L’Eni ha chiesto al quotidiano Domani di versare centomila euro come risarcimento per un articolo pubblicato martedì 27 luglio. Altrimenti, scrivono gli avvocati dell’azienda, «abbiamo già ricevuto mandato di agire a tutela della nostra assistita nelle sedi giudiziarie ritenute più opportune».
La richiesta è inusuale non solo perché l’azienda chiede un risarcimento immediato «entro dieci giorni dal ricevimento della lettera». Ma anche perché precisa che questo pagamento non esaurisce le richieste di Eni che, in ogni caso, si riserva il diritto di chiedere ulteriori danni.
Per Eni l’articolo pubblicato il 27 luglio sarebbe diffamatorio poiché sottolinea che la motivazione con cui i giudici hanno assolto la società nel suo lungo e complicato processo per corruzione internazionale «riconosce la possibilità di una tangente ma punta il dito contro i pm che sarebbero stati incapaci di portare le prove piene per la condanna».
In altre parole, per la società sarebbe diffamatorio riportare o analizzare qualunque parte della sentenza che non sia la formula dell’assoluzione «perché il fatto non sussiste». Un’idea curiosa della libertà di stampa, che di sicuro non appartiene ai giornalisti e alle giornaliste del quotidiano Domani.
Ricevere questo tipo di attenzioni da parte della più potente e ricca società del paese non è facile, soprattutto per un giornale appena nato. Ma allo stesso tempo è un segnale che quel giornale sta facendo bene il suo lavoro. Se il giornalismo non scomoda ricchi e potenti non è un giornalismo libero.
Il comitato di redazione e l’assemblea dei redattori di Domani esprimono solidarietà al collega Alfredo Faieta, autore del pezzo pubblicato martedì 27, e a tutti gli altri colleghi che hanno lavorato a questo caso e a vicende simili.
il CdR