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I giornalisti non scioperano. I “nuovi” prepensionamenti pietra tombale della categoria

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Nel giorno in cui si blocca il lavoro in 11 regioni per lo sciopero generale indetto da Cgil e Uil, contrarie a una finanziaria in cui si penalizza il lavoro dipendente rispetto al lavoro autonomo e in cui il reddito di cittadinanza che aveva aiutato tanti giornalisti in difficoltà e’ ridotto da 2 anni a 7 mesi, spicca l’assenza dallo sciopero dei giornalisti.

Eppure le ragioni per protestare non mancherebbero.

Accanto ai temi generali di riduzione dei diritti sociali le soluzioni che emergono per la categoria dalla legge di bilancio la accompagnerebbero ad un definitivo ridimensionamento dell’occupazione stabile.

L’emendamento sui prepensionamenti lautamente finanziato con decine di milioni di euro per anno non solo ridefinisce i requisiti soggettivi con l’abbassamento dell’età da 62 a 60 anni con 25,5 anni di contributi ma riporta il rapporto uscite ingressi a 3 a 1. Cioè per tre colleghi che andrebbero via le aziende sono obbligate ad assumerne una. Non solo: resta la specifica che le aziende possono assumere anche non giornalisti under 35. E si crea un trattamento ad hoc per giornalisti a quota 85 e mezzo tra età anagrafica e contributiva molto lontana da quota 102/103 riservata al resto dei lavoratori italiani

Questa è stata la ricetta sostenuta dagli editori già praticata tra il 2008 e il 2017, una ricetta che ha contribuito non poco alla fine dell’Inpgi nella indifferenza del sindacato nazionale.

La nuova norma colpirebbe quotidiani, periodici e agenzie di stampa impegnate già in una riconversione digitale faticosa con carichi di lavoro aumentati all’inverosimile e con continue tensioni tra redazioni e dirigenze.

Non sottovalutiamo sia la lotta del comitato di redazione di Repubblica per avere contezza di un ennesimo piano digitale che non sia un buco nell’acqua ma che rilanci la testata sia quella del cdr del Corriere della Sera che, nonostante le celebrazioni dell’editore per il mezzo milione di abbonamenti digitali, non riesce a strappare a Cairo un premio di risultato, un accordo sullo smart working, l’assunzione dei precari, l’armonizzazione delle condizioni di lavoro tra tutte le colleghe e i colleghi delle diverse sedi.

Non possiamo attendere oltre per la mobilitazione e per la lotta della categoria.

Se non ora quando?

Segreteria ASR

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