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Nuovo contratto 7: nuovo modello produttivo e poteri del direttore

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Roma, 19 ottobre 2015 – La trasformazione digitale, la nascita di nuove piattaforme su cui diffondere notizie, l’incidenza crescente dei social network nella comunicazione. Negli ultimi anni, una vera e propria rivoluzione ha interessato il mondo dell’informazione. Rivoluzione che le aziende editoriali non sempre hanno saputo affrontare al meglio. Basti pensare, soltanto per fare un esempio, alla duplicazione di prodotti su carta e web, causa frequente di sprechi e di inadeguata gestione delle risorse.
Nel frattempo, anche la fisionomia della nostra categoria è cambiata. Anche qui un esempio per tutti. Precari, collaboratori e freelance rappresentano oggi i due terzi dei giornalisti italiani.
Tutti cambiamenti da affrontare con uno sguardo diverso e un approccio moderno. Già a partire dall’imminente rinnovo del contratto di lavoro Fieg–Fnsi che dovrà tener conto di alcune necessità. Innanzitutto, queste:
–  riformulare i modelli produttivi e rendere più democratici i processi decisionali;
– combattere lo sfruttamento e favorire la stabilizzazione, rafforzando le agevolazioni fiscali per le aziende che assumono e facendo in modo che il lavoro a tempo indeterminato costi meno di quello a termine e autonomo. Tra l’altro, aumentare il numero dei giornalisti contrattualizzati contribuirà a preservare gli istituti di categoria, come quello di previdenza;
–  accrescere la tutela legale dei giornalisti minacciati e intimiditi, estendendola anche ai collaboratori fissi e occasionali, in modo da garantire sia l’incolumità personale sia il diritto ad informare e ad essere informati;
–  sostenere la meritocrazia e favorire la crescita delle competenze.
Approfondiamo, in particolare, il primo punto. Insieme con i modelli produttivi, vanno ridefinite le figure professionali e le gerarchie nelle redazioni. Nello scenario attuale risulta superata la struttura piramidale verticale, mentre è auspicabile una gestione di tipo orizzontale in cui le decisioni siano in gran parte condivise, sia pure con distinte responsabilità.
Non è più il tempo di una persona sola al comando. Persona quasi sempre individuata, nel nostro Paese, secondo opportunità politiche e legami di parentela o di potere. Per mettere finalmente un argine a queste pratiche, deve essere ridisegnato l’articolo 6 del contratto di lavoro giornalistico, quello sui  poteri del direttore.
Una priorità anche in vista della prossima riforma dell’informazione RAI. Per il servizio pubblico radiotelevisivo, infatti, si annuncia l’accorpamento dell’informazione in due cosiddette “newsroom” che dovrebbero successivamente confluire in un’unica piattaforma giornalistica. Accentrare il potere nelle mani di uno o al massimo due direttori – senza stabilire opportuni contrappesi – presenta rischi da evitare assolutamente.
Nell’articolo 6, allora, si potrebbe prevedere – ogni due anni – un voto di fiducia con cui la redazione si esprimerà sull’operato del direttore e sulla sua adesione al piano editoriale. Un voto segreto, ovviamente, con esito vincolante: se sfiduciato, il direttore dovrà lasciare l’incarico. Un’innovazione a costo zero per gli editori.
L’articolo 6, inoltre, potrebbe prevedere alcune clausole per rendere più vincolante il parere del cdr e dell’assemblea di redazione su alcuni comportamenti del direttore come, ad esempio, i presunti demansionamenti. Ci si potrebbe anche spingere ad attribuire al direttore la responsabilità civile con eventuale risarcimento di danni a suo carico, in caso di contenziosi legali avviati da uno o più redattori.
Quanto alla nomina del direttore di testata, infine, il pensiero va a qualcosa di dirompente. Va a modalità “anglosassoni” sulla scia di quanto successo alcuni mesi fa, ad esempio, nel quotidiano The Guardian. Modalità che partono sempre da un bando pubblico e dal vaglio dei curricula arrivati. E che portano i giornalisti della testata a determinare – tramite votazione – una rosa di candidati tra cui, infine, la proprietà effettuerà la propria scelta. L’alternativa è che sia la proprietà a fare una prima selezione di candidati, in modo che la redazione esprima successivamente la propria preferenza tra questi.
Insomma, veri e propri metodi di “democrazia aperta”, distanti dalla “cultura” imperante in Italia. Eppure necessari e urgenti per garantire qualità e trasparenza.
 
GRAZIA LEONE
Giornalista Rai Tg3 – Membro Consiglio Direttivo e Commissione Contratto ASR

 

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