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Il linguaggio del giornalismo al tempo del coronavirus: un’altra occasione persa

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Gentilissimo Dr. Pappagallo

Ci sentiamo in dovere di scriverle per chiarire alcune questioni relative ai modi con cui taluni media nazionali hanno rappresentato il lavoro e le figure delle ricercatrici Maria Rosaria Capobianchi, Concetta Castilletti e Francesca Colavita che hanno studiato il Coronavirus (SARS-CoV-2) presso l’Istituto Spallanzani di Roma. 

Troppo spesso si dimentica il ruolo fondamentale della comunicazione giornalistica, intesa non solo come vettore di informazioni, ma anche motore di evoluzione e progresso sociale. Per questo motivo, certe e certi che troveremo in voi supporto e collaborazione, abbiamo deciso di portare alla vostra attenzione una serie di problematiche per ribadire in che misura la scelta del linguaggio e delle immagini sia fondamentale, specie in una società in cui la parità di genere appare ancora una meta lontana.

Al raggiungimento di questa non giova l’uso (per quanto sostenuto da buona fede) di differenziare in base al sesso le modalità di descrizione degli individui, dei loro comportamenti e delle loro attività; nel caso delle ricercatrici su menzionate non è neppure pertinente al progetto di ricerca svolto né, tantomeno, al contributo apportato alla conoscenza del nuovo ceppo virale. 

Inoltre, di frequente, quando i media trattano di donne che lavorano, si sottolinea il loro ruolo familiare (moglie, single, madre…) e si tiene a precisare che sono brave quanto i colleghi uomini, se non di più; ciò è spesso accompagnato, probabilmente in maniera involontaria, da una terminologia compassionevole, paternalistica o discriminatoria.

In particolare, soprattutto in diversi articoli pubblicati nelle principali testate giornalistiche italiane a seguito dell’epidemia di 2019-nCoV, per presentare le ricercatrici si sono utilizzate espressioni quali “angeli della ricerca” o “signore”, mentre nelle interviste si è sottolineata l’importanza del loro impegno verso i figli o la disponibilità a seguire il marito nei trasferimenti. Tale suggestione, che potrebbe sembrare un complimento, in realtà rischia di trasmettere l’idea di donna che, se veramente in gamba, può ottenere dei risultati positivi al di fuori della sfera domestica, ma necessariamente dopo aver adempiuto i suoi “doveri” femminili. 

Vorremmo anche sottolineare che l’abitudine di descrivere le donne alla stregua di “angeli” tende a qualificarle come esseri fuori dal comune con una funzione protettiva (generalmente verso la famiglia e il focolare). Oltre a esser del tutto fuori luogo in un contesto professionale, tale appellativo finisce per sminuire le dirette interessate e, indirettamente, la stessa ricerca scientifica: i ricercatori e le ricercatrici non sono “angeli” sostenuti da una forte vocazione, bensì esperti e esperte che hanno alle spalle un lungo e faticoso percorso. 

Crediamo che le immagini e il linguaggio di cui abbiamo fornito alcuni esempi siano stati scelti senza malizia, verosimilmente con l’intento di encomiare le ricercatrici. Nonostante ciò, è senz’altro preoccupante il fatto che la visione discriminatoria e riduttiva della donna sia così radicata da diventare prassi condivisa, capace di spingere a evidenziare la vita privata in maniera quasi maggiore rispetto alla portata dei risultati ottenuti, come se, nonostante tutto, una donna si debba identificare sempre e comunque nelle vesti di moglie e madre. Non ci sembra corretto, infine, che in più occasioni si sia rimarcata la provenienza geografica delle studiose. Soprattutto in frangenti in cui si dovrebbe esser concentrati sulla serietà e sui frutti del lavoro, è giusto lodare le persone in virtù dei loro successi, dello studio, dell’impegno e dell’onestà, piuttosto che per il luogo di nascita, per il sostegno al partner o per la scelta di fare un passo indietro (per questioni personali, familiari, sentimentali, ecc.) rinunciando a parte dei propri progetti. 

Ci piacerebbe, insomma, che il progresso scientifico e i successi professionali in qualsiasi ambito fossero trattati con un linguaggio e con modalità all’altezza della dedizione, del prestigio e dell’importanza dei compiti svolti ogni giorno, a prescindere dal genere, dal luogo di origine o da altri fattori contingenti relativi ai soggetti coinvolti. Concludiamo questa lettera invitandovi quindi a un confronto che porti professionisti di settori diversi a lavorare insieme, per esempio collaborando nella scelta di una terminologia più appropriata, per la ricerca della realtà dei fatti.

Cordialmente, 

Carmela Iosco – Biotecnologa Insegnante e formatrice

Mirella Orsi – Freelance Science Writer 

Anna Lisa Somma – Studiosa di letteratura

Hanno inoltre firmato: 

Airicerca – Associazione

Atelier Ideas & Research – Associazione

Giulia Simonetti – Psicologa

Matteo Triossi – Università Ca´Foscari di Venezia – Universidad de Chile

Sergio Ferraris, direttore QualEnergia

Serena Todesco, studiosa e traduttrice

Associazione Donne e Scienza

Flavia Sciolette – ricercatrice assegnista e giornalista— 

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