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Prezzi lunari: in fumo 20 milioni di euro solo per 121 alloggi – L’assemblea del Siai ha scelto il nuovo Direttivo

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Roma, 28 giugno – Il nuovo Consiglio direttivo del Siai è composto da Corrado Giustiniani, Alberto Morosetti e Anna Tarquini, nominati dall’Associazione Stampa Romana, e da Cinzia Caldarelli, Edgardo Fiorini, Claudio Mantovani e Gianfranco Nitti, eletti ieri sera dall’assemblea straordinaria del Siai, svoltasi a Roma al Don Orione.

Nella sua relazione, approvata dai soci, il presidente Corrado Giustiniani ha affrontato il tema del deludente andamento delle vendite, con almeno venti milioni di euro andati in fumo nella sola area attorno a via Cortina d’Ampezzo, per un’esagerata e artificiosa quotazione degli immobili. Il sindacato è poi deciso a respingere la richiesta Inpgi-Investire di aumentare gli affitti dei contratti scaduti nella zona Nord di Roma.

A fine relazione, lungo applauso per la segretaria generale Gabriella Leonzi, che dopo molti anni lascia il sindacato. Nel dibattito che è seguito, è giunta la denuncia di vari inquilini: dal problema fognario di via dei Giornalisti agli affitti troppo elevati di via della Mendola, dal nodo della scarsa manutenzione degli immobili, fino ai super-conguagli ricevuti da alcuni. Ma ecco la relazione di Corrado Giustiniani, con la raccomandazione, se si vuole contattare il Siai, di scrivere a info@siainquilini.it.

Relazione del presidente Siai all’assemblea del 27 giugno

Cari soci del Siai, cari inquilini delle case Inpgi

in questa assemblea straordinaria verrà rinnovato il direttivo del Siai. Dei sette membri che lo comporranno, tre sono stati designati, come da statuto, dall’Associazione stampa romana, ovvero Anna Tarquini, Alberto Morosetti e il sottoscritto. E quattro li state votando voi oggi.

Il Direttivo attuale è scaduto a dicembre ma è stato prorogato, con voto assembleare, per due ragioni: primo, poter assistere nel modo migliore gli inquilini investiti dall’imprevista quinta tranche di vendite decisa nell’ottobre scorso, e questo sia che abbiano scelto di comprare (fra i doveri del sindacato, in questi tre anni, c’è stato quello di accompagnarli all’impegnativa decisione), sia che abbiano scelto invece di restare in affitto.

La seconda ragione della proroga tecnica da voi accordata al nostro mandato, è la dura vertenza ingaggiata con l’Inpgi, che vuole rincarare gli affitti negli immobili esclusi dalle vendite, e su questo ascolteremo più tardi il vostro parere.

Ma l’articolo 1 dello statuto del Siai, ancor prima di parlare di tutela da assicurare agli inquilini soci, giornalisti o no che siano, alla prima riga recita testualmente: “Il Siai, con la sua costituzione, intende tutelare il patrimonio immobiliare dell’Istituto, fonte di reddito pensionistico di tutti i giornalisti italiani”.

A maggio del 2016, il Consiglio di amministrazione dell’Inpgi ha deciso di dismettere in quattro tranche (a cui poi s’è aggiunta quest’altra a sorpresa, nello scorso autunno) i tre quarti di tale patrimonio immobiliare, per gravi problemi di liquidità e per il forte passivo di bilancio lievitato nel tempo e che nel 2018 ha sfiorato i 150 milioni di euro, tanto che oggi l’Istituto è addirittura a rischio di commissariamento. Sono stati quasi 1500 gli appartamenti messi in vendita in tutta Italia mentre  circa 500 sono rimasti in palazzi destinati solo all’affitto, questi ultimi tutti a Roma. Il sindacato ha accettato la sfida della dismissione, avvisando subito, però che, proprio a tutela delle pensioni degli iscritti, le vendite avrebbero avuto successo solo se la stima dell’appartamento avesse ricalcato i reali valori di mercato, e che l’indice più affidabile in questo senso, come riconoscono tutti gli operatori del settore, è quello Omi agenzia delle Entrate. Ai valori medi zona per zona registrati dall’Omi, secondo il Siai e il Sunia, il sindacato professionale nazionale con il quale siamo in convenzione, e secondo le altre organizzazioni degli inquilini, si sarebbe applicato poi lo sconto che sempre si pratica per gli immobili affittati.

Proponevamo il 30 per cento, ovvero quello  che viene usualmente adottato, ma ci andava bene anche il 25. Muovendo però, lo ripeto, dai valori di mercato.

Non ci hanno dato ascolto. Hanno mischiato ai valori medi Omi quelli di un altro osservatorio, chiamato Scenari Immobiliari, ed è venuto fuori un calcolo alquanto artificioso, che serviva, in realtà, a parametrare le vendite, talvolta fedelmente talaltra meno, ai valori con cui gli immobili dell’Inpgi sono stati apportati al suo Fondo immobiliare. Valori evidentemente ben superiori a quelli di mercato. Le trattative sui prezzi si sono rotte, ma abbiamo ottenuto contratti di otto anni per ben 450 famiglie che non volevano o non potevano comprare.

