Ventisette anni fa c’ero. A Capaci fui inviata per Samarcanda e arrivai la stessa sera, l’attentato avvenne alle 17,56.
La scena è di quelle che lasciano una firma mostruosa: 500 chili di esplosivo per disintegrare i nemici di Cosa Nostra. Non tutti i magistrati o tutti i rappresentanti dello Stato sono nemici di Cosa Nostra, ma solo quelli che hanno inferto duri e implacabili colpi alla mafia come Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Quelli che insomma sono andati oltre l’indagine ordinaria, si, proprio quelli che si sono accaniti contro i boss di Cosa Nostra scavando e cercando i collegamenti con quella politica sporca, con l’imprenditoria marcia. La prima auto di scorta non c’è più, scavalco il guardrail e cammino per centinaia di metri, sotto i miei occhi e quelli della telecamera solo brandelli indescrivibili. Gli agenti Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro non sono più. Mi sposto verso l’auto dove viaggiavano Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, con l’autista giudiziario Giuseppe Costanza, sopravvissuto. Accanto, le scarpe di Francesca Morvillo, sono lì, adagiate sull’asfalto sventrato.
L’auto di Falcone è rannicchiata su sé stessa, mutilata. Dietro, l’auto della scorta che chiudeva il corteo: gli agenti sopravvissuti Paolo Capuzza, Angelo Corbo, Gaspare Cervello. Chi racconterà mai l’umanità degli abitanti vicini accorsi per primi?
La donna che consolò Francesca Morvillo, che l’abbracciò, che la implorò di resistere, di attendere i soccorsi, di non mollare, lei con quei grandi occhi pieni d’amore per Giovanni e pieni dell’orrore vissuto… Francesca era cosciente.
Corro lì dove erano stati ricoverati gli agenti sopravvissuti. I dimenticati: si perché salirono sull’ambulanza con i loro stessi piedi, fermandola nel caos dei soccorsi. In ospedale non furono piantonati ma lasciati nei corridoi come ho potuto documentare con la telecamera. Con loro le famiglie e i colleghi accorsi. Intervisto Gaspare Cervello con la maglia macchiata di sangue, col labbro spaccato, in un corridoio con i cateteri buttati per terra. E’ Paolo Borsellino l’unico che fa visita agli agenti dimenticati della scorta sopravvissuta, è lui che va ad abbracciare i ragazzi sotto choc in ospedale.
I tre sopravvissuti raccontano gli ultimi attimi: il boato, il calore, sollevati e poi coperti dall’asfalto in briciole ..Il caposcorta che risorge dalla terra col piccolo mitra in mano che urla: ”GIOVANNIIII”
Lui che va da Francesca Morvillo ancora viva e lei che gli dice:” NON PENSATE PER ME, AIUTATE GIOVANNI!”. Ma Giovanni ha uno sguardo spento, assente. Lo Stato con i piccoli mitra e una Cosa Nostra con centinaia di chili di esplosivo: una metafora che si ripete in tutte le stragi di mafia, in tutti, nei troppi omicidi. I servitori dello Stato con i sandali lasciati alle scarpe chiodate dei nemici. Non c’erano elicotteri quel giorno ad accompagnare il corteo né auto bonifica.
” Fu solo mafia ? “, ripetè in aula Oscar Luigi Scalfaro eletto subito Presidente in un’Italia sotto choc per l’inchiesta Mani Pulite e i continui avvisi di garanzia per corruzione inviati a molti politici. Ancora oggi non sappiamo se fu solo mafia: i processi sulle stragi anche su via D’Amelio sono pieni di interrogativi sulla presenza di elementi esterni a Cosa Nostra. E le indagini sulle stragi mafiose oggi puntano sui mandanti esterni. E’ Nino Di Matteo il PM della Trattativa Stato-Mafia a sollevare i punti di domanda sui misteri della strage di Capaci. Domande che Di Matteo ripete come un karma. Un dovere riflettere.
Chi sono le ‘menti raffinatissime’ delle quali parla Giovanni Falcone all’indomani del fallito attentato all’Addaura, dove abitava Falcone il 21 giugno 1989? Perché i mafiosi che erano già partiti in squadra per Roma per assassinare Falcone nel 1991, poi non portarono a compimento l’omicidio, senz’ altro più facilmente?
Perché Riina richiamò quel giorno la squadra di morte per dire che aveva cambiato idea e voleva un gesto eclatante? Perché qualcuno ha fatto sparire i file del computer di Falcone dopo la sua morte? Perché il radiocomando dell’attentato fu consegnato a Brusca e non a Pietro Rampulla mafioso ed esponente storico della destra eversiva – era lui il designato-, che improvvisamente invece rimase a casa sua quel giorno?
Perché fu trovato un foglietto con numeri di telefoni legati ai servizi segreti di Palermo sul cratere della strage di Capaci? Il mistero della morte del mafioso Gioè -uno degli uomini chiave della strage-: si suicidò veramente? Perché in tempi così stretti in fretta e furia fu preparata la seconda strage per uccidere Borsellino? Perché è scomparsa l’agenda rossa di Borsellino? Chi sono le ‘persone importanti’ che incontrava Riina e delle quali riferisce il pentito Cancemi? Perché Falcone portava con sé a Roma-pur avendo cambiato ruolo- gli appunti su Gladio sulla quale aveva raccolto dichiarazioni in passato come inquirente?
Dice il sostituto procuratore nazionale antimafia Nino Di Matteo che occorre fare oggi il massimo sforzo nell’accertamento dei mandanti delle stragi di mafia per non tradire la memoria di Falcone: dobbiamo pretendere tutti la verità.
Quella sera del 23 maggio 1992 Giovanni Falcone emette l’ultimo respiro mentre l’amico e il collega Paolo Borsellino lo tiene tra le sue braccia nella stanza d’ospedale. Paolo dirà che una parte di lui è morta lì in quell’istante con Giovanni.
Un Paese che non accerta tutta la verità sulle stragi di mafia, non può essere un Paese del tutto libero e democratico.
Maria Grazia Mazzola, inviata speciale del tg1