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Dopo 13 anni e mezzo la giornalista Federica Sciarelli è stata definitivamente prosciolta

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A conclusione di un processo durato ben 13 anni e mezzo la giornalista Federica Sciarelli è stata definitivamente prosciolta con formula piena dall’accusa di aver diffamato il magistrato Giuseppe Savoca durante la trasmissione “Chi l’ha visto?” mandata in onda in tv su RaiTre il 4 luglio 2005.

Lo ha deciso la quinta sezione penale della Cassazione con sentenza n. 1952 del 16 gennaio 2019, confermando il precedente verdetto di appello che aveva scagionato la conduttrice per aver legittimamente esercitato il diritto di cronaca giudiziaria.

LA SENTENZA

 

La sentenza n. 1952 del 16 gennaio 2019 della quinta sezione penale della Suprema Corte (Presidente Carlo Zaza, relatore Enrico Scarlini) è scaricabile dal sito

SENTENZA sul ricorso proposto da:

dalla parte civile SAVOCA GIUSEPPE nato a MESSINA il 01/05/1945 nel procedimento a carico di:

SCIARELLI FEDERICA nato a ROMA il 09/10/1958, CARBONE GIOVANNI LORETO nato a POSTA FIBRENO il 20/06/1945

avverso la sentenza del 08/03/2017 della CORTE APPELLO di ROMA

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere ENRICO VITTORIO STANISLAO SCARLINI;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore OLGA MIGNOLO che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso

udito il difensore La parte civile, con l’Avv. Alberto Gullino, si riporta alle conclusioni che deposita unitamente alla nota spese

l’Avv Ugo Colonna, in difesa dell’imputato Carbone, chiede il rigetto del ricorso

l’Avv Giuseppe De Napoli, in sost. dell’Avv. Filippo Dinacci per l’imputata Sciarelli, chiede il rigetto del ricorso

RITENUTO IN FATTO

1 – Con sentenza dell’8 marzo 2017, la Corte di appello di Roma, in riforma della sentenza del locale Tribunale, assolveva Federica Sciarelli e Giovanni Loreto Carbone dal delitto di diffamazione ai medesimi contestato come consumato ai danni del magistrato Giuseppe Savoca con l’affermazione, diffusa nel corso della trasmissione televisiva “Chi l’ha visto” del 4 luglio 2005, la prima quale conduttrice il secondo come regista, che “il giudice Savoca .. conosce molto bene esecutori e mandanti del delitto Bottari “. La Corte territoriale era pervenuta al giudizio assolutorio considerando che i due imputati avevano tratto la suddetta considerazione da un provvedimento giudiziale – e precisamente da un’ordinanza di custodia cautelare nella quale si era riportata una conversazione, avvenuta fra presenti ed in un locale pubblico, e precisamente fra il magistrato Savoca, l’avvocato Arena ed il dottor Siracusano (nei confronti di Savoca e Siracusano l’ordinanza aveva disposto delle misure personali) – che, seppure risultata poi non corrispondere al vero, ben poteva giustificarla, così che gli stessi avevano, nell’occasione, esercitato il loro legittimo diritto di cronaca giudiziaria.

2 – Propone ricorso la parte civile, Giuseppe Savoca, a mezzo del suo difensore, articolando le proprie censure in due motivi.

2 – 1 – Con il primo deduce la violazione di legge ed il vizio di motivazione in quanto la Corte territoriale non aveva confutato in modo adeguato le ragioni che avevano indotto il primo giudice a pronunciare la condanna dei due imputati. Il Tribunale aveva, infatti, osservato che la notizia diffusa era andata oltre le risultanze di quelle conversazione riprodotta nell’atto giudiziario, posto che, in essa, non si era fatto cenno alcuno all’omicidio Bottari. Non corrispondeva, poi, al vero che chiunque, leggendo quel brano, avrebbe potuto comprendere come í due interlocutori si riferissero a tale fatto di sangue, dal momento che il tenore della stessa era il seguente: “Ci sono i figli di Bottari. Gli feriscono un figlio. Si sono accorti di una macchina della Polizia”.

2 – 2 – Con il secondo motivo lamenta la violazione di legge ed il difetto di motivazione in quanto gli imputati non avevano proceduto ad un accurato controllo della veridicità della notizia diffusa, così da non cogliere il fatto che, due mesi prima della trasmissione, il difensore del Savoca aveva emesso un comunicato stampa in cui avvertiva della falsità di quella trascrizione. Non era stato rispettato neppure il criterio di continenza posto che le espressioni usate avevano suggerito la connivenza del magistrato con i responsabili di quel delitto o, quantomeno, con ambienti malavitosi. Né aveva rilievo la considerazione che la reputazione della persona offesa fosse già stata intaccata dal provvedimento giudiziario emesso a suo carico.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso promosso nell’interesse di Giuseppe Savoca è infondato.

