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8 marzo: le origini della data della Giornata Internazionale della donna

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L’otto marzo,  è la Giornata Internazionale della Donna, non è la “Festa”. E’ stata istituita per accentare la necessità del pieno raggiungimento dei diritti delle donne, del superamento delle discriminazioni e violenze maschili.

E’ controversa l’origine della scelta dell’8 marzo quale ‘Giornata Internazionale della Donna’, decisa dall’Assemblea delle Nazioni Unite il 16 dicembre 1977 con la risoluzione 32/142. C’è chi la fa risalire allo sciopero delle operaie tessili di Pietrogrado del 23 febbraio 1917 (secondo il calendario giuliano adottato dalla chiesa russa e corrispondente all’8 marzo secondo il calendario gregoriano). Manifestavano “per il pane e per la pace” e a quello sciopero si fa risalire la rivoluzione di febbraio che portò poi a quella leninista d’ottobre. Quattro anni dopo, la Seconda Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste (che si tenne a Mosca il 14 giugno 1921) fissò all’8 marzo la “Giornata dell’operaia”. All’8 marzo 1914 si fa risalire l’arresto della giornalista e attivista Silvia Pankhurst, a Londra in Charing Cross. Aveva da poco fondato la East London Federation of Suffragettes e si stava dirigendo a Trafalgar Square per un comizio. La notizia fu riportata sul Times del 9 marzo 1914.

Il Italia l’8 marzo fu celebrato per la prima volta nel 1946 su iniziativa dell’UDI – Unione Donne Italiane. L’idea della mimosa come simbolo fu di Rita Montagnana, Teresa Mattei e Teresa Noce, politiche e antifasciste. Il fiore fu scelto perché fiorisce a marzo, non è costoso e si trova facilmente nelle campagne.

I più attribuiscono a questa data la ricorrenza di un incendio scoppiato nel 1908 a New York nella fabbrica Cotton a seguito del quale morirono bruciate cento operaie, perché  il proprietario, Mr. Johnson, le avrebbe rinchiuse a chiave. Quell’episodio non è mai esistito. E’ leggenda. 

E’ storia vera e documentata, invece, l’incendio scoppiato il 25 marzo 1911 a New York nel quale morirono 126 operaie della Triangle Shirtwaist Company, una fabbrica nella quale si producevano camicette con la manica a sbuffo. Un libro, Camicette bianche. Oltre l’8 marzo (Navarra editore) di Ester Rizzo, ricostruisce la storia di quell’incendio con le testimonianze dei giornali dell’epoca e quelle dei passanti che, attoniti, assistettero da Wahsingon Place alla tragedia. Tra i tanti, c’era un cronista dell’United Press, Gunn Shepherd.

Era sabato, quasi ora di chiusura. All’ottavo piano dello stabilimento, Eva Harris sentì puzza di bruciato. Seguendo il naso volse lo sguardo verso il tavolo ove si tagliavano le stoffe, vide le fiamme. Le grida di aiuto avevano molte lingue: siciliano, napoletano,  russo. Le porte erano al solito tutte chiuse a chiave: un sistema di sicurezza per evitare che, nel giorno di paga, qualcuna potesse portarsi via un rocchetto, un pezzetto di stoffa. Le operaie erano perquisite sempre, e non da donne.

Al decimo piano c’era l’amministrazione, coi  proprietari Max Blank e Isaac Harris, due russi. Salirono sul tetto, si salvarono. Dall’ottavo piano, le donne si gettarono nel vuoto: «Cadevano giù a decine, con i vestiti e i capelli in fiamme. Dissero che somigliavano alle comete».

I proprietari, Harris e Blanck furono accusati di omicidio colposo. Il processo si concluse in ventitre giorni La giuria, composta tutta da maschi, ritenne verosimile la buona fede: le porte chiuse a chiave, che tenevano le operaie in gabbia, non furono oggetto di dibattito. Assolti, i padroni incepparono poi, anni dopo, in una multa di venti dollari, per avere violato ancora le norme sulla sicurezza sul lavoro. Avevano impiantato un’altra fabbrica di camicette, in altri locali. 

Le famiglie delle vittime furono risarcite con settantacinque dollari. 

Dopo questa tragedia, il 14 ottobre 1911 si istituì la “Società Americana degli Ingegneri per la Sicurezza”. Negli anni successivi si approvarono trentasei leggi nel codice del lavoro. E la Trade Union League impose controlli.

Le vittime sono celebrate, il 25 marzo di ogni anno, con scritte fatte con gessetti. Basta una pioggerellina per cancellarle. 

Maria Tiziana Lemme

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