcata corrispondenza con la realtà di un mondo del lavoro in continua mutazione.

L’autonomia della categoria si difende con percorsi chiari di riforma. È sotto gli occhi di tutti la sofferenza del nostro mondo. I dati di bilancio Inpgi non hanno bisogno di commenti. Istituzioni dai piedi di argilla sono più facilmente attaccabili. Anche Casagit, se non cambia forma giuridica, rischia di prosciugare il patrimonio nel 2026. Se vogliamo salvare alcuni beni preziosi per la nostra comunità abbiamo bisogno di coraggio e di lungimiranza nelle scelte, di politiche di riconoscimento di un mondo che cambia. Bisogna includere professioni digitali, avvicinare il mondo dei comunicatori, insomma tutti quei mondi affini che condividono con noi frammenti importanti di dna ai quali possiamo offrire riconoscimento e stabilità professionale. Da tre anni chiediamo questa capacità di cambiare all’istituto di via Nizza. È tempo che si metta mano e si riformi la legge istitutiva dell’Inpgi.

L’autonomia, tuttavia, come valore in sé non ha senso se non è legata alla libertà di chi esercita la professione all’interno della cornice, del quadro, dei valori della Costituzione. Attendiamo da troppo tempo un segnale chiaro e inequivocabile dalla politica di riconoscerne il valore, affrontando i temi della diffamazione come reato penale e delle querele temerarie. Eliminare l’una e prevedere una fortissima caparra per chi intenta azioni temerarie ridarebbe speranza e prospettive di libertà a tutti. Specie ai colleghi che si trovano ai margini, che non vivono nelle redazioni, che non sono contrattualizzati, che non hanno copertura legale, che rischiano ogni giorno e di fronte a querele esorbitanti semplicemente rinunciano alla professione.

È un impegno necessario per dare stabilità al sistema ma che per noi giornalisti non è una strada di sola andata. Non chiediamo libertà per essere irresponsabili. Chiediamo libertà, al contrario, per esercitare la nostra responsabilità, per raccontare questo Paese ai cittadini, per non essere più i sacerdoti di una casta o gli officiatori di un rito, ma per spiegare quanto accade, per non trascurare i malesseri di chi vive, soffre, lavora e non lavora in questo Paese, per raccontare senza sconti o alibi i nodi scorsoi dei poteri di ogni tipo, per esercitare il ruolo di controllori dell’azione pubblica.

Insomma non c’è democrazia senza giornalismo e non c’è giornalismo autentico senza democrazia.

Se questi sono gli assi della nostra azione resta da affrontare il terreno di gioco. E il terreno di gioco sono le questioni industriali e professionali.

Il sindacato dei giornalisti, e più in generale ogni sindacato ha senso all’interno di relazioni industriali.

Analizzeremo queste ragioni, una a una. Con la serietà, la verità e il rigore che ci caratterizza, a partire da quanto abbiamo costruito e realizzato in questi anni.

Segreteria Associazione Stampa Romana

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