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PREZZO SALATO PER LE QUERELE TEMERARIE – DI ROMANO BARTOLONI

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Contro ogni previsione e nonostante il clima politico e parlamentare sfavorevole da sempre, disco verde, il 30 gennaio scorso, in commissione giustizia al Senato all’esame del ddl contro le querele temerarie e infondate il cui illecito sopruso sarà pagato a caro prezzo.

A riprova di un abuso sistematico a scopo intimidatorio sulla pelle dei cronisti, un rapporto ministeriale ne documenta l’archiviazione del 90% sulle 6.000 presentate negli ultimi 3 anni.

Per la prima volta, si intende smascherare e mettere con le spalle al muro chi spara a casaccio pretese milionarie risarcitorie, certo di non pagarne lo scotto e di restare impunito. L’obiettivo pare proprio quello di colpire con pesanti sanzioni monetarie chi verrà sbugiardato nel giudizio civile per colpa e dolo.

La norma-giro di vite prevede la condanna a pagare un indennizzo fino al 50% della somma richiesta, cioè la metà dei milioni disinvoltamente pretesi per tacitare le inchieste giornalistiche. Nato e proposto in casa del movimento 5S dal senatore giornalista Primo Di Nicola e sottoscritto, tra gli altri, anche dal collega Gianluigi Paragone, il rivoluzionario provvedimento prospetta, in un solo articolo, la modifica dell’art. 96 del Codice di procedura civile sulle liti temerarie, introducendo il principio della responsabilità equitativa nelle cause fasulle di diffamazione a mezzo stampa.

Salvo prova contraria, allo stato dei fatti con alle spalle 25 anni di riforme bruciate in Parlamento sull’altare della prevaricazione dei poteri, la misura libertaria ventilata sembra, a prima vista, più un sasso lanciato nella piccionaia della politica e destinata a scontrarsi contro consolidati pregiudizi nei dna dei potenti.

Finora è sempre stata osteggiata da veti incrociati da sinistra a destra e, regolarmente, affossata quando è arrivata alla stretta finale, con bocciatura in barba a sentenze inequivocabili della Cassazione e della Corte europea dei diritti. Apparirebbe addirittura uno specchietto per le allodole prospettare indennizzi milionari per cause infondate con richieste esorbitanti di risarcimento, quando gli indennizzi suggeriti finora dai furbetti riformisti sono stati sempre risibili (persino 1.000 euro) per non depotenziare la forza del ricatto intimidatorio sui giornalisti. Se stavolta si faccia sul serio, saranno le prossime mosse della scacchiera in Senato a rivelarlo.

I lavori della commissione giustizia del Senato, presieduti da leghista Andrea Ostellari, sono stati introdotti dalla relazione del cinquestelle Arnaldo Lomuti, il quale è persuaso che ora si possa dire “basta a rivalse infondate e intimidatorie contro la stampa”, a difesa dell’ “irrinunciabile prezioso lavoro del cronista”.

Nelle more della attività dei commissari, si è deciso di promuovere una serie di audizioni con il mondo dell’informazione.
Protagonisti fin dagli anni ’90 di una rivendicazione libertaria con dettagliate proposte congressuali anche alle assise della Fnsi, oggi patrimonio di tutte le organizzazioni rappresentative della categoria, l’Unione nazionale cronisti italiani assieme al Sindacato cronisti romani ne ha realizzato un dossier con il quale si documenta come governi e forze politiche abbiano alimentato nel tempo illusioni con provvedimenti che si sono persi lungo la strada perché quasi sempre taroccati per gettare fumo negli occhi.

Fra giorni, al congresso della Federazione della stampa a Levico Terme in Trentino, si offre l’occasione per riprendere e rilanciare gli appelli dei cronisti contro minacce e intimidazioni, e contro ogni forma di bavaglio al riparo di vecchie leggi di stampo fascista. I cronisti sono pronti a far sentire le proprie sacrosante ragioni nella sede parlamentare della commissione giustizia del Senato

 

di Romano Bartoloni 

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