In Italia sono in circolazione 25 milioni di smartphone: secondo stime pubblicate dal periodico specializzato Corriere delle Comunicazioni saranno 32 milioni entro fine 2012. I tablet, cioè gli iPad e simili, saranno due milioni e mezzo. Il 60 per cento degli italiani che possiedono un tablet ha aumentato il tempo che passa on line dopo averlo acquistato. Il 90 per cento di chi ha un tablet ha scaricato applicazioni: in testa le app di intrattenimento, scelte dal 67 per cento degli utenti, ma al secondo posto ci sono quelle che permettono di leggere i giornali, con il 53 per cento. E non a caso, il 40 per cento ha iniziato a leggere di più quotidiani e periodici da quando ha un iPad.
LA PUBBLICITA´ NELLA RETE La pubblicità su Internet, nonostante la crisi economica, e al netto di qualche oscillazione del mercato, sale con percentuali a doppia cifra. Lo conferma l´ultima rilevazione Fcp-Assointernet diffusa da Prima comunicazione, che per il mese di maggio 2012 fissa complessivamente al 12,1% l´incremento rispetto allo stesso periodo del 2011. Anche se – come sappiamo e come ripetono ossessivamente gli editori – l´aumento di questi ricavi non compensa il calo inarrestabile nel cartaceo.
GRANDI CAMBIAMENTI Insomma, questo non è un raduno di reduci e noi non dobbiamo solo parlare di una crisi dell´editoria – che è innegabile – ma anche di grandi cambiamenti che ci stanno investendo. Il senso – o, se preferite – la pretesa di questa iniziativa, sta nel fatto che gli attori consapevoli di questa evoluzione sono o dovrebbero essere tre: oltre agli editori e al Governo, ci sono i giornalisti, nelle redazioni e nel sindacato, con la loro esperienza e le loro idee. E´ dovuto, a questo proposito, un rigraziamento a Stampa romana che ci ha supportato attivamente nella creazione del coordinamento dei Cdr delle agenzie e in questa iniziativa: il sindacato non vive se non ritrova una connessione con le redazioni, con i colleghi e con l´attività di base dei Cdr.
IL RUOLO DEI CDR E´ sempre un bene quando accade, non è sempre così, purtroppo, nella nostra categoria. Altro ringraziamento ai colleghi dei Cdr delle agenzie con i quali abbiamo costruito questa iniziativa: tutti noi, sul lavoro, conosciamo il gusto e il valore della concorrenza; ma superando diffidenze e forse l´illusione che questa fase si possa governare curando solo il proprio orticello, proviamo a proporre qui a sindacato, editori e Governo l´urgenza di individuare una strategia comune che del passato conservi i due valori fondamentali: l´occupazione e il pluralismo dell´informazione. Alla voce futuro tutto il resto, o quasi, è da costruire. Non perché le agenzie così come sono siano da buttare ma perché se non si contrasta la logica che le vede residuali e parassitarie, poco alla volta saranno strangolate tutte. E come dimostra la storia dei tagli subiti negli ultimi anni nelle convenzioni pubbliche ma anche da tanta parte del mercato editoriale, nessuno può sentirsi realmente al sicuro.
LA FOTOGRAFIA DELL´ESISTENTE Qual è la situazione reale delle agenzie di stampa? Abbiamo cercato di fare, attraverso un questionario affidato ai singoli Cdr, una fotografia del settore, che abbiamo riunito in alcune slides, o diapositive. Si tratta di dati abbastanza completi su un campione ampio: otto agenzie di stampa nazionali inserite nel circuito Telpress, se non è un totale poco ci manca. Dalla rilevazione mancano alcune realtà più piccole o nuove che non hanno aderito all´iniziativa; e se è stato per nostro difetto di comunicazione ce ne scusiamo.