1 – La Corte territoriale ha, innanzitutto, affrontato tutte le ragioni che avevano portato il primo giudice a pronunciare la sentenza di condanna ed ha fornito un adeguato apparato argomentativo per motivarne la riforma. Del resto le questioni da esaminare erano, in buona sostanza, due. Incontestata l’offesa alla reputazione del Savoca determinata dalla diffusione della frase evidenziata nell’imputazione, restava da comprendere se gli imputati avessero esercitato legittimamente il diritto di cronaca: – riportando quanto effettivamente emergeva dall’ordinanza di custodia cautelare di cui erano venuti a conoscenza; – tenendo adeguato conto delle ulteriori emergenze promananti dal prosieguo di quel procedimento.

2 – Quanto al primo profilo – la corrispondenza fra la considerazione fatta in trasmissione ed il contenuto della conversazione intercettata – la Corte territoriale aveva rilevato come le frasi riportate nell’ordinanza custodiale come proferite dai tre commensali (il giudice Savoca, l’avvocato Arena, ed il Siracusano, definito come un imprenditore prossimo ad ambienti mafiosi) – “ma dopo chi gli ha sparato gli ha detto: ma non credete che avete sbagliato vittima .. loro sono andati ad ammazzarlo a domicilio .. onestamente visto che non c’era nessuna possibilità di scelta, loro sono andati .. ci sono i figli di Bottari. Gli feriscono un figlio. Si sono accorti di una macchina della polizia” – costituissero delle confidenze inerenti ad un fatto di sangue, in ordine al quale gli interlocutori disponevano di notizie riservate, provenienti dall’ambiente in cui questo era maturato, e che l’unico elemento che poteva consentire di individuarlo era appunto il cognome Bottari. Così che il commento fatto in trasmissione in ordine alla possibilità che quegli stessi interlocutori, e fra essi il Savoca, potessero essere a conoscenza dei nomi dei mandanti e degli esecutori di tale omicidio, non poteva considerarsi un fuor d’opera, un’affermazione non giustificata dal contenuto di tale conversazione. Ne deriva così che la pronuncia della Corte territoriale sul punto non presenta profili di manifesta illogicità quando giunge a riconoscere la causa di giustificazione del diritto di cronaca ai due imputati, sotto il profilo testé esaminato.

3 – Quanto al secondo profilo, l’intervenuto controllo dell’affidabilità della notizia riferita nel corso della trasmissione televisiva incriminata – con particolare riguardo alle successive smentite o evoluzioni procedimentali – anch’esso è stato risolto dalla Corte territoriale con una motivazione priva delle denunciate aporie logiche manifeste. Quel colloquio, afferma la difesa (non negando comunque il fatto che lo stesso era effettivamente intercorso fra il ricorrente, Savoca, e gli indicati interlocutori, l’Avv. Arena e l’imprenditore Siracusano), era stato smentito, quanto al suo contenuto (come riportato nell’ordinanza custodiale a cui avevano fatto riferimento gli odierni imputati), da un comunicato stampa diffuso dal difensore del Savoca stesso, ben prima della sua diffusione nella trasmissione del 4 luglio 2005. Senonchè, di tale smentita gli imputati avevano dato atto quando avevano affermato, sempre commentando quella intercettazione (si tratta di frasi riportate dal primo giudice al quale Corte territoriale si era riportata per illustrare in contenuti della trasmissione): “siamo andati a studiare le carte di questa inchiesta (denominata “gioco d’azzardo”, nell’ambito della quale era stata emessa l’ordinanza custodiale) tre persone vengono intercettate mentre stanno parlando ad un tavolino del bar, sono un avvocato, un giudice e un imprenditore. Stanno parlando di un omicidio e dicono che è stato fatto, questo omicidio, per strada, non a casa, perché a casa c’era il figlio .. l’omicidio è del professor Matteo Bottari, dell’università di Messina.”. Così proseguendo: “queste sono le intercettazioni, le tre persone hanno smentito, ma chi li ha intercettati ha fatto queste intercettazioni”. E, quindi, la notizia della smentita, anche di quella del Savoca, era stata correttamente fornita. Certo si trattava di una smentita che, provenendo dal difensore e dall’indagato, non poteva rivestire, nell’ottica dei due giornalisti, la medesima attendibilità di quanto affermato e riportato nell’ordinanza, ben potendosi spiegare come un, comprensibile ma soggettivo, tentativo di difesa. Così che gli odierni imputati avevano dato il necessario, anche se logicamente limitato, risalto ai dubbi prospettati dall’allora difensore del Savoca. La notizia diffusa era stata pertanto sottoposta ad un adeguato controllo e si era dato conto della versione dell’interessato. Né può confutare tale conclusione il fatto che il comunicato non attenesse alla presenza del Savoca, fra i partecipi a quel colloquio, ma al contenuto della conversazione intercettata posto che, in trasmissione, non si era precisato su quale aspetto si appuntasse la smentita degli indagati e, peraltro, neppure in questa fase, la difesa del Savoca ha chiarito in quale parte la trascrizione della conversazione, contenuta nella ricordata ordinanza di custodia cautelare, non sia corrispondente al vero.

2 – Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso, in Roma il 29 novembre 2018.

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