Roma, 9 nov – Silvio Berlusconi annuncia a Giorgio Napolitano che si dimettera´ una volta approvata la legge di stabilita´ promessa all´Europa, ma chiede ´elezioni subito´. Il capo dello Stato, Costituzione alla mano, lo stoppa, non intende anticipare i tempi e vuole seguire l´iter previsto in caso di crisi: consultazioni e verifica di maggioranze alternative. In sostanza vuole avvalersi di tutte le prerogative che gli concede la Carta. In questo senso il comunicato diffuso dal Quirinale dopo il faccia a faccia di questa sera con il presidente del Consiglio non lascia spazio a dubbi. Sulla strada delle urne, inoltre, si mettono di traverso anche le opposizioni: l´Udc di Pier Ferdinando Casini in particolare e Pier Luigi Bersani che, pur preferendo le urne, non potrebbe dire no´ ad un governo di larghe intese, magari guidato da un tecnico come Mario Monti. Dopo lo schiaffo di Montecitorio, il capo del governo si riunisce con i vertici del Pdl e della Lega. Ripete che la strada maestra e´ quella del voto e sottolinea che in Parlamento nessuno ha la forza per sfiduciare la maggioranza. Per il resto Berlusconi ascolta le proposte e i suggerimenti di ministri e dirigenti. Piu´ di qualcuno torna a suggerirgli la soluzione gia´ prospettata qualche sera fa nell´interminabile vertice a palazzo Grazioli: annunciare le dimissioni, ma solo dopo il varo delle misure promesse all´Europa. Quando lascia la sede del governo per salire al Colle, l´impressione della maggior parte dei presenti e´ che non abbia alcuna intenzione di rimettere subito il mandato. Di fronte all´ipotesi prospettata da Napolitano di ritornare a Montecitorio per verificare se abbia o meno la fiducia del Parlamento, pero´, Berlusconi deve riconoscere di non avere piu´ una maggioranza alla Camera. E cosi´ mette sul piatto l´escamotage studiato per tentare di sbarrare la strada a governi alternativi: dimettersi dopo il varo del pacchetto anti-crisi. Un modo per guadagnare tempo, ma che di fronte al pressing dei mercati e dell´Europa, il capo dello Stato non puo´ non prendere il considerazione. In cambio, pero´, il Quirinale certifica gli impegni presi da Berlusconi, a cominciare dal quello di dimissioni formali. Promessa formalizzata nella nota, nella quale si ribadisce che qualsiasi decisione sul ´dopo´ sara´ presa al termine delle consultazioni, ´´dando massima attenzione alle posizioni di ogni forza politica´´, di maggioranza e di opposizione. Berlusconi, pero´, anticipa gia´ la sua posizione: andare al voto quanto prima. E nel farlo lancia la candidatura di Angelino Alfano come possibile candidato premier del centrodestra. Indiscrezione che trova diverse conferme, ma che – secondo alcuni – potrebbe essere solo una mossa tattica. Ma il premier con i fedelissimi si sbilancia: voteremo a febbraio e Alfano sara´ il nostro candidato. Sulla strada del voto, pero´, non mancano gli ostacoli. Perche´ se e´ chiaro che con il rinvio delle dimissioni il Cavaliere tenta di stoppare la formazione di governi alternativi, e´ altrettanto vero che non sono solo le opposizioni a dire no alle elezioni anticipate. A cominciare dalla Lega dove la posizione di Umberto Bossi – favorevole al voto subito – pare non coincida con quella di Roberto Maroni. Ma anche nel Pdl non mancano dubbi. In tanti, anche per il timore di una ricandidatura del Cavaliere (oltre che per lasciare alle opposizioni l´onere di varare la manovra correttiva che l´Europa starebbe gia´ chiedendo), ritengono infatti che sarebbe meglio un ´´passaggio all´opposizione´´ per riorganizzare il partito e consentire ad Angelino Alfano di rafforzarsi. Per non parlare di Claudio Scajola che, raccontano, abbia gia´ detto a tutti di non volere andare alle