- Contratto Fnsi-Fieg , ex Art. 1: 654 giornalisti
- Altre forme di figure contrattuali a tempo indeterminato : 62 giornalisti
- Tempo determinato: 25 giornalisti
- Collaborazioni : 635 giornalisti (Co.co.co, partite Iva, ecc.)
Ufficialmente a nessuno o quasi risultano collaboratori a pezzo e senza regole contrattuali, ma quest´ultimo dato lo prenderei con beneficio di inventario. Per quanto riguarda la mia azienda, ad esempio, dei collaboratori occasionali ogni tanto compaiono sul territorio.Il panorama occupazionale, come si vede da questa seconda slide, è nettamente improntato al segno meno:
- Sono in corso 1 ristrutturazione con prepensionamenti e 2 stati di crisi con contratti di solidarietà
- Ma negli ultimi tre anni, tra prepensionamenti e altre uscite incentivate o indotte sono stati persi circa 150 contratti a tempo indeterminato, pari a quasi il 19% della forza lavoro preesistente
- Nello stesso periodo abbiamo avuto una ventina scarsa di nuove assunzioni a tempo indeterminato
Quanto al regime retributivo, pur con delle specificità delle singole testate, c´è una certa uniformità complessiva di regole e trattamenti
Infatti in 5 agenzie
- Per gli straordinari: sono riconosciute forme di integrativo o il forfettizzato
- Domeniche/festivi: sono integralmente retribuiti, mentre il Riposo compensativo è previsto in una sola agenzia
- Risulta minimale e molto variabile il regime dei Benefit, in genere limitati a telefonino o pc in dotazione a una parte della redazione
Ultimo punto del nostro questionario, il tema del multimediale, su cui poi i singoli Cdr ci daranno qualche dettaglio più preciso azienda per azienda. In base ai nostri dati,
- In 6 casi è prevista produzione Internet
- In 5 casi è presente una specifica redazione Internet
- In 4 casi è prevista produzione video (in una sola testata con una redazione video a sé stante)
Sono molto differenziate, tuttavia, le strategie adottate dalle varie testate su questo specifico tema. Lo approfondiranno i colleghi che parleranno meglio di me delle singole situazioni.
LA CRISI DI MERCATO Fin qui, comunque, la fotografia della situazione globale delle agenzie. Indiscutibilmente le agenzie di stampa pagano la crisi più generale del mercato: cui il Governo, per l´impegno del sottosegretario all´Editoria Peluffo, ha cercato per la prima volta di dare un provvisorio segnale in controtendenza con il ripristino del livello di finanziamento del Fondo anche se solo per quest´anno. Anche il settore radiotelevisivo nel suo complesso non gode di buona salute, ed è comunque caratterizzato da un mercato oligopolistico, dalla debolezza strutturale delle emittenti locali, da una fortissima concentrazione delle risorse pubblicitarie che riduce la platea dei potenziali acquirenti del prodotto delle agenzie di stampa.
Veniamo al tema dei fondi pubblici: tutti sappiamo che sprechi, abusi e situazioni poco trasparenti, delle quali sono responsabili in primis i governi che si sono succeduti, hanno inquinato il mercato dell´editoria e reso difficile la difesa dello status quo. A questo si aggiunga che nel discorso pubblico, forse un po´ deviato dall´ideologia e dalla paura della crisi, “spesa pubblica” sta diventando sinonimo di spreco anche quando non è vero. E chi di noi sarebbe capace, su un autobus, di spiegare in tre minuti ai suoi vicini per quale motivo lo Stato deve spendere decine di milioni di euro ogni anno per mantenere in vita più agenzie di stampa nazionali di quante ce ne siano tra Stati Uniti e Francia?
