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Nove Italiani su Dieci Ritengono che i Media Siano Dipendenti da Politica e Aziende

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Articolo pubblicato su Datamediahub.it

Il Reuters Institute for the Study of Journalism ha reso disponibili i risultati dell’edizione 2022 del “Digital News Report”, il rapporto annuale più atteso dagli adetti ai lavori, e più completo, sullo stato dell’informazione.

Si ricorda che i risultati sono relativi alla popolazione online che fruisce delle notizie almeno una volta al mese. Vengono quindi esclusi coloro che non si informano in assoluto e coloro che non utilizzano la Rete, che per quanto riguarda il nostro Paese sono una quota assolutamente non trascurabile, come sappiamo.

La ricerca è stata condotta da YouGov utilizzando un questionario online alla fine di Gennaio / inizio Febbraio 2022, e dunque si riferiscono alla situazione in cui la guerra in Ucraina non era ancora in atto. L’undicesima edizione del report si basa sui dati di sei continenti per un totale di 46 nazioni. Poco più di 2mila gli italiani intervistati.

In forte crescita coloro che non sono interessati o evitano appositamente le news. Nel 2017 erano il 29% ora sono il 38%. In Italia si attestano al 34%. Di questi il 6% le evita poiché afferma di non capirle.

La crescita di coloro che non sono interessati o evitano intenzionalmente le news appare direttamente relazionata al calo di fiducia nell’informazione. Complessivamente meno della metà delle persone [42%] si fida. Delle 46 nazioni in 21 è in calo la fiducia, in 18 è stabile e solo in 7 è in crescita.

In Italia il calo di fiducia nei confronti dell’informazione è di 5 punti percentuali rispetto all’edizione 2021. Ora poco più di un terzo [35%] degli italiani si fida dell’informazione. Su 24 nazioni europee l’Italia è 16esima per livello di fiducia. Come avremo modo di approfondire successivamente, la fonte d’informazione nei confronti della quale gli italiani ripongono maggior fiducia è l’ANSA, per la quale abbiamo l’orgoglio di scrivere ogni settimana.

Mancanza di fiducia che è direttamente relazionata, come anticipavamo nel titolo della nostra sintesi del report, dal ritenere molto condizionati i media.

Per quanto riguarda il nostro Paese, l’87% degli italiani ritiene che i non media siano liberi da condizionamenti dalla politica. Su 46 nazioni peggio di noi fa solamente la Grecia che ha il 7% di individui che ritengono i media liberi da influenze della politica. Pesante anche il condizionamento delle aziende. E secondo l’85% degli italiani le imprese condizionano i media.

Non a caso dall’edizione 2021 del report emergeva come il 47% degli italiani affermava di non  essere interessato alla sopravvivenza economica, o meno, dei publisher. E il 42% era contrario ai finanziamenti pubblici all’editoria.

Forte criticità anche nei confronti dei giornalisti. La metà, o più, degli intervistati afferma che i giornalisti dovrebbero limitarsi a condividere notizie sui social e non esprimere le proprie opinioni personali su società e politica.

Dati drammatici che testimoniano la distanza tra le fonti d’informazione e le persone. E che naturalmente minano pesantemente le possibilità dei publisher di quotidiani che vedono la readership calare anno dopo anno.

Con un tale quadro di sfiducia nei confronti dei media e di accesa critica per le fonti d’informazione e i giornalisti naturalmente la disponibilità a pagare per le news online è estremamente circoscritta.

In 20 nazioni, tra le quali l’Italia, meno di un quinto delle persone [17%] dice di aver pagato in qualche forma per le news online. Di queste su 17 nazioni europee il nostro Paese si colloca terzultima per numero di persone che pagano l’informazione online/digitale. È il 12% degli italiani. L’anno scorso era il 13. E infatti, stando agli ultimi dati resi disponibili da Accertamenti Diffusione Stampa [ADS] sono solamente cinque i giornali che vendono più di 5mila copie digitali nel giorno medio, e il trend per molte testate è in calo.

Il mercato è ulteriormente ristretto poiché, se si esclude l’Australia e gli USA, in tutte le nazioni, Italia compresa naturalmente, le persone sono disponibili solo ad un abbonamento alla versione digitale/online di un quotidiano.

