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Sarebbe giusto tutelare anche 
l’informazione 

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di Paolo Fallai

Pubblicato sul Corriere della Sera il 6 agosto 2021

Nelle scorse settimane la Corte costituzionale ha cancellato, dopo oltre 70 anni, il carcere obbligatorio per i giornalisti che diffamino; ma ha conservato — come ha scritto sul Corriere Luigi Ferrarella — la possibilità per i giudici di graduare la reclusione da 6 mesi a 3 anni, nelle diffamazioni che con qualunque mezzo (quindi operate anche su Internet e anche da non giornalisti) risultino di straordinaria gravità perché legate a messaggi d’odio razziale, istigazione alla violenza, e campagne di sistematica diffamazione volte a distruggere la reputazione del bersaglio.

La Consulta è tornata a chiedere con forza che il Parlamento si faccia carico della «necessità di un complessivo intervento in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento tra libertà di espressione giornalistica e tutela della reputazione». Se decidessero mai di occuparsi del tema, potrebbero valutare anche le crescenti, violente minacce cui l’informazione è sottoposta, quando si azzarda a toccare nervi intoccabili. 

Per avere un’idea delle intimidazioni basta scorrere i rapporti trimestrali curati dall’associazione Ossigeno per l’informazione. Se i parlamentari fossero davvero interessati al tema, si leggano una piccola proposta per istituire il reato di «ostacolo alla professione giornalistica». L’ha scritto un avvocato esperto, Andrea Di Pietro. Sindacato e Ordine dei Giornalisti, per una volta d’accordo l’hanno fatto proprio.

È un testo breve: «Chiunque, per limitare o impedire la ricerca, la raccolta, la ricezione, l’elaborazione, il controllo, la pubblicazione o la diffusione di informazioni, opinioni o idee di interesse pubblico, utilizza violenza, minaccia o frode in danno di soggetti esercenti l’attività giornalistica, è punito con la reclusione da due a sei anni». Perché un reato che per la prima volta tuteli espressamente la libertà di espressione giornalistica, nel nostro ordinamento non c’è. 

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