LE FONTI GRATUITE Ma un altro elemento di crisi è dovuto alla crescente diffusione delle fonti di informazione gratuite (istituzionali, aziendali o autoprodotte dagli utenti/consumatori). Come hanno risposto a questa evoluzione gli editori delle agenzie? Invece che con una battaglia serrata a difesa del “valore-notizia”, del diritto d´autore e della proprietà intellettuale, che in altri settori economici è diventata la vera frontiera sulla quale si combatte – e non sempre per nobili ragioni – gli editori hanno dato evidenti segni di sbandamento. Producendosi in non pochi casi in un autolesionistico “liberi tutti”, che traduce in tempo reale o quasi tutti i contenuti (o almeno tutti i contenuti più qualificanti) prodotti per la rete chiusa e a pagamento del Telpress in contenuti accessibili a tutti su Internet. Come se una pay tv trasmettesse contemporaneamente su un canale in chiaro le dirette del calcio che di norma riserva agli abbonati.
VALORIZZARE IL PRODOTTO E INNOVARLO Va detto che le strategie per la valorizzazione del prodotto informazione su Internet e sui device mobili sono un grattacapo per tutti gli editori nel mondo, non solo per le agenzie di stampa. Il clamoroso fallimento del sito del Times dopo che è stato chiuso l´accesso ai contenuti per i non abbonati dimostra che anche un gigante come Murdoch non possiede la ricetta. E anche in Italia i giganti del settore come Repubblica e Corriere modificano spesso, è accaduto anche di recente, il loro approccio alla accessibilità in rete dei contenuti. Ma proprio questa mancanza di strategia è una minaccia. Gli editori ci dicono: “Voi tenetevi pronti a fare qualsiasi cosa, che noi dobbiamo inseguire il mercato ovunque vada”, invece di pensare a progettare il prodotto e a determinare l´evoluzione del mercato.
Più in generale, qual è la risposta “di sistema” delle imprese editoriali alla crisi? Nella nostra esperienza, si articola soprattutto in tre mosse. La prima è la scelta di rispondere alle difficoltà economiche innanzitutto attraverso tagli al costo del lavoro e una progressiva (e più volte riproposta di anno in anno) riduzione del personale giornalistico. La seconda è la richiesta progressiva di una generica maggiore flessibilità che tende a impoverire il prodotto attraverso la perdita o la mancata valorizzazione delle competenze professionali personali dei colleghi. La terza è la pretesa di estendere a una non meglio precisata produzione “multimediale” – senza regole e senza garanzie – le capacità professionali dei colleghi. Che in qualche caso significa l´impiego di giornalisti anche in mansioni chiaramente tecniche come la ripresa video o il montaggio.
LA NORMA SUL MULTIMEDIALE Serve un bilancio onesto all´interno della Fnsi sui risultati dell´introduzione della parola “multimediale” nell´ultimo contratto: un bilancio al quale noi Cdr abbiamo il diritto e il dovere di contribuire. E´ comprensibile che in una fase nebulosa di transizione il sindacato abbia accettato, tre-quattro anni fa, una impostazione alquanto generica. Si trattava allora di accompagnare lo sviluppo delle strategie degli editori, e la crescita numerica e professionale dei colleghi dotati di una cultura digitale e preparati al lavoro su piattaforme multiple.
CONTRATTAZIONE DI SECONDO LIVELLO Oggi però non possiamo far finta di non vedere che in una fase di contrazione dell´occupazione, di penuria di investimenti e spesso di idee da parte delle imprese, non è possibile affidare alla sola contrattazione di secondo livello la definizione delle mansioni e delle regole professionali per questa nuova stagione. Se il vecchio notiziario si scompone in un servizio che viaggia su multiple piattaforme per una clientela molto diversificata (dal Governo al singolo possessore di iPad passando per la grande testata di carta stampata o televisiva, la banca, la piccola radio locale) rischia di trasformare le agenzie in una sorta di catena di assemblaggio di prodotti finali, nella quale lo spazio per l´autonomia professionale dei giornalisti si riduce progressivamente.
