Di fronte agli scenari in ritirata dell’editoria tradizionale, con le sue eccezioni molto visibili (vedi i conti del Corriere della Sera in netto miglioramento), il settore radiotelevisivo non ha conosciuto crisi. Il ruolo anticiclico della pubblicità televisiva e radiofonica ha fatto sì che anche gli anni peggiori non abbiano determinato crolli nella raccolta pubblicitaria e nelle risorse delle aziende.
Anche da qui, proprio per la ricchezza del settore, abbiamo contrastato con tutti gli strumenti a nostra disposizione le scelte di Sky e Mediaset. Scelte identiche nella vocazione a lasciare il territorio in cui erano nate le testate e nel trasferire gran parte della produzione e dei lavoratori a Milano.
Su Sky e sul comportamento inaccettabile dell’azienda prima, durante e dopo la chiusura dell’accordo con le rappresentanze sindacali dei giornalisti, non abbiamo bisogno di tornarci sopra. Certamente, e lo ribadiamo anche in questo caso, fa specie che si licenzi avendo scoperti e liberi dodici posti da redattori in tutta Italia, con un’azienda la cui responsabilità sociale si limita a contare gli utili che produce. Certamente noi continueremo a lavorare con i colleghi del presidio romano, convinti che quello che accade altrove possa insegnare qualcosa ai vertici di Sky.
Quel che accade altrove è quello che si sta facendo a Mediaset, La7 e TV2000.
Scherzando con i colleghi di Mediaset dicevamo che l’arrivo di una nuova stagione di produzioni su Rete4 è in fondo anche merito dell’azione decisa e unanime di tutti i comitati di redazione, di tutti i giornalisti del gruppo che ha sede al Palatino e di Stampa Romana.
Lo sciopero, unitario e compatto, con la Slc Cgil, il primo solitario nella storia del gruppo guidato da Silvio Berlusconi, ha prodotto una inversione di rotta da parte dei dirigenti del gruppo nell’approccio su Roma.
La stagione che si è appena aperta ha portato a un riempimento di tutti gli spazi produttivi. Segno che quello che dicevamo era vero, che una storia di ascolti e successi editoriali, in larga misura scritta a Roma, doveva e poteva essere rafforzata.
Il nuovo prime time di Rete4, al netto dei riscontri sugli ascolti, ci dice un’altra cosa. Non è un tabù pensare che le reti generaliste possano avere un canale tutto dedicato all’informazione. Insomma l’informazione non può essere svolta solo da grandi reti rullo con ascolti molto bassi.
In questo a fare da apripista è stata La7 di Cairo.
Bisogna dar atto ai dirigenti della rete e ai colleghi di aver creduto in questo progetto, i cui risultati di ascolto, soprattutto post elettorali, hanno convinto Mediaset a cambiare la linea editoriale. E Cairo non ha mai avuto intenzione di spostarsi da Roma con le sue produzioni.
Va tutto bene allora?
È una domanda retorica se si parla con i colleghi che lavorano nei tanti programmi di approfondimento. Lì le formule contrattuali sono molto diverse da gruppo a gruppo e la sfida che ci attende è aprire tavoli di ricomposizione del corpo giornalistico.
In uno scenario economicamente stabile, se non florido, il sindacato unitario dovrebbe stimolare le aziende ad affrontare le questioni aperte. Anche per evitare il rischio opposto: quello di appalti esterni di produzioni giornalistiche i cui rischi anche nella responsabilità e nella fattura editoriale del prodotto tutti conosciamo.
Lo stesso quadro economicamente stabile si riscontra per le grandi radio. Con un paradosso in questo caso. I processi di concentrazione in capo a Mediaset hanno fatto calare l’occupazione stabile per il ruolo che gioca l’agenzia interna nel confezionamento dei notiziari.
Anche in questo caso, come in altri esempi di grandi radio private in buona salute, il nostro compito è di assistere, puntellare le redazioni, creare le condizioni per il turn over, dare spazio ai giovani, arricchire un prodotto la cui qualità, flessibilità, digitalizzazione (la sfida del DAB) e posizionamento forte nel nostro sistema mediale è sotto gli occhi di tutti.
Segreteria Associazione Stampa Romana