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L´intervento di Giovanni Rossi
al seminario sull´equo compenso

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Carissimi, un precedente impegno sindacale a Bologna mi impedisce di partecipare all’interessante iniziativa opportunamente promossa dall’Associazione stampa romana che ha per argomento la concreta applicazione della legge relativa all’equo compenso per il lavoro giornalistico svolto con caratteristiche di autonomia.
Dal 18 di questo mese la legge è formalmente operativa. Il primo compito di noi tutti – la Fnsi lo ha già scritto in un documento pubblico – è vigilare affinchè ogni passaggio e scadenza previste nelle norme abbiano attuazione. Entro 30 giorni va costituita la Commissione. Poi, trascorsi 60 giorni, la Commissione deve “deliberare”.
Non dobbiamo nasconderci che su questa strada vi sono delle difficoltà che vanno superate e delle decisioni che vanno assunte.
Provo ad indicarne alcune schematicamente.
1) Una volta insediata la Commissione si dovrà decidere come questa assumerà le proprie decisioni e cioè se all’unanimità o a maggioranza (ci vorrà un regolamento, immagino). La qual cosa, come è facile comprendere, non è indifferente.
2) La entità dell’equo compenso non sarà semplice da definire e già sento polemiche del tutto premature. La norma parla di coerenza con la contrattazione di settore, ma anche di valutazione delle prassi attuali. Per parte sindacale un riferimento, ad esempio, alle previsioni tabellari dell’articolo 2 del contratto Fnsi-Fieg può costituire un elemento valido. Spero non basti un semplice esempio per suscitare il solito sciame di polemiche in rete. Così come, certamente, si dovrà tener conto di altre elaborazioni e degli stessi tariffari, sia pure privi di vincolo di legge, emessi dal nostro Ordine professionale nel corso degli anni.
3) Altro problema: un equo compenso uguale per tutti o caratterizzato da una possibile differenziazione che tenga conto delle dimensioni aziendali? Di certo, per quel che mi riguarda – si tratta di una mia opinione e non di un’orientamento definito dalla Federazione della stampa – non avrebbe senso differenziare le cifre sulla base della piattaforma tecnologica utilizzata per diffendere le notizie (la carta vale di più, il web di meno, tanto per precisare).
4) Come avviene nei contratti di lavoro le cui tabelle retributive fissano i minimi inderogabili, l’equo compenso dovrà essere un minimo inderogabile. Tuttavia, dobbiamo essere consapevoli che questo ha insito in sé un rischio: la possibilità che se vi siano situazioni virtuose di trattamento economico del lavoro autonomo più alte delle cifre definite dalla Commissione. Potremmo trovarci di fronte al rischio di indurre certi datori di lavoro a ridurre i trattamenti in ciò coperti dalle previsioni di legge.
5) Segnalo anche che la sanzione prevista per chi non ottempererà nell’applicazione dell’equo compenso è, ancora oggi, rilevante: l’esclusione dal finanziamento pubblico (aggiungo io per esplicitare che deve trattarsi di quello diretto, ma anche di quello indiretto: vale a dire non solo con l’esclusione dalla possibilità di ricevere soldi, ma anche gli sconti sull’Iva, ecc.). Ma rischia di ridimensionarsi di molto nel tempo se dovessero proseguire linee di azione di governo che vedono in questo intervento pubblico nel settore una sopravvivenza del passato da ridurre progressivamente fino ad eliminarla.
6) Un effetto dell’equo compenso potrebbe (non è detto, ma potrebbe) essere una restrizione del mercato delle collaborazioni, quindi una contrazione del mercato del lavoro, portando ad una selezione delle collaborazioni. E’ un effetto del quale dobbiamo essere consapevoli. E’ pur vero che il mercato del lavoro giornalistico ha bisogno di una generale ristrutturazione e di essa la legge sull’equo compenso è un elemento positivo.
7) Ultima considerazione, poiché sono già stato troppo lungo. Deve essere chiaro che per il Sindacato dei giornalisti l’equo compenso è una notevole, rilevante, conquista a favore del lavoro autonomo, ma non costituisce l’elemento risolutivo del problema del pracariato e del lavoro nero per il quale la soluzione è altra ed una sola: un processo di stabilizzazione e di emersione. Per chi, di fatto, è un dipendente a tempo pieno di un’azienda editoriale e non un collaboratore esterno con altre attività, non basta un equo compenso, che non sana l’illegalità della sua condizione, ma occorre un processo di integrazione e regolarizzazione.
Buon lavoro.

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