IL DOVERE DEL GIORNALISTA Un esempio pratico per capirci: nelle agenzie che intendono evolvere in senso multimediale, qual è il dovere del giornalista? Raccogliere delle notizie, delle dichiarazioni e diffonderle attraverso il notiziario? Fare un video? E con quali limiti? Servizi video originali? Interviste esclusive o brutte copie delle riprese tv? Prodotte magari ammucchiandosi insieme a decine di cameramen per raccogliere la scarna battuta di un politico o di un industriale…
IL FUTURO CONTRATTO Qui si vede come c´è necessità di aprire le porte del contratto giornalistico alla realtà di oggi: per le agenzie la tempestività è sempre stata un punto di forza nella sfida alla concorrenza. Che fine fa la tempestività se un giornalista deve fare due lavori? E chi decide cosa è più importante, sul momento, se la ripresa o la notizia scritta? Come si vede, tutta roba che in un contratto nato qualche decennio fa per i quotidiani tradizionali e che ha subito pochissime modifiche d´impianto, semplicemente non esiste. Anche oggi il quotidiano ha tutto il tempo di privilegiare il prodotto per Internet, e poi sviluppare con comodo gli articoli per la carta, che va in edicola il giorno dopo.
LA NATURA DELLA PROFESSIONE In questo scenario, finora, sono i Cdr che, laddove ne hanno avuto la forza e l´occasione, hanno tentato di introdurre alcune norme per non snaturare la professione del giornalista di agenzia. Dove lavoro io, abbiamo discusso con due direttori, e stiamo condividendo con l´azienda, alcune semplici regole professionali per evitare la trasformazione del giornalista in un soggetto indefinito. Il quale, dovendo in sostanza confezionare un “prodotto” su ordinazione, perde completamente l´aggancio con la sua caratteristica principale: che è quella di essere colui che decide, certo in accordo con una gerarchia e con una organizzazione del lavoro, cosa è notizia e cosa non lo è. E come trattare, come interpretare il tutto. Senza mitizzarla, è l´autonomia professionale la chiave per affrontare la trasformazione senza diventare operai di una catena di montaggio. Devo fare sia il video che la notizia? L´azienda non è in grado di mandare due persone diverse? Valuto io, sul momento, se si può fare o meno.
E´ QUESTA LA MULTIMEDIALITA´? Per chiarire qual è il livello della minaccia che pende sul nostro capo: io faccio questo lavoro da qualche decennio, sono professionista da più di tre lustri, ho messo piede per la prima volta in Parlamento come cronista una quindicina di anni fa. Bene, la mia azienda ritiene che il risultato della parte tecnica del mio lavoro multimediale possa essere usata contro di me, come dicono nei telefilm americani, dopo avermi formato con tre o quattro ore di corso alla ripresa video e altrettante al montaggio “semplice”. Cioè se faccio male una ripresa video mi arriva una bella lettera di richiamo. E dopo un po´ di richiami, magari il licenziamento. Il nostro Cdr respinge questa impostazione, ma non crediate che sia il pensiero di un editore solo.
SERVONO NUOVE REGOLE Per evitare il Far West, servono regole, serve una definizione più chiara dei confini della professione. Parliamone. Il contratto è l´occasione: e visto che scade fra meno di un anno e c´è l´estate di mezzo, siamo già in ritardo. Sia chiaro: nessuno di noi pensa che sia possibile vivere nel passato. Le aziende di questo specifico settore dell´editoria devono costruire un nuovo modello industriale. Dobbiamo lavorare al nostro futuro, stimolando le imprese a ragionare sul serio di innovazione, di formazione, e di un problema del tutto nuovo nella nicchia delle agenzie di stampa: il brand. Già, perché si ha un bel dire che la rivoluzione digitale diluisce i confini fra editori di un settore e dell´altro. Ma per vendere prodotti informativi sul mercato retail, cioè ai consumatori, ai possessori di tablet e di smartphone, serve un marchio: riconosciuto, credibile, autorevole. Se ci pensate bene, è un´occasione anche per noi: questa debolezza storica delle agenzie, chiuse in un mercato assistito e comunque riservato agli addetti ai lavori, dovrebbe spingere le aziende nella direzione opposta rispetto alla precarizzazione, alla flessibilizzazione selvaggia, alla svalorizzazione della competenza professionale dei singoli. Servono giornalisti autorevoli per costruire testate o prodotti credibili. E vendibili.
