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La Rai: una sfida industriale tutta da giocare

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La Rai con il suo migliaio di giornalisti a vario titolo impiegati nei centri di produzione romani, con la sua vocazione a raccontare per servizio e missione tutto il paese è certamente un presidio informativo fondamentale per la nostra comunità.

Non sono stati risolti e sciolti in questi anni né i vincoli politici che legano il vertice aziendale al vincitore di turno delle elezioni, né gli snodi industriali che rendono la presenza informativa meno efficace.

Sui vincoli politici c’è poco da dire. La legge targata Renzi ha rimesso la scelta dei vertici ancora più saldamente nelle mani della maggioranza di governo. Ha risolto sì la questione del canone, cancellandone di fatto l’evasione, ma ha rimesso sempre nelle mani del Governo la gestione del quantum con il risultato che le scelte operative sono sempre nella mani di qualcuno che non siede a Viale Mazzini e non ha compiti operativi e gestionali.

Autonomia politica, industriale e finanziaria costituirebbero le vere svolte dell’azione sulla Rai con benefici evidenti sulla capacità dei colleghi di raccontare con libertà e senza sconti il paese.

Al netto delle incompiute su questo tema resta centrale e irrisolta la questione industriale.

Con un canone tra i più bassi di Europa la Rai continua si a essere leader tra i canali generalisti ma con crepe evidenti. Radio Rai, esempio di canale all news, segna il passo, sesta tra gli ascolti delle reti nazionali. Il web non decolla, relegato come è oltre il trentesimo posto delle rilevazioni nazionali.

Anche in questo caso si può vedere il bicchiere mezzo pieno e dire che le tv vanno bene, trascinando la raccolta pubblicitaria, e i telegiornali tradizionali reggono per leadership. Si può tuttavia vedere la parte negativa: la radio continua a essere trascurata nelle valutazioni e nelle scelte aziendali, il web che è il modo per legare la Rai ai giovani, al nuovo pubblico, non esprime sull’informazione il potenziale di tutti i suoi giornalisti.

Il precedente Consiglio di Amministrazione, pur essendo composto in larga misura da colleghi, si è distinto per aver affossato il piano Verdelli. Un piano che non si è avuto modo di discutere tra i colleghi ma era chiaro nell’indicare la rotta del digital first per l’offerta editoriale.

Se la Rai vuole fare un salto da azienda radiotelevisiva a una media company non può più eludere la sfida del digitale. Se questo è l’obiettivo non ci devono essere tabù di alcun tipo, anche sindacali, nel ridisegnare le testate, nel giungere anche alla redazione unica se è il caso, se questo serve a scaricare il potenziale informativo di 2000 giornalisti su tutti i canali di distribuzione anche social, valorizzandone la presenza sul territorio (una risorsa da preservare e curare) sfruttando i colleghi nelle sedi e gli inviati, nel lavorare come un gruppo unico.

È una scelta questa che chiude spazi informativi o li apre, che guarda al futuro dell’azienda, al suo ruolo tra gli under 30? O il dibattito deve sempre e solo limitarsi alla geopolitica di direttori e vicedirettori?

E ancora. La sfida di una rete generalista tutta dedicata all’informazione che stanno giocando e vincendo i grandi player privati è una scelta industriale che si vuole giocare anche nell’azienda di servizio pubblico?

Anche in questo caso le cose sono più semplici di quello che si crede. Se si scorre la programmazione di Rai1 o di Rai3 vediamo che l’arco della giornata dal 30 al 70% della programmazione è riservato all’informazione. Ci vuole poco per far sì che si declini un grande canale generalista come IL canale di informazione della Rai. Un canale generalista forte dedicato completamente all’informazione recupererebbe il ruolo dello sport confinato al 57 oltreché da scelte industriali incomprensibili, vedi il mancato acquisto dei diritti dei mondiali di calcio, una scelta miope e “sovranista” (non c’è l’Italia nella fase finale, dunque non si comprano i diritti).

Avere un canale generalista dedicato significherebbe esaltare il lavoro dei colleghi impegnati nelle inchieste sui temi più caldi, a cominciare dalle indagini sulla grande criminalità organizzata, sulle mafie o sulle vicende estere. Oggi gli sforzi degli speciali sono tutti appannaggio di nottambuli, quando invece si potrebbe lavorare su una giusta ribalta in prima serata.

Il coraggio industriale e di prodotto deve passare anche dalla chiusura di alcune storiche questioni della Rai.

In quel 30/70% di informazione trasmessa noi consideriamo anche il giornalismo prodotto dalle reti, da colleghi iscritti anche a Stampa romana e non contrattualizzati come giornalisti. Il recepimento del contratto nazionale qualche mese fa prevedeva in questi giorni la soluzione della questione. Si può finalmente ipotizzare un percorso globale, anche se scandito nel tempo, di novazione contrattuale? Se tutto resta fermo si arriva al paradosso Piervincenzi. Di un collega di cui abbiamo lodato il coraggio per le domande scomode e l’aggressione ricevuta dagli Spada ma che, pur lavorando per un prodotto Rai, non aveva l’azienda di servizio pubblico come suo reale datore di lavoro ma una società di produzione esterna.

Inserito in un contesto industriale di grande rilancio dell’offerta informativa questa cucitura tra colleghi di testate e di reti che sono e fanno i giornalisti sembra ancora più necessaria. E non ostacola percorsi di riconoscimento di chi tre anni fa è già stato selezionato e ritenuto idoneo per concorso pubblico. Anche li la Rai può scegliere di attingere alle liste di idoneità. Un articolo dell’ultima legge di bilancio lascia intatta questa possibilità all’azienda.
Già: ma per fare che cosa? Prodotti omologati, magari digitali, con un pluralismo di facciata, su linee politiche dettate dall’alto?

E le carriere? Come si articolano, come si sviluppano, qual è il ruolo da assegnare alle competenze e all’anzianità di servizio? Il job posting va eliminato, una volta per tutte, o va potenziato rendendo tutti i passaggi assolutamente trasparenti e inattaccabili in linea con la legge e con la carta dei diritti e dei doveri del giornalista del servizio pubblico?

Anche in questo caso la ripresa della spinta sindacale può ripartire da modelli già agiti in passato.

Riprendiamoci la Rai non era solo uno slogan felice ma anche un senso innanzitutto di appartenenza interna (vedi la buona partecipazione al voto per il dipendente scelto in consiglio di amministrazione) e di inclusione della voce dei cittadini, nell’articolazione delle rappresentanze di associazioni e movimenti “di base”. Se la partita si gioca solo tra le stanze e i bottoni del potere e di lobby di vario tipo, non vedremo mai un assetto diverso della Rai.

Segreteria Associazione Stampa Romana

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