Se è scarsa, o scarsissima, la disponibilità a pagare il panorama migliora leggermente per quanto riguarda la disponibilità a cedere una parte dei propri dati personali agli editori di quotidiani.

Complessivamente il 28% dei rispondenti si è registrata ad almeno un sito di news nell’ultimo anno. In Europa al top il Portogallo, che non  ha caso risulta essere una delle nazioni europee in cui le persone hanno maggior fiducia nell’informazione.

Gli italiani che si sono registrati ad un sito di news, e dunque hanno ceduto una parte dei loro dati personali, sono il 24%. 4 punti percentuali al di sotto della media generale delle 22 nazioni per le quali esiste questo tipo di dato nel report, e ancora una volta nelle ultime posizioni in Europa.

Si tratta comunque di esattamente il doppio di coloro che dichiarano di pagare per l’informazione online. È dunque una forma di monetizzare interessante, da non trascurare.

Negli ultimi anni si è assistito al grande ritorno delle newsletter. E naturalmente anche gli editori di quotidiani ne propongono diverse, nella maggior parte dei casi gratuitamente o come complemento all’offerta ai propri abbonati alla digital edition del giornale.

Il fenomeno in realtà, stando a quanto emergente dal report, appare circoscritto. In  generale meno di un quinto [17%] delle persone afferma di avere accesso all’informazione via mail.

In Europa la quota maggiore di questi sono gli austriaci al 24%. Gli italiani, al di sotto della media generale, si attestano al 15%. A proposito della cessione di dati in alternativa ad un esborso economico, che come abbiamo visto ha un livello di propensione maggiore, le newsletter offrono la possibilità di ottenere un rapporto più diretto con il proprio pubblico e di avere altri dati. Si tratta, secondo noi, di un’area sulla quale è opportuno elaborare una strategia e “spingere” al riguardo.

Continua a calare l’accesso diretto ai siti di news. Complessivamente, nel 2018 erano il 32% coloro che dichiaravano di accedere direttamente. Nel 2022 sono il 23%. Le notizie sono dunque sempre più “unbranded”, indifferenziate. Certamente un altro fattore negativo per quanto riguarda la possibilità di monetizzare i contenuti editoriali online.

Per contro cresce invece la quota di coloro che accedono all’informazione attraverso i social. Questi erano il 23% nel 2018. Ora sono il 28% del totale.

Resta Facebook il social con la maggior quota di individui che lo utilizza, anche, per fruire dell’informazione. Ma questi sono in calo. Erano il 36% nel 2014. Sono il 30% nel 2022. Non a caso è notizia proprio di questi giorni di un cambio di priorità da parte di Meta che potrebbe portare ad una riduzione dei compensi milionari che Facebook riconosce ai principali editori di quotidiani.

Per contro è forte l’incremento nell’utilizzo di Instagram per la fruizione di notizie. In forte crescita anche WhatsApp, per restare ai prodotti della famiglia Meta. Paradossalmente è invece relativamente modesta la crescita di Twitter, il newswire per eccellenza.

In Italia invece domina assolutamente Facebook con il 45% dei rispondenti che afferma di utilizzarlo, anche, per la fruizione di notizie. Una quota che deve far riflettere sulle strategie di presenza dai parte dei newsbrand del nostro Paese, che presentano spesso ampi spazi di miglioramento, diciamo, nella loro relazione con il pubblico sul social più popolato d’Italia.

Consistente anche l’utilizzo di WhatsApp, Instagram e YouTube. Marginale, come del resto lo è anche più in generale in Italia, relativamente parlando, quello di Twitter.

Come d’abitudine vi invitiamo a non limitarvi alla nostra sintesi e di prendervi il tempo necessario alla lettura integrale del report che offre ancora una volta interessanti spunti di riflessione e di azione.

Infine, anche quest’anno vogliamo ringraziare pubblicamente il Reuters Institute for the Study of Journalism per la puntualità del lavoro svolto, e Eduardo Suárez, per averci anticipato la settimana scorsa, sotto embargo, il report, consentendoci di avere il tempo per approfondirlo e “digerirlo”.

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