CHE COSA VOGLIONO GLI EDITORI? La domanda è: vogliono questa stessa cosa gli editori? Va chiarito se davvero gli editori delle agenzie pensano di trasformarsi in editori a tutto tondo e come pensano di superare il rischio di entrare in conflitto con i loro clienti. Oggi forse gli editori potrebbero iniziare a dirci qual è l´evoluzione reale del mercato: come si compone il nuovo profilo dei ricavi delle imprese editoriali, quali sono le tendenze che stanno rilevando. E qual è la loro strategia per difendere il pluralismo dai tagli indiscriminati dei contributi pubblici. Potrebbe essere una battaglia comune. Sarebbe anche importante anche capire qual è, se esiste, la loro strategia a difesa della proprietà delle notizie e dei servizi: hanno contestato le rassegne stampa on line, cosa intendono fare contro il saccheggio quotidiano del nostro lavoro anche al di fuori del giro dei nostri clienti?
DISEGNO DI LEGGE Il disegno di legge delega sull´editoria prevede come sapete un capitolo sulle agenzie: il Governo si propone di tenere conto, nella nuova disciplina per l´acquisto di servizi dalle agenzie, “dell´occupazione di soggetti dotati di professionalità adeguate, della quantità di notizie e di servizi forniti, del fatturato delle aziende, dell´innovazione dei prodotti e assicurando una valutazione annuale dei risultati dell´attività informativa svolta”. Troppa grazia, Sant´Antonio, verrebbe da dire. Un così ampio ventaglio di criteri rischia di lasciare nelle mani del Governo un arbitrio quasi totale. Agli editori sta bene? Cito un criterio particolarmente insidioso: la quantità delle notizie da produrre già oggi è un incentivo a depauperare la qualità del lavoro e il pluralismo reale del prodotto informativo. Meglio cento comunicati stampa su caccia e pesca che dieci servizi sugli sprechi, perché per produrre questi ultimi ci vuole tempo e giornalisti.
Allora, se c´è spazio per un dialogo, per una strategia comune – lo dico sperando di non essere considerato un bestemmiatore, servono investimenti. In formazione, in tecnologie, e nella valorizzazione delle nuove professionalità. Se è davvero di una grande trasformazione che stiamo parlando, allora si può arrivare a discutere di calibrare meglio il contratto per quello che ci riguarda. E´ un´esigenza che anche noi, per alcuni aspetti, avvertiamo. Ma se il dibattito in Fieg sulle agenzie, come qualcuno sostiene, è fermo alle sole esigenze di abbassare il costo del lavoro e introdurre una ulteriore dose di flessibilità senza regole, allora andiamo incontro a una stagione davvero difficile e per certi versi suicida.
Negli anni passati, è capitato spesso che quando sono state fatte delle ristrutturazioni nei quotidiani, gli editori abbiano spiegato ai malcapitati che “troppi giornalisti in redazione non servono perché ormai i giornali si fanno con le agenzie”. Salvo poi allargare la platea dei collaboratori precari, sfruttati senza regole e tutt´altro che liberi nelle loro scelte professionali. Salvo poi, al prossimo giro di valzer, buttare via e mettere a carico del´Inpgi, 20, 40, 60 giornalisti di agenzia.
SISTEMA A RISCHIO Se non usciamo da questo paradosso, è a rischio tutto il sistema: rischia l´Inpgi, rischia un drastico ridimensionamento l´industria editoriale nel suo complesso. E in definitiva il pluralismo e la libertà di informazione, che sono pur sempre un´aspirazione, un´approssimazione, nel Paese degli editori impuri e dei molteplici conflitti di interessi, rischiano di rimanere dei begli slogan da conservare sui libri di storia.