Cerca
Close this search box.

Cronisti romani: affossato al Senato il ddl Di Nicola sulle liti temerarie

Condividi questo articolo:

Purtroppo, sono stato facile profeta e ho vinto facile facile la scommessa del 23 dicembre scorso con il sen. Primo Di Nicola con in gioco la posta della previsione che sarebbe stato stroncato sul nascere e affossato in Senato (puntualmente accaduto in questi giorni) il suo ddl contro gli abusi delle liti temerarie, le cosiddette querele bavaglio, fasulle e infondate, opposte ai giornalisti per intimidirli con esorbitanti richieste di risarcimento pecuniario a costo zero. In pratica, il ddl, tolto e cancellato giorni fa dalla circolazione parlamentare con l’accordo generale dei capigruppo di palazzo Madama, stabiliva, con un solo articolo, e per la prima volta nella storia e nella cultura giuridica, la punizione per chi chiede soldi al solo scopo di mettere sotto scacco e minacciare i cronisti.

Nella sostanza, si imponeva un indennizzo pari al 25% (in partenza era il 50%) della somma milionaria pretesa dal querelante contro i pochi spiccioli dovuti ancora oggi nelle sconfitte in tribunale, pari quasi al 100%.
Superato a sorpresa in dicembre lo scoglio della commissione giustizia di palazzo Madama, nell’antivigilia di Natale, il disegno di legge è stato illustrato ai giornalisti dal promotore nella sede dell’Associazione Stampa Romana ad iniziativa del segretario Lazzaro Pappagallo.

Fiducioso nel successo della sua iniziativa,  addirittura calendarizzata nell’aula del Senato per il successivo 16 gennaio, il senatore, negli anni 90 del secolo scorso querelato come giornalista per un miliardo di lire, ha accettato la scommessa nonostante l’obiezione dei rischi di fronte a 25 anni di riforme abortite sulla diffamazione. In un quarto di secolo di tentativi e di legislature bruciate, i fallimenti a ripetizione hanno tradito il vizio liberticida dei potenti di mai cambiare le vecchie e marcite regole della legge sulla stampa del 1948, figlie ed eredi del passato fascista. Di Nicola si era illuso che finalmente sarebbe stata abbattuta “la malafede di queste cause intentate a costo zero dall’effetto potenzialmente micidiale, e che si vede nel loro esito, cioè quasi sempre il proscioglimento del giornalista”.


Purtroppo, il senatore è stato ingenuo e non ha fatto i conti con i suoi colleghi e con un mondo che ambisce a sbarazzarsi della mediazione  giornalistica e a stabilire rapporti diretti e personalizzati con l’opinione pubblica per via digitale e i social. La mossa dell’articolo unico non ha funzionato ed è finito nel calderone riformistico della diffamazione che sta bruciando a fuoco lento per finire ancora una volta in cenere.
Oggi come oggi, il ddl sulla diffamazione è in alto mare ed è contestato da giornalisti ed editori, da Fnsi e Fieg per una volta uniti in una battaglia comune.

Perché da una parte si toglie la minaccia del carcere ai giornalisti, peraltro uno spauracchio quasi mai usato, dall’altra  vengono inseriti una serie di lacci e laccioli che limitano con pesanti e insostenibili sanzioni pecuniarie il lavoro e le inchieste dei cronisti.

Romano Bartoloni e Pierluigi Franz, Sindacato Cronisti Romani

Immagine di default

Il network