Stampa Romana con l’aiuto prezioso di 80 colleghi in rappresentanza di comitati di redazione e fiduciari ha realizzato un report sull’applicazione dello smart working nelle redazioni romane e del territorio.
I risultati relativi alla fase 1 descrivono e sintetizzano l’approccio al lavoro agile che si è sviluppato nella produzione giornalistica della Capitale e del Lazio.
In un momento molto difficile di grande emergenza le redazioni sono riuscite a garantire con lo Smart working il prodotto informativo, a garantire un servizio pubblico universale.
E’ chiaro che man mano che il paese riaprirà lavorando in sicurezza sarà opportuno ritornare ai modelli produttivi fondati sulle redazioni fisiche.
Il passaggio tuttavia non sarà rapido, legato anche alle decisioni dello Stato e al perdurare dello stato di emergenza sanitaria.
Per questa ragione riconsiderare questa modalità di organizzazione del lavoro, soppesandone i pro e i contro, può essere utile, analizzando i dati che divulghiamo a tutta la comunità dei giornalisti e delle giornaliste.
Prima domanda: da quando siete entrati in sw?
85% dal lockdown, tra il 9 marzo e il 16 marzo (solo 2 casi dopo il 16 marzo);
11% prima del 9 marzo;
4% altro (esempio: già si lavorava in remoto).
Seconda domanda: quanti colleghi sono andati in sw?
45% tutta la redazione in sw;
40% tra 66 e 100% redattori in sw;
10% con il 50% redattori in sw;
5% fino a tutti in redazione.
Terza domanda: dotazione di strumenti di lavoro
37% forniti da azienda;
41% strumenti misti personali/azienda;
22% personali.
Quarta domanda: c’è stata consultazione sindacale per procedere con sw?
78% si
22% no
Giudizio sullo smart working
Buono per affrontare l’emergenza:
si è scoperto un piano b per la produzione che è stata garantita;
si sono soddisfatte le esigenze familiari;
si è risparmiato sullo stress da spostamento;
in alcuni casi è aumentata la produttività.
Gli editori inoltre con il lavoro agile non avrebbero scuse per decidere trasferimenti individuali o in massa dalla sede di lavoro.
Diverse le criticità:
perdita del senso collettivo della produzione e del confronto redazionale;
orari di lavoro inesistenti (in pratica gli articoli 1 diventano articoli 2);
annullamento del rapporto diretto con le fonti;
riduzione della filiera produttiva in radio e tv con ricadute sulla qualità ridotta del prodotto;
problemi tecnici sul confezionamento del prodotto;
rapporti sindacali complicati con aziende, direttori e redazioni;
chat di dialogo tra colleghi troppo impersonali;
violazioni di legge per la sicurezza dei dispositivi e le regole del lavoro agile;
eliminazione dei buoni pasto.