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Non c’è libertà di stampa senza dignità del lavoro e giuste paghe

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di Romano Bartoloni

Con moniti e appelli il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha sostenuto a spada tratta la causa dell’art. 21 della Costituzione sulla libertà di espressione, e la Fnsi, reagendo ad attacchi in serie anche da parte del governo, ne ha riprodotto e rilanciato una frase emblematica: “L’incondizionata libertà di stampa costituisce elemento portante e fondamentale della democrazia e non può essere oggetto di insidie volte a fiaccarne la piena autonomia e a ridurre il ruolo del giornalismo”.

Ma l’insidia delle insidie era e resta la sistematica violazione delle norme costituzionali, comunitarie, legislative e contrattuali a tutela della dignità del lavoro giornalistico, della qualità professionale, delle garanzie dell’autonomia, norme lese da inadeguate retribuzioni e calpestate da forme di precariato diffuse a stragrande maggioranza nelle redazioni dei mass media anche più autorevoli.

I valori del lavoro sono in cima ai pensieri della nostra Costituzione fin dal primo articolo.

E poi. I commi 1 e 3 dell’art. 35 codificano che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme e applicazioni. L’art. 36 promuove il diritto dei lavoratori a una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro.

In prima linea figurano anche gli indirizzi comunitari. La Carta di Strasburgo raccomanda all’art. 5 l’obbligo che ogni lavoro debba essere retribuito in modo equo. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea (Nizza 2000) sostiene all’art. 32/2 che i giovani ammessi al lavoro devono essere protetti contro lo sfruttamento economico.

Anche la Carta dei doveri del giornalista e l’allegata Carta di Firenze si appellano ai colleghi responsabili delle redazioni affinché venga posto un freno allo sfruttamento e alla precarietà, e vengano favoriti percorsi di regolarizzazione contrattuale e avviamento verso contratti a tempo indeterminato ed equi.

Pur senza soffiare sul fuoco della rivolta delle generazioni sfruttate e ricattate, il Sindacato non può restare alla finestra, o traccheggiare aspettando che arrivi un governo amico a toglierci le castagne dal fuoco, oppure che si materializzi una riforma dell’editoria che ci restituisca un mondo del lavoro professionale scomparso da un pezzo.

Oggi anche i rider, i paria dell’informazione hanno diritto a conquistarsi un posto al sole nel Sindacato, alla promozione in serie A per rafforzare tutti insieme la comune battaglia in difesa delle regole professionali, della certezza contrattuale per tutti, e non da ultimo delle tutele sindacali, sociali e giuridiche per tutti.

Altrimenti, il sempre meglio di niente, la flessibilità estremizzata, la instabilità del lavoro, eretta a sistema, continueranno a generare mostri.

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