elezioni. Infine ci sono i peones, terrorizzati dall´idea di essere lasciati a casa. Il fronte del ´no´ alle urne, dunque, potrebbe ingrossarsi sempre piu´. (ansa)___________________________________________________________________BERLUSCONI: DIMISSIONI ED ELEZIONI A FEBBRAIO, ALFANO CANDIDATO. Dimissioni dopo le riforme chieste dall´Europa e poi elezioni con Angelino Alfano alla guida del centrodestra. E´ la strategia di Silvio Berlusconi che dopo il voto di ieri alla Camera ha annunciato al capo dello Stato che che lascerà Palazzo Chigi subito dopo l´approvazione della legge di Stabilità con le norme anticrisi necessarie a tranquillizzare i mercati. “Il candidato del centrodestra sarà Alfano”, ha detto il cavaliere in un´intervista alla Stampa spiegando di non vedere altre strade possibili oltre alle urne. “Appena sarà approvata la legge di stabilità mi dimetterò e, siccome non ci sono altre maggioranza possibili, vedo solo le elezioni all´inizio di febbraio, elezioni a cui non mi candiderò più”. Nei 45 minuti di colloquio con Giorgio Napolitano Berlusconi ha dovuto ammettere di non avere più una maggioranza. Quei 308 voti raggranellati in aula per dare il via libera al consuntivo dello Stato sono un dato innegabile: il più basso risultato ottenuto dalla compagine di governo eletta nel 2008. Il Quirinale ritiene che le misure anticrisi promesse all´Europa vanno approvate subito e con la più larga condivisione possibile. I tempi: entro la prossima settimana dovrebbe chiudersi il passaggio al Senato ed entro fine mese alla Camera. Dopo che il presidente del Consiglio avrà rimesso l´incarico, Napolitano aprirà le consultazioni con i gruppi parlamentari per vedere, come prevede la Costituzione, se siano possibili altre maggioranze o se si debba tornare alle elezioni. Nel frattempo la fronda dei dissidenti del Pdl è già al lavoro per costituire un gruppo autonomo che potrebbe nascere già oggi con l´intenzione di evitare il voto anticipato. A farne parte dovrebbero essere fra gli altri, e solo per iniziare, una decina di parlamentari: Luciano Sardelli, Antonio Milo, Fabio Gava, Giustina Destro, Roberto Antonione, Giancarlo Pittelli e Antonio Mannino. Tra i ´papabili´ ci sarebbe poi Santo Versace, senza escludere una interlocuzione con gli ex Fli (Urso, Scalia e Buonfiglio). (tmnews)______________________________________________________________NAPOLITANO DA´ UN MESE A SILVIO, DOPO SCENDERA´ IN CAMPO. Quando è salito al Quirinale Silvio Berlusconi aveva già deciso. Approvare la legge di stabilità e poi rassegnare le dimissioni. Il pressing della Lega, la sberla del voto alla Camera dei deputati, la tesissima riunione a Palazzo Grazioli lo avevano convinto che altra via non c’era. E che per evitare quello che più di tutto teme, un governo tecnico, non doveva farsi sfiduciare in Parlamento. Così, accompagnato da Gianni Letta, ha comunicato la sua intenzione al presidente della Repubblica. Si è presentato scosso, umanamente provato. Infuriato dal «tradimento» dei suoi, dai «voltafaccia» di chi gli deve tutto e ora lo ha abbandonato. E nell’ora di colloquio con il presidente della Repubblica ha ribadito le sue intenzioni: approvare la legge di stabilità, dimostrare all’Italia e al mondo che rispetta gli impegni presi con l’Europa, e poi lasciare. Entrambi si sono accordati per far sì che la legge di stabilità abbia una corsia preferenziale per essere approvata. Un po’ come avvenne ad agosto, con la prima manovra economica per far fronte alla crisi. Napolitano chiederà alle opposizioni di non fare ostruzionismo. Berlusconi, da parte sua, toglierà dal maxi-emendamento la norma sui licenziamenti. Indigeribile, secondo il Colle, in un provvedimento di urgenza