Il bilancio provvisorio delle vendite lo ha tracciato il 18 giugno scorso la presidente dell’Inpgi Marina Macelloni, nella nota scritta che accompagnava la sua relazione davanti alla Commissione parlamentare di vigilanza sugli Enti previdenziali. Erano previsti 650 milioni di euro di incassi, e a fine 2018 ne sono arrivati meno di un terzo, 202 mila, comprensivi di alcune cessioni di immobili a uso terziario. La vendita funziona se gli inquilini comprano, cedere sul mercato libero la parte residua è ben più difficile se il prezzo di partenza a libero non rispetta i valori di mercato.

A Roma Nord è stato un disastro. Nella zona attorno a via Cortina d’Ampezzo sono stati messi in vendita 121 alloggi: a comprarli sono stati appena in 15 e qualcuno persino in usufrutto. Secondo una stima prudenziale del Siai si sono così buttati al vento più di 20 milioni di euro, in quest’area: quelli che sarebbero stati incassati se il prezzo di partenza degli alloggi fosse stato suggerito dai valori Omi e dal buon senso.

E di quei 121 alloggi messi in vendita attorno a via Cortina d’Ampezzo, adesso una cinquantina sono vuoti: inaffittabili, perché gli immobili restano destinati alla vendita, e l’Inpgi rinuncia così a incassare a dir poco 50 mila euro al mese, ma anche incedibili, perché il loro prezzo è fuori mercato. Non rendono nulla e anzi creano pesanti costi di gestione per l’Inpgi. Temiamo che tutto questo non sia stato ben spiegato nell’audizione alla Commissione parlamentare.

Nell’autunno del 2015, quando si parlava già delle dismissioni (si è perso infatti un bel po’ di tempo, per passare dalle parole ai fatti)  l’allora responsabile delle vendite di Investire, la Società di gestione del Fondo immobiliare Inpgi, ci assicurò che si sarebbe fatta marcia indietro dalla vendita di un palazzo, restituendolo all’affitto, se gli inquilini acquirenti fossero stati meno del 40 per cento del totale, e questo per evidenti ragioni di convenienza economica. Perché questa regola non è stata seguita? Perché si è andati avanti con percentuali infinitamente più basse? Perché non si sono ritirati quei palazzi dalla vendita, per riproporli magari un anno dopo a prezzi di partenza più vicini al mercato?

A proposito di mercato, la presidente dell’Inpgi, nella nota presentata in Parlamento, ha rimarcato che “il perdurare della crisi del settore immobiliare ha causato una diminuzione media dei prezzi delle abitazioni usate, sull’intero territorio nazionale pari a circa l’11,63 per cento, nel periodo compreso tra inizio 2014 e fine 2018. E che a Roma “il calo è stato pari al 19,72 per cento”. Ma insistiamo: allora perché non avete seguito il mercato? La decisione di vendere è stata del maggio 2016, i prezzi della prima tranche sono stati resi noti ai primi di settembre del 2016, dunque dopo due anni e otto mesi di calo dei prezzi, secondo i dati riportati in Parlamento. Perché non se n’è tenuto conto? Le regole del Fondo impongono che ogni sei mesi un esperto indipendente valuti il patrimonio apportato. Questi esperti erano così poco esperti che non si sono accorti della riduzione dei prezzi?

Noi il prevedibile insuccesso dell’operazione lo abbiamo annunciato e denunciato subito, in due incontri con la presidente (l’ultimo nel 2017, poi non c’è stata più occasione) con ripetuti articoli sul nostro sito, in una lunga nota diffusa dall’Ansa, in due articoli del Fatto Quotidiano, l’unico giornale fino ad oggi che abbia voluto approfondire il problema, e in un Direttivo dell’Associazione stampa romana, al quale siamo stati invitati a intervenire. Le vendite hanno funzionato in quelle parti d’Italia (e anche in uno spicchio di Roma), in cui miracolosamente i valori coincidevano con quelli di mercato. Abbiamo chiesto ripetutamente di essere ascoltati dalle due commissioni Inpgi che si occupano di immobili, con tanto di lettera ai presidenti. Ma i colleghi di via Nizza non ci hanno dato retta.

C’è un rilievo, però, che non possiamo accettare: quello di aver chiesto, oltre allo sconto del 25 per cento per gli inquilini acquirenti, ottenuto prima che le trattative si rompessero, “un ulteriore sconto del 15 per cento richiesto in sede di negoziazione da sindacati e comitati inquilini”. No, gentile presidente, non abbiamo mai chiesto nulla del genere: volevamo semplicemente, e lo ripetiamo ancora, che si partisse dai reali prezzi di mercato, a tutela dello stesso patrimonio Inpgi, con la riduzione che proprio il mercato riconosce agli immobili occupati. E su questo punto le trattative si sono rotte. Non ci siamo messi poi a chiedere l’elemosina, su un prezzo artificiosamente costruito. Queste riflessioni ci spingono a scrivere, assieme al Sunia, all’inizio della prossima settimana, alla presidenza della Commissione parlamentare di vigilanza sugli enti previdenziali, per chiarire la nostra posizione.