come questo. Poi, si apriranno i giochi. Al massimo entro il 20 novembre il provvedimento dovrebbe essere approvato dal Senato. Poi passerà alla Camera. Entro la fine del mese dovrebbe essere licenziato in via definitiva. Le consultazioni, quindi, inizieranno ai primi dicembre. Napolitano punta ad accorciare i tempi il più possibile. L’andamento dello spread, il differenziale con i titoli tedeschi, la febbre delle Borse, non permettono lungaggini. Cosa accadrà dopo, è tutto da vedere. Berlusconi, durante il colloquio con Napolitano, ha già detto che per lui c’è solo una via: le elezioni anticipate. A gennaio. «Non esistono governi diversi da quello uscito dalle urne. Qualsiasi altra soluzione sarebbe una violazione della volontà popolare». Il presidente della Repubblica, però, ha cortesemente puntualizzato che, dal suo punto di vista, lo scenario è un po’ diverso. «Farò le consultazioni, esercitando tutte le prerogative che mi concede la Costituzione». Naturalmente, ha aggiunto, rispetterà la «maggioranza uscita dalle elezioni del 2008», espressione della volontà popolare. E lo ha ribadito nel comunicato diffuso dal Quirinale: una volta approvata la legge di stabilità, dopo che il premier avrà rassegnato le dimissioni, il Capo dello Stato «procederà alle consultazioni di rito dando la massima attenzione alle posizioni e proposte di ogni forza politica, di quelle della maggioranza risultata dalle elezioni del 2008 come di quelle di opposizione». Una formula, quella usata per indicare le forze di maggioranza, non casuale: Napolitano, come ha fatto capire tante volte in questi mesi, non intende dare il via libera a governi del “ribaltone”. Non darà via libera un governo che prescinda del tutto dai vincitori del 2008. Questo, però, non significa che Pdl e Lega abbiano il potere di veto assoluto. Il tentativo del Capo dello Stato sarà di cercare «un’intesa la più ampia possibile». Perché solo una larga maggioranza, è il ragionamento fatto più volte da Napolitano, può avere la forza di approvare quelle riforme «impopolari» di cui c’è la massima urgenza e che l’Europa, i mercati finanziari, chiedono. «Occorre una straordinaria coesione sociale e nazionale di fronte alle difficoltà molto gravi, alle prove molto dure che l´Italia deve affrontare nel quadro della sconvolgente crisi finanziaria che ha investito l´Europa e che incombe sulle nostre economie e sulle nostre società», aveva detto alcuni giorni fa. Lo sforzo del presidente, difficile, dagli esiti incerti, sarà questo: favorire una «coesione» parlamentare per affrontare quelle sfide senza le quali l’Italia rischia il tracollo. Naturalmente il Capo dello Stato non si muoverà solo nell’ambito della maggioranza uscita dalle elezioni. Come spiega il comunicato, si rivolgerà a tutti: maggioranza e opposizione. Oltretutto, si fa notare al Quirinale, la «volontà popolare», a cui Berlusconi ama sempre richiamarsi, non è espressa solo dall’attuale maggioranza. Tra i vincitori del 2008, per esempio, c’era anche Gianfranco Fini, che ora è all’opposizione. In sintesi: si cercherà una larga maggioranza, che comprenda possibilmente il Pdl o una sua parte. Guidata da chi e con quali geometrie lo dovranno dire le forze politiche quando saliranno al Colle per le consultazioni. Per il momento ci si ferma qui. Niente nomi o ipotesi. Entrambi dovranno essere il frutto dei colloqui con le forze politiche. Ma una cosa è certa. Napolitano chiederà una soluzione forte. Capace di fare quelle riforme che chiede l’Europa. Non darà il via libera a pasticci. Tuttavia farà ogni sforzo per evitare quella che, al momento, considera una sciagura: tre mesi di campagna elettorale, lasciando il Paese senza un governo. (libero-news.it)