E passo ora al secondo punto, quello dei contratti a canone concordato negli immobili che rimarranno in affitto. Di qui al 2021, ne andranno a scadere 237. Di questi, 148 sono nella zona di Roma Nord (da via dei Giornalisti a via della Mendola). Investire, nel confronto serrato tuttora in atto con il sindacato, ha proposto un aumento medio dei canoni del 5 per cento, che in pratica investirà solo gli immobili di Roma Nord, presentandocelo come una sorta di agevolazione. Agevolazione perché? Cerco di spiegarlo.

I contratti a canone concordato tengono conto dei cosiddetti “Patti territoriali”, siglati nelle più importanti città, che fissano livelli minimi e massimi degli affitti area per area, e intervengono anche sulle modalità di calcolo di superfici, livello del piano ecc. Fino al 2018 si faceva riferimento al Patto territoriale siglato a Roma nel 2004, quando in verità il mercato immobiliare era molto più sostenuto. Il nuovo Patto territoriale è stato siglato a febbraio di quest’anno fra sindacati degli inquilini e della proprietà, sotto l’egida del Comune di Roma, e ci aspettavamo che presentasse valori più bassi. Purtroppo, invece di calare sono  aumentati. Ma occorre tenere presente che quel Patto è disegnato su misura degli interessi del piccolo e piccolissimo proprietario, che ha una casa da affittare e vuole fruire delle agevolazioni fiscali previste dalla legge (riduzione del 30 per cento del canone dichiarato a fini Irpef, cedolare secca all’11 per cento): per le grandi proprietà, un allegato spiega che i Patti non sono affatto vincolanti. L’importante è che le parti stringano un accordo integrativo, con cui l’ente ha diritto a una riduzione Imu del 25 per cento sul suo patrimonio.

Alla richiesta del rincaro del 5 per cento, abbiamo risposto con un “no” secco: il momento economico continua ad essere grave e gli inquilini non si aspettano rincari ma piuttosto riduzioni del canone: né le famiglie con reddito da lavoro né quelle con redditi da pensione, che oltretutto da anni non sono aggiornati al carovita. L’affitto medio pagato dalle famiglie interessate al rincaro non è poi certo da “case popolari”: il dato fornitoci da Investire all’inizio di questo mese di giugno è infatti di 1.150 euro medie al mese. Come si fa, allora, a chiedere aumenti, per modesti che siano? Tutelare il patrimonio significa anche non indurre le famiglie ad abbandonarlo. E, soltanto per fare un esempio, a via della Mendola, in uno degli immobili più importanti rimasti in locazione, il tasso di sfittanza è del 25 per cento.

Abbiamo chiesto perciò di lasciare immutati i canoni. A quel punto Investire ci ha fatto una nuova proposta: aumento non del 5 ma del 3 per cento, oppure canoni immutati come chiede il sindacato, ma calcolati secondo criteri di superficie, livello del piano e altro, ricavati dal nuovo Patto territoriale: il che, a loro giudizio, provocherebbe aumenti più elevati e mal distribuiti.

Mentre stiamo analizzando assieme al Sunia le carte che ci hanno mandato, restiamo decisi a rispondere “no” anche questa volta. Oltretutto l’effetto di sollievo, per le casse dell’Istituto, sarebbe minimo:  7 mila 300 euro al mese di introito complessivo con il 5 per cento di aumento, e circa 4 mila 500 con il 3 per cento. Perché “sfrugugliare” per tanto poco gli inquilini, che già ogni anno pagano la “tassa” dell’aumento Istat al carovita, che ha fatto lievitare il loro canone del 20 per cento dal 2004 ad oggi? Su questo, naturalmente, sentiremo adesso il vostro parere e ribadisco che tali aumenti, secondo le carte che ci sono state presentate, riguarderanno solo le famiglie di Roma Nord. Volevo poi tranquillizzare gli inquilini che vivono invece in immobili in vendita, il cui contratto scaduto non sia stato rinnovato. Inpgi vuole aspettare la firma dell’accordo col sindacato, e poi darà corso, ci ha garantito, anche a questi rinnovi.

Mi avvio alla conclusione, e lo faccio con una notizia che certo non rende felice il Siai. La Segretaria generale Gabriella Leonzi ha deciso di lasciarci, per pressanti impegni privati. In tutti questi anni, Gabriella ha condotto un lavoro eccezionale e logorante, come solo chi fa volontariato può capire, dall’analisi e sistemazione dei dati a tavolino, all’assistenza diretta agli inquilini. Ieri sera era a un’assemblea di condominio per sostenere la causa di alcuni inquilini di riavere indietro soldi versati in più per il riscaldamento, il giorno prima si batteva a favore di una famiglia che ha chiesto in ritardo il contratto di tutela, e poi corri in macchina a portare in giro per Roma i volantini, fai fotocopie, spedisci, rispondi alle telefonate che ti arrivano tutti i giorni, tranquillizza, sostieni, e consola anche, se serve. Propongo di tributarle un più che meritato applauso.

Corrado